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15 aprile 2014 2 15 /04 /aprile /2014 09:48

Lampaduza-Sellerio-di-Davide-Camarrone.jpgSarà presentato martedì 15 aprile alle ore 18,30 alla libreria Modusvivendi di Via Quintino Sella 79 (tel. 091323493) il libro "Lampaduza" di Davide Camarrone (Sellerio). Con l'autore ne discuteranno Matteo Di Gesù e Fulvio Vassallo Paleologo.

 

(Maurizio Crispi) E' un libro coraggioso e accorato quello di Davide Camarrone, dedicato ai migranti ead un'isola che che qui, in accordo con la più antica pronuncia, viene chiamato appunto "Lampaduza".
Un libro di denuncia delle inadempienze, dei pressapochipismi, dell'immobilismo sospettoso delle istituzioni e sugli effetti di normative di legge, assolutamente inique.
Un'isola Lapaduza che sta andando alla deriva e che forse dovrebbe farsi dice Camarrone "meno terraferma e più isola", un'siola che è stata nei secoli di transito e di approdo di genti diverse e che adesso è diventato il luogo simbolo di "porta dell'Europa" per le migliaia di disperati che arrivano dall'Africa ed anche - adesso - dalla Siria.
Una storia punteggiata di morti, di iniquità e di ingiustizie, di omissioni e di silenzi.
Ma è anche un libro di denuncia di certa stampa e di certo giornalismo sensazionalistico.

"C'è dà tutto per scontato, semplificando quel che accade secondo una simettria standard: da una parte, i migranti violenti e, dall'altra, i lampedusani abbandonati e stanchi; oppure, i migranti sfiniti e i lampedusani insensibili. Di qua o di là. Bianco o ner, senza alcuna sfumatura di grigio.
C'è chi, lasciandosi scivolare fino in fondo al crepaccio dei luoghi comuni, dove prospera il giornalismo contabile, ne scrive in occasione di una tragedi, elencando morti e sbarchi: oggi cento, ieri cinquanta, un anno fa un milione: aumentano, e che fine faranno, e l'isola è invasa..." (p.100).
una denincia contro questo modo di far giornalismo che è poi quello che interessa ai politici, perchè attraverso questo tipo di notizie, possono pilotare ciò che a loro interessa e che è il consenso.
E' infine un libro che, nel denunciare quel tipo di giornalismo, obsoleto, allineato e non coraggioso, ne mette in evidenza un altro, moderno ed agile, quello in cui la notizia si fa mentre i fatti accadono, attraverso l'uso del telefonino e della connessione ad internet.
Ed è stato così che il dramma umano di Lampaduza è venuto fuori, quando si sono verificate in meno di 10 giorni una dall'altra due imponenti tragedie del mare tra il 3 e il 13 ottobre 2013 e quando il video girato dal profugo Khalid per mezo del telefonino ha fatto il giro del mondo, dichiarando - urlando -le condizioni disumane in cui si travano a vivere i profughi nel centro di prima accoglienza di Lampaduza (o detenzione? - si chiede l'autore).
Quello che era nato come un diario di impressioni e di piccole note quotidiane, rimasto poi dormiente dormiente nel PC, in cui l'autore andava mettendo giù le sue riflessioni e i suoi pensieri, è diventato così - proprio a partire da quei fatti un intenso reportàge.
E, in fondo - ma proprio al fondo - rimane la speranza che qualcosa nella tragedia possa cambiare.
"Non temere, amico, arriveremo a Lampaduza in un baleno" (p.101).
Ma, forse, i naufraghi siamo noi, gli Italiani dei prossimi anni, conclude l'autore.
Anche se per fortuna, a darci la possibilità di un riscatto, ci sono stati e ci sono stati - uomini e donne di buona volontà e i lampedusani -non quelli delle istituzioni, ma i cittadini - capaci di gesti di pietas e aperti all'empatia.
E' un diario-reportàge che tutti coloro che vogliono vedere in una maniera diversa la questione di Lampedusa dovrebbero leggere.

E' un libro che getta molti sassi nello stagno dell'indifferenza e della disinformazione, ma anche dei luoghi comuni triti e ritriti, quelli a cui ci abituato la televisione pubblica, narcotizzandoci: e l'autore fa questo attraverso brevi frasi lapidarie che suscitano molti interrogativi e li lasciani aperti, in attesa di risposte oppure di un'assunzione di responsabilità più ferme da parte di coloro che, per ruolo istituzionale, dovrebbero assumersele. Per esempio, - egli dice - che fine hanno fatto i molti minori, arrivati sui barcni, senza genitori e scomparsi senza lasciare traccia? (ib. p. 113).
E Lampaduza è, per questo motivo, anche un'accorta ed intensa testimonianza.
Infine, in un'epoca come la nostra, in cui il giornalismo di cronaca tende a dimenticare, andando alla ricerca di notizie ad effetto, le parole di Camarrone invitano ad una pensosa riflessione e all'approfondimento, attraverso il rimando ad altri testi che pure viene voglia di leggere (come possono quello di Paolo Cuttita (Lo spettacolo del confine, Mimesis, 2012) o il non recentissimo ma di una straziante, libro inchiesta di Giovanni Maria Bellu, I fantasmi di Porto Paolo (Mondadori, 2004) che quando uscì squarcio un velo di colpevole silenzio su una delle più grandi tragedie del mare di questi anni di migrazioni.
E, in questo senso, è di supporto al lettore curioso (ed indignato), un ricco apparato di note che integrano ciò che in un testo diaristico non può essere collocato ma che ha una grande importanza per l'ampliamento e l'articolazione del punto di vista offerto.

 

 

Un diario e un reportage, scritto con i piedi piantati in quella terra senza un albero e lo sguardo volto al resto del Mediterraneo, all’Italia e all’Europa. Racconta insieme e per piani comunicanti tutto ciò che nell’isola si è intersecato negli anni più terribili quelli in cui Lampedusa è stata contemporaneamente la capitale dei diritti umani e ha provato a suicidarsi.
(Dal risguardo di copertina) "I migranti potrebbero sbarcare a Pantelleria, più vicina all'Africa, o in Calabria, o nel Canale di Otranto. E invece scelgono Lampaduza. Perché mai? La risposta è che Lampaduza è un confine deciso dal libero arbitrio politico e sociale ed ha assunto un significato simbolico e un ruolo concreto. A Lampaduza hanno messo in scena la frontiera: lo spettacolo della migrazione. Ma è dai confini, così come dalle prigioni, che si giudica uno Stato". Il 3 ottobre 2013 davanti alle coste dell'isola è accaduto il più grave incidente della migrazione per numero di vittime.
Questo libro comincia un anno prima, quando l'autore, giornalista Rai, si recò sull'isola per lavoro; ed è un racconto, un diario e un reportage, scritto con i piedi piantati in quella terra senza un albero e lo sguardo volto al resto del Mediterraneo, all'Italia e all'Europa. Racconta insieme e per piani comunicanti tutto ciò che nell'isola si è intersecato negli anni più terribili, quelli in cui Lampedusa è stata contemporaneamente la capitale dei diritti umani e ha provato a suicidarsi. L'autore lascia salire alla memoria spunti diversi: il Mediterraneo, mare di naufragi segreti e guerre navali nascoste, di volti e di figure, narrato assieme alla grande migrazione, alle rivolte del Maghreb, agli accordi sciagurati con Gheddafi per i respingimenti, alla Sicilia rete di basi militari, alle vite quotidiane di migranti, al succedersi di sindaci e traversie di politicanti, a piccoli miti e storie lontane.

 

Davide Camarrone (Palermo, 1966) è giornalista della Rai a Palermo, e autore di romanzi, testi teatrali e saggi. Ha scritto il soggetto e la sceneggiatura di «Ce ne ricorderemo di questo pianeta», un docudrama dedicato a Leonardo Sciascia. Con questa casa editrice ha pubblicato Lorenza e il commissario (2006), Questo è un uomo (2009), I Maestri di Gibellina (2011), L'ultima indagine del Commissario (2013) e Lampaduza (2014).

 

 

Al termine della presentazione presso Modus Vivendi ci sarà - come di consueto - una degustazione di vini offerti da Tasca d'Almerita, sponsor di cultura.

Sponsor tecnico: TheHotelSphere - Hotel Plaza Opéra e Hotel Principe di Villafranca - Design Hotel a Palermo - www.thehotelsphere.com

 

 

 

Leggi il primo capitolo

 

 

 

Lampaduza. Il volume di Davide Camarrone sarà presentato il 15 aprile

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8 aprile 2014 2 08 /04 /aprile /2014 06:38

L'alibi della vittima. Un giallo della migliore tradizione che ha delle valenze anche sociologiche(Maurizio Crispi) Si legge bene "L'Alibi della Vittima", il romanzo di Giovanna Repetto, di recente pubblicato da Gargoyle (2013). Il suo incipit è assolutamente accattivante e il lettore è subito condotto con pochi e brevi, ma sapienti, tratteggi  nel cuore della vicenda.
Volendo classificarlo ed ascriverlo ad un "genere", si tratta indubbiamente un Giallo, ma è anche molto di più, sicché è di difficile catalogazione.
E' una storia di personaggi che interagiscono, innanzitutto, senza che nessuno dei caratteri abbia un ruolo dominante sopra gli altri, trattati in funzione delle relazioni che li legano l'uno all'altro, talvolta in modo palese, talaltra in modi occulti e non sempre facilmente decodificabili.
La tecnica del racconto è di tipo cinematografico con una serie di brevi piani-sequenza che corrispondono ai brevi capitoletti in cui è suddiviso, capitoletti che, appunto, più che descrivere azioni, illustrano delle "interazioni". I capitoletti sono accorpati in tre blocchi principali (antefatto, delitto, indagini) - lasciando stare il prologo che ha un suo perché (ma di cui non si può dire nulla, perchè si rovinerebbe l'effetto finale).
La prima parte funge da "preparazione", la seconda racconta degli eventi avvenuti il 2 settembre, giorno in cui viene rinvenuta una "vittima", e - infine - una terza che è quella in cui si dipanano le indagini in cui tutti i personaggi che, nel fatidico giorno, si trovavano a Roma (il luogo dove è stato perpetrato l'omicidio) sono sospettati. 

Ma tutti i possibili sospettati hanno un alibi e forse anche il "morto", cioè la vittima, ne ha uno. 
E' un romanzo in qualche modo corale, poiché tutti hanno un ruolo di non secondaria importanza.
Il filo delle indagini è tenuto e reso noto ai lettori attraverso il "gioco" dei due carabinieri Tomasiello (che ha il polso della situazione nel polo romano delle indagini) ed Esposito (che, invece, porta notizie fresche da Rocca Persa) che, pur senza una funzione ufficiale nell'inchiesta - mettono insieme i pezzi, facendo ipotesi e scartandone altre. 

Le indagini metteranno insieme i pezzi, in qualche modo: ma sarà risolto il mistero?
A questo quesito non si può dare risposta, perché il piacere della lettura e l'originalità di questo romanzo sono tutte qui: nel modo in cui si giungerà alla fine ad una conclusione che appunto renderà il romanzo non "canonico" e in qualche misura dostoievskiano (o freudiano, in qualche misura).


Sullo sfondo, con un piglio quasi sociologico, si delineano la complessa operatività dei Servizi per le Tossicodipendenze, i rapporti difficili e conflittuali con gli utenti, con i mandati istituzionali, con le Comunità terapeutiche; e, infine, quello del malaffare e dei traffici loschi, tra cui quello delle droghe: un mondo - quello dei Ser.T (Servizi per le Tossicodipendenze, le strutture pubbliche, che come articolazioni operative delle ASL, si occupano a pieno tondo dei problemi complessi legati alle Dipendenze patologiche) - che la scrittrice conosce molto bene, avendovi lavorato come psicologa.
Attraverso i dialoghi di Lina (la psicologa del Ser.T) e l'assistente sociale "Holy Mary", viene fornito ai lettori un quadro assolutamente credibile e realistico del lavoro dei Ser.T: mai sinora qualcuno aveva tentato di scrivere un romanzo che facesse diventare materia narrativa ciò che accade nei servizi delle tossicodipendenze e quali sono le molteplici difficoltà con le quali dopo giorno ci si deve confrontare, nel continuo altalenare tra l'approccio ponderato della Psicologo che vorrebbe evitare di dare delle risposte concrete per confrontarsi invece con i suoi pazienti su di un terreno relazionale e per scandagliare le motivazioni e le dinamiche interiori e quello "d'assalto" dell'Assistente sociale che, al contrario, si espone in prima persona, cercando delle vie non ortodosse per la risoluzione dei problemi, anche se queste vie sono contrarie ai mandati istituzionali.

Ovviamente, Rocca Persa e il suo Ser.T non esistono, e sono dei puri elementi fiction, costruiti tuttavia con un grande realismo e con verosimiglianza.
In questo senso, guardando a questa filigrana, è un romanzo che non potrà non piacere a chi lavora quotidianamente nei Servizi per le Tossicodipendenze, perché ci si potrà rispecchiare e ritrovare tanta parte della propria esperienza lavorativa (come è stato per me).

C'è qualcosa - se si fa riferimento a questa chiave sociologica - del dickiano Un oscuro scrutare (A scanner darkly), ma anche - in questo caso - di più non si può dire per non rovinare nei lettori il piacere della scoperta.

(Dal risguardo di copertina) A Rocca Persa, cittadina dell’agro pontino a pochi chilometri da Roma, fa ogni tanto la sua comparsa Memè, individuo di cui non si sa nulla tranne che fa girare cocaina purissima. 
Il Maresciallo Trevisan è sulle sue tracce da mesi, ma l’identità dell’uomo resta ancora un mistero. Perfino per Greta, giovane femme fatale che frequenta assiduamente Memè per “lavoro” e che fa di tutto per sostituirsi a lui nel traffico clandestino.
Al Servizio per le Tossicodipendenze del paese, intanto, l’ostinata assistente sociale Holy Mary e la diplomatica psicologa Lina lottano per debellare il flagello della dipendenza, mettendo a punto percorsi di riabilitazione per un’utenza che spesso si rivolge a loro per problemi ben più gravi della droga.
La sera del 2 settembre viene ritrovato il cadavere di Memè in un appartamento di via Merulana a Roma. La stessa sera molti abitanti di Rocca Persa si trovano nella capitale, ognuno con un alibi più o meno ferreo ma tutti con un movente altrettanto credibile.
Chi è stato allora a uccidere Memè? Il docile Marco, nipote della proprietaria dell’appartamento nonché tossicodipendente di Rocca Persa? Gaetano, ex detenuto per rapina a mano armata? Oppure l’affascinante Greta?

Giovanna Repetto è nata a Genova, risiede da tempo a Roma dove svolge la professione di psicologa, e in questa veste si occupa da trent’anni di problematiche legate alle dipendenze patologiche.
È da vent’anni redattrice della rivista letteraria online Il Paradiso degli Orchi.
Le sue opere di narrativa hanno ricevuto diversi riconoscimenti, fra cui il premio Selezione Bancarellino conferito nel 2000 al romanzo per ragazzi La banda di Boscobruno (Mobydick 1999) e il premio Navile Città di Bologna per Palude, abbracciami! (Mobydick 2000).
Ha pubblicato inoltre i romanzi La gente immobiliare e Cartoline da Marsiglia (Mobydick 2002 e 2004).

 

 

 

 


Ecco il booktrailer

 


 

 

 




Intervista all'autrice sul romanzo

 

 

 

 


 

Ho scritto all'autrice: Lo sto leggendo in questi giorni... La lettura mi sta trascinando, cosa che non sempre accade quando si entra in un nuovo testo e occorre prendere dimestichezza con i diversi personaggi. Ancora è prematuro per me formulare un'impressione esaustiva, tuttavia, Quando avrò metabolizzato il tutto scriverò - come di consueto - una recensione nel mio blog. Intanto, sempre che sia Lei l'autrice del volume, devo dirle che la parte riguardante i riferimenti alle tossicodipendenze e al lavoro con i Sert (assieme al controverso rapporto con le Comunità Terapeutiche) è perfetto, ma del resto riflette la sua pluriennale esperienza di lavoro con le tossicodipendenze, come è specificato nel risguardo di copertina, tra le notizie che riguardano l'autore. Questa struttura nella struttura e i personaggi che vi ruotano intorno possono resistere alle critiche più severe. Glielo dico alla luce della mia personale esperienza, visto che per la maggior parte della mia vita lavorativa (ora sono in pensione) ho lavorato appunto con le addiction patologiche, stando dalla parte del Servizio pubblico, dove sono stato Dirigente Responsabile di un Ser.T di Palermo (sono medico-psichiatra, con formazione psicoanalitica). Quindi, sto apprezzando questa parte dell'impianto narrativo che mi riporta indietro di molti anni e soprattutto all'entusiasmo pionieristico che circondava questo lavoro quando ancora i Ser.T come li conosciamo ora non esistevano nemmeno nella mente del Legislatore e tutto doveva essere improvvisato, procedendo per prove ed errori (le mie prime esperienze lavorative nel campo risalgono al 1977, quando - nel corso della mia specializzazione - a Milano cominciai a seguire i primi tossicodipendenti (all'inizio da eroina e, in alcuni casi, anche da anfetamine).
Adesso in pensione, svolgo quasi esclusivamente attività di scrittura e giornalistiche.
Cordiali saluti,
PS - Inserisco qui di seguito l'indirizzo web del mio blog

 

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7 aprile 2014 1 07 /04 /aprile /2014 07:55

I Tre demoni. Una nuova avventura nella saga di Charlie Parker, tra scavo psicologico e territori oscuri(Maurizo Crispi) Leggo sempre con grandissimo piacere i romanzi di John Connolly, che - come sanno i loro fan ed io rientro nella categoria, ritenendomi un suo fedele lettore a tutti gli effetti -, a parte qualche opera (non di eccezionale levatura) in cui il nostro si esercita nel genere fantastico, sono tutti capitoli dell'interminabile saga dell'ex-poliziotto e detective privato Charlie Parker, omonimo del grande trombettista jazz Charlie "Bird" Parker.
Segnato dalla tragica morte di moglie e figlia e costretto ad abbandonare la Polizia regolare, tutta la sua successiva carriera investigativa è centrata sul tentativo di saldare i conti con il passato, superando un devastante complesso di colpa. Infatti, della loro morte, lui si sente in qualche modo responsabile, poiché al momento della tragedia che lo ha colpito si stava ubriacando.
Nel corso d'una serie di indagini private (si ricicla come investigatore privato dopo essere stato espulso dalla polizia regolare), d'altra parte, egli si imbatte in truci personaggi che, pur reali, nello stesso tempo sono (e si muovono) al limitare di una "zona oscura" che è l'anticamera del regno delle ombre, dei morti che sussurrano, ma anche di orrori senza nome.
Le sue indagini lo portano ad incrociare più volte la sua strada con l'assassino della moglie e della figlia e, man mano che le sue storie si dipanano si comprende che, nulla è accaduto per caso e che lui è al centro d'una trama più vasta che possiede delle caratteristiche sovrannaturali e che lo porta a confrontarsi con demoni lovecraftiani e con entità senza nome.
In questa dimensione "crepuscolare" e visionaria c'è tutto il fascino delle avventure di Charlie Parker che, in un certo senso, si allinea - pur non volendolo lui stesso - tra le figure letterarie di "investigatori dell'occulto".
C'è anche da dire - ad accrescerne il fascino - che queste storie, in massima parte (pur se con delle escursioni affascinanti, anche europee) si svolgono nel misterioso ed amato Maine (teatro di tanti romanzi di Stephen King) e che - se ci sono intrigo, avventura, emozioni da thriller e terrori da horror - vi sono anche tanta, tantissima interiorità e scavo psicologico del protagonista alle prese con la nostalgia per le sue perdite.
I tre demoni, uno degli ultimi ad essere tradotto pubblicato in lingua italiana, pubblicato da TimeCrime nel 2013 (titolo originale: The Whisperers) non tradisce le attese.
Si legge come gli altri, presi dall'ingranaggio e travolti dalla compenetrazione dei diversi piani del poliziesco d'investigazione, del thriller, dell'horror e del paranormale.

Ancora una volta Charlie Parker si imbatte nel "Collezionista" e, stranamente, per una volta sono coinvolti in una strana - per quanto temporanea alleanza.
Peccato che nel titolo dell'edizione italiana (non si sa per quale motivo) si sia perso quello originale che tradotto suonerebbe "coloro che sussurrano" e che, a mio modo di vedere, è un implicitpo omaggio al "Solitario di Providence" - cioè il visionario H.P. Lovecraft - al suo magistrale piccolo racconto "Colui che sussurrava nel buio".

I Tre demoni. Una nuova avventura nella saga di Charlie Parker, tra scavo psicologico e territori oscuri(Sinossi dal risguardo di copertina) Charlie Parker ha da poco riavuto la sua licenza di investigatore privato quando viene interpellato da Bennett Patchett, il proprietario di un diner nei pressi di Portland, piuttosto scettico riguardo alle circostanze del suicidio del figlio, reduce dell’Iraq. Non ci vuole molto perché si scopra che Joel Tobias, ex comandante della squadra di Damien Patchett, conduce uno stile di vita decisamente sopra le righe e che i suoi andirivieni dal Canada sono tutt’altro che innocui viaggi di lavoro. Intanto, con ritmo implacabile, si susseguono i suicidi nell’ex-brigata Stryker, responsabile del trafugamento dal Museo di Baghdad di un misterioso scrigno da cui sembrano provenire inquietanti sussurri.
Stanno morendo tutti... E due personaggi sospetti si scorgono sullo sfondo.
Il primo, Herod, deturpato nell’aspetto da un male incurabile, aspetta di portare a termine il proprio folle percorso di morte e rigenerazione; l’altro, il Collezionista, caccia nell’ombra come sicario di Dio, gloriandosi di macabri trofei.
Nel buio, là dove le forze oscure si scatenano, Parker sarà forse costretto a stringere una terribile alleanza, per poi scoprire, ancora una volta, che non c’è soluzione senza ambiguità.

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25 marzo 2014 2 25 /03 /marzo /2014 18:01

Droghe tribali. La ricerca instancabile della I volumi di Giorgio Samorini sono il frutto d'una costante ed instancabile ricerca nel mondo complesso ed articolato delle sostanze psicoattive che producono stati alterati di coscienza. In questo senso, egli merita l'appellativo di "psiconauta" (come si definiroro a suo tempo i collaboratori di "Altrove", la rivista periodica e specializzata sui temi degli Stati modificati di coscienza): le sue incursioni hanno il pregio di mostrare come, nella storia dell'Umanità, vi sia stata - specie nei primordi (ma ancora presso alcune società tradizionali) - una costante ricerca di sostanze provenienti dal mondo animale e vegetale che potessero indurre stati alterati di coscienza, conducendo ad un possibile "altrove" dal quale ricavare visioni estatiche, oppure ottenere forza ed energia, oppure ancora migliorare le proprie percezioni, o ancora parlare con i defunti.
Tale ricerca è stata da sempre accompagnata dalla definizione dei modi - alcuni dei quali ritualmente complessi - per ottenere gli effetti desiderati a partire da parti grezze di organismi vegetali ed animali.

Ed è sorprendente constatare come tante delle sostanze che oggi utilizziamo come semplicemente voluttuarie (come ad esempio il tabacco o l'alcool) fossero in origine collegate con un uso rituale enteogeno.
"Droghe tribali"
(ShaKe Edizioni, 2012, Collana Underground), che nasce come una raccolta di articoli pubblicati negli anni passati su riviste specializzate (alcuni di essi sotto pseudonimo), propone appunto una carrellata su molti di questi aspetti.
La cosa più sorprendente è vedere come nelle società tradizionali tutte le fonti possibili di sostanze inebrianti fossero prese in considerazione, così come anche venissero sperimentate tutte le possibili vie di assunzione, ma sempre - badiamo bene - all'interno d'un contesto fortemente ritualizzato.
In ciascun capitolo (compreso quello che esamina sia il cannibalismo, sia l'antropologia rituale come strumenti per raggiungere stati alterati di coscienza) sono numerosissimi gli esempi tratti da un'attenzione trasversale che si estende sia a civiltà e a culture oggi estinte, sia ad alcune società tradizionali ancora operanti.


Dall'ultima di copertina. Cibi divini, alimenti per l'anima o strumenti visionari per il contatto col mondo sovrannaturale? Queste sono alcune delle principali ragioni per le quali le popolazioni tribali assumono droghe, attraverso l'ingestione di centinaia di formiche rigorosamente vive, lo scorticamento di parti di pelle per assorbirne gli effetti attraverso la ferita, la golosa ricerca di putrefazioni cadaveriche umane o ristillazione negli occhi di corrosivo succo di millepiedi. Nonostante l'apparente irrazionalità, c'è tanto significato, umanità ed emozione in questi comportamenti estremi. Nella cultura occidentale si continua a vedere le droghe come una forma di fuga dalla realtà. Nel mondo tradizionale, ma anche in alcuni ambiti del mondo moderno occidentale, il suo uso invece è ampiamente dettato da motivazioni differenti, spesse volte con l'opposto intento di "vedere meglio la realtà": come negli scopi spirituali-religiosi, sciamanico-terapeutici, magico-divinatori, iniziatico-pedagogici, come correttivi del carattere, per scopi giudiziari, o come viatici pre-morte.

 

 

 

Tra i tanti ricercatori enteogeni, si può annoverare anche lo scrittore statunitense Williams Borroughs, uno dei guru della Beat Generation e grande sperimentatare di principi psicoattivi, nonchè da sempre dipendente dall'eroina: egli , alla luce delle sue personali esperienze, scrisse un breve saggio preconizzando l'uso della Ayahuasca come strumento per il trattamento delle Addiction (Williams Borroughs, The Yage Letters, pubblicato in Italia per la prima volta da Sugar editore, con il titolo "Lettere dello Yage" cui si aggiunge un contributo di Allen Ginsberg nei panni di psiconauta alla ricerca di visioni per i suoi poemi, ed ora disponibile in una riedizione per i tipi di Adelphi)

 



 

 

 


Droghe tribali. La ricerca instancabile della William S. Borroughs, Allen Ginsberg, Lettere dallo Yagé, Adelphi, 2010.  Lungo un decennio, dal 1953 al 1963 – nel pieno della loro amicizia –, William Burroughs e Allen Ginsberg intrattengono un epistolario «lisergico» tra i più immaginifici e radicali di tutto il movimento Beat, di cui rappresenta una vera sintesi estetica e cognitiva.
Ma se il contributo di Ginsberg è concentrato in sostanza in una lunga lettera-poema da Pucallpa (Perù) dove gli effetti dell'ayahuasca si traducono in una visionaria tragicità cosmologica, i molti referti di Burroughs coniugano alle visioni dell'alterazione psicofisiologica lo sguardo acuto e mimetico dell'antropologo sul campo, fino a rendere i due piani intercambiabili.
Burroughs si abbandona infatti alle tante droghe cercate e provate lungo un percorso che oltre al Perù comprende anche Panama e la Colombia – dalla liana dello yoka al mitico yage, estratto di una pianta che spalanca nella mente sterminati territori onirici.
E nel contempo registra ogni frammento del paesaggio circostante, con esiti di violenta ambivalenza: in primo piano, una catena di fisionomie squallide di rado interrotta da qualche oggetto di accensione omoerotica, come il ragazzo di Cali dai «delicati lineamenti ramati» e dalla «bellissima bocca morbida»; sullo sfondo, luoghi e paesi degradati ma collocati in una natura immensa e sgomentante. E la cerniera tra la percezione-allucinazione e il mondo esterno è data come sempre da una scrittura eversiva, la cui inconfondibile tonalità horror si vena qui di una corrosiva ironia.

 


 


 
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17 marzo 2014 1 17 /03 /marzo /2014 20:02

Doctor Sleep. Un romanzo che non è un semplice sequel di Shining e che parla del passaggio all'età adulta e al tempo dell'assunzione delle responsabilità(Maurizio Crispi) Un'opera di Stephen King si può recensire in molte o in poche parole, come anche può essere piaciuta tanto da collocarla al top della sua produzione o, viceversa, non tanto.
Dopo tante attese su - nientemeno - il seguito di Shining (un vero "mostro sacro" nella produzione letteraria del Nostro, la cui fama - per di più - é stata amplificata da un magistrale film di Kubrik, tuttavia sconfessato per misteriosi motivi da King, perchè non rispondente alla sua parola scritta), molti - apparentemente - nel trovarsi tra le mani la sua ultima creatura "Doctor Sleep" (Sperling&Kupfer, 2014) ne sono rimasti delusi.
Chiariamo, un punto, innanzitutto.
Doctor Sleep non è un pedissequo e sequel di uno dei più celebri romanzi de Il Re. Definirlo tale sarebbe banalizzarlo.
Da esso, tuttavia, prende le mosse.
Come spiega lo stesso Autore nella sua puntuale postfazione (come sempre indirizzata al suo "fedele lettore"), per moltissimi anni dopo l'uscita di Shining (ma anche del film), erano tanti i lettori che gli chiedevano notizie sul piccolo Dan Torrance, che possedeva la qualità della "luccicanza" (cosa gli era accaduto dopo la morte del padre e la rovina dell'Overlook Hotel? Come era cresciuto? Cosa aveva fatto nella vita?), quasi che egli fosse un personaggio reale che si era perso di vista.
A distanza di oltre 30 anni, Stephen King ha accettato la sfida e ha deciso di provare a scrivere la storia di Danny, nel frattempo divenuto un giovane adulto, anche se non esattamente felice, nel momento in cui lo rincontriamo.
Malgrado che - grazie ai buoni consigli di Richard halloran, cuoco dell'Overlook, intervenuto in extremis a salvarlo con la mamma Wendy dalla follia omicida del padre Jack - egli abbia trovato un modo di tenere a bada di tenere i fantasmi che ogni tanto tornano a visitarlo, la sua vita è un disastro.
La paura delle visioni (di quelle visioni legate all'Overlook) è troppo forte, ma soprattutto quella capacità di essere in contatto con l'Io nascosto degli altri e di percepire i loro pensieri e il loro lato oscuro, è per lui un costante disagio che presto impara a tenere a bada con l'alcol.
Ma - caso o necessità - quando ha raggiunto il fondo (per usare l'espressione cara agli AA) e mentre sta cercando di riemergere, dovendo di continuo confrontarsi con i sensi di colpa per i danni che ha causato agli altri nella sua esistenza vissuta irresponsabilmente tra una sbornia e l'altra, giunge in una piccola cittadina montana dell'Est (nel New Hapshiree) e qui si ferma per intraprendere un suo percorso di riabilitazione, dando ascolto ad una voce interna che gli dice: "Questo è il posto".
Non dirò di più sulla trama, se non il fatto che, nel corso della lettura, si raggiunge un picco di tensione e di piacere a circa metà della storia (che si dipana in oltre 500 pagine), mentre nella seconda metà il flusso narrativo prende una piega relativamente quieta e quasi scontata.
A mio avviso, e a dispetto delle critiiche che gli amanti dei romanzi in copia carbone hanno formulato, c'è una ragione in tutto ciò ed è - credo - il fatto che ogni romanzo rispecchi lo stato evolutivo e l'età, non solo del suo personaggio protagonista, ma anche dell'autore che lo ha scritto.

Momento evolutivo: sì!
Ogni individuo, di fatto, nell'arco della sua vita vive esperienze diverse, evolve e si trasforma.
Se guardiamo i romanzi di Stephen King, nel loro insieme oppure ci soffermiamo su questi due in particolare, scritti a distanza di otre 30 anni uno dall'altro, possiamo dire che, come nel naturale sviluppo psico-affettivo, all'inizio prevalgano i grossi contrasti, i momenti in cui i massimi sistemi sono in conflitto quelli delle grandi battaglie tra il Bene e il Male, con l'Orrore che è sempre dietro la porta (oppure sotto il letto), pronto a gherrmire il malcapitato che osi soltanto curiosare.
Per contro, i suoi romanzi più recenti sono nostalgici, narrano di piccole cose, di rievocazioni d'un passato ormai lontano (vedi, ad esempio "Joyland" che ha immediatamente preceduto Doctor Sleep)  e del tempo della giovinezza del protagonista (che è anche l'autore).
Voelndo formulare le cose in termini di psicologia dell'età evolutiva, si potrebbe dire che Stephen King nel suo personale processo di elaborazione interiore (di cui i suoi romanzi sono lo strumento principe, per quanto non dichiarato, perchè se interrogato lui risponderebbe che scrive solo romanzi, senza alcun intento autobiografico o di confesssione interiore) sia passato da una fase schizo-paranoide (intesa nel senso kleiniano del termine, ad una fase propriamente depressiva, che riflette l'attitudine interiore di un uomo che è finalmente divenuto adulto e che riflette sui danni che l'indulgere alle tempeste dell'assetto schizo-paranoide - e la megalomania sottesa - ha provocato agli oggetti relazionali e all'impossibilità di ripararli del tutto, anche se rimane aperta la possibilità di "redimersi" (cosa che del resto inizia a fare Danny, quando - lavorando come carer in una casa di riposo per anziani, si ritrova naturalmente ad assistere i morenti, usando con loro le sue facoltà empatiche per assicurare loro un trapasso sereno e privo di ansia).
Quando un individuo (sia attraverso un percorso terapeutico, sia seguendo altre vie, come può essere il supporto di un gruppo di auto-aiuto quali sono i gruppi AA) approda alla fase depressiva, sembra che nella sua vita non succeda più niente di rilevante: le relazioni con gli altri si fanno quiete, non hanno più la qualità tempestosa di prima, la routine di vita si fa quieta e tranquilla, come espressione del raggiungimento di uno steady state.  Nello stesso tempo si affaccia all'orizzonte mentale un'inedito stato melanconico che lo porta a riflettere con nostalgia al tempo perso in cose futili e dannose, ma anche il rimorso per il danno causato ad altri e la tristezza per non potere più porre rimedio, assieme al al dolore per l'irrimediale confronto con oggetti relazionali rotti e danneggiati con i quali bisogna imparare a convivere, amandoli per quelli che sono.
E' la condizione tipica che fece dire ad un giovane psicoanalista in supervisione, al suo supervisore: "Con questo paziente, sembra che non succeda più niente di rilevante. E' diventato poco interessante. Mi sembra che sia depresso".

E, a quel punto, il supervisore, masticando e suggendo il cannello della sua pipa, gli rispose: "Bene, bene! Se è depresso, allora finalmente comincia a stare meglio!".
Scusatemi la breve digressione che vuole essere anche un omaggio alla memoria di uno dei miei supervisori nel percorso psicoanalitico che segui a suo tempo (il dottor Roberto Tagliacozzo, purtroppo da qualche anno scomparso), ma mi è sembrato che l'esempio fosse calzante per applicarlo all'analisi di un'opera letteraria.
Dan (e dietro di lui, l'autore) è a un punto di svolta della sua vita e vive il cambiamento faticosamente: soprattutto, perchè sembra che non accada più nulla di importante nella sua vita (anche se non beve più e dunque sta meglio), ci sono soltanto piccoli eventi quotidiani, il confronto assilante con i propri ricordi, con le proprie sofferenze, con un passato ingombrante e con delle derive che devono essere di continuo contrastate e rintuzzate.
Doctor Sleep. Un romanzo che non è un semplice sequel di Shining e che parla del passaggio all'età adulta e al tempo dell'assunzione delle responsabilitàC'è per Dan Torrance il bisogno di affrontare il presente, redimendosi dalle azioni compiute in passate: e ciò accade attraverso il confronto diuturno con il proprio dolore e con quello degli altri.
Piccole cose, minuti accadimenti, con la vita che scorre - dopo giorno - come un ampio fiume tranquillo, dove tuttavia si ritrovano - o si trovano - gioie ed affetti. E dove si può ritrovare la capacità di amare pienamente gli oggetti relazionali danneggiati e dove ci si può riappacificare con il passato.
Un fiume tranquillo, sì, ma un fiume dove all'improvviso può comparire una rapida perigliosa che lo riporta all'improvviso a quel passato che si vorrebbe dimenticare (i fantasmi dell'Overlook tornano a perseguitare Danny, ma sarà soltanto per poco): la posizione schizo-paranoide è insidiosa e le derive verso di essa sono forti, ma è anche uno strumento di conoscenza e di controllo della realtà.
Occorre che Dan affronti un'ultima sifda prima di approdare definitivamente alla propia vita di adulto.

Forse, proprio per questo, si ha la sensazione (e ciò può capitare a quelli che vorrebbero leggere i romanzi di Stephen King come tante copie conformi di una matrice originale), che Doctor Sleep finisca e si concluda a coda di topo.
Ma è la posizione nei confronti della vita di Stephen King ad essere cambiata nel frattempo.

Aggiungiamo, per completezza, che Doctor Sleep è anche un romanzo sulla dipendenza alcoolica, sul "toccare il fondo", e sulla via di uscita da essa attraverso il lavoro su se stessi, catalizzato dall'incontro con l'organizzazione di AA (Alcoholics Anonymous) che, Stephen King mostra di consoscere a fondo - e non soltanto per la lettura di una documentazione sull'argomento o per semplice cultura libresca, ma probabilmente per esposizione personale ad un perocrso similare, visti i suoi trascorsi etilici (e di utilizzo, forse, anche di altre sostanze psicoattive).
In questo senso, è un grande omaggio alla filosofia AA, cioè quella del "giorno dopo giorno", professando come principio basilare la necessità di una resa ad un potere superiore (aconfessionale).
Se si legge Doctor Sleep, tenndo conto di questi possibili riferimenti, ci si renderà conto che ancora una volta siamo davanti ad un grande romanzo.
D'accordo, potrà piacere o non piacere!
Ma a me è piaciuto e ho provato a spiegare perché.
Non piacerà certamente a coloro che cercano sempre i grandi conflitti tra Bene e Male, le descrizioni terrorizzanti, il sangue sparso, le membra straziate e, soprattutto, non piacerà a coloro che sono lontani dall'aver ancora raggiunto un tranquillo - seppur precario - equilibrio nella propria esistenza, essendosi lasciati alle spalle trascorsi tumultuosi e problematici, o che hanno fronteggiato la morte, una grave malattia o una severa forma di addiction.

Doctor Sleep. Un romanzo che non è un semplice sequel di Shining e che parla del passaggio all'età adulta e al tempo dell'assunzione delle responsabilità(Dal risguardo di copertina) Perseguitato dalle visioni provocate dallo shining, la luccicanza, il dono maledetto con il quale è nato, e dai fantasmi dei vecchi ospiti dell'Overlook Hotel dove ha trascorso un terribile inverno da bambino, Dan ha continuato a vagabondare per decenni. Una disperata vita on the road per liberarsi da un'eredità paterna fatta di alcolismo, violenza e depressione. Oggi, finalmente, è riuscito a mettere radici in una piccola città del New Hampshire, dove ha trovato un gruppo di amici in grado di aiutarlo e un lavoro nell'ospizio in cui quel che resta della sua luccicanza regala agli anziani pazienti l'indispensabile conforto finale. Aiutato da un gatto capace di prevedere il futuro, Torrance diventa Doctor Sleep, il Dottor Sonno. Poi Dan incontra l'evanescente Abra Stone, il cui incredibile dono, la luccicanza più abbagliante di tutti i tempi, riporta in vita i demoni di Dan e lo spinge a ingaggiare una poderosa battaglia per salvare l'esistenza e l'anima della ragazzina. Sulle superstrade d'America, infatti, i membri del Vero Nodo viaggiano in cerca di cibo. Hanno un aspetto inoffensivo: non più giovani, indossano abiti dimessi e sono perennemente in viaggio sui loro camper scassati. Ma come intuisce Dan Torrance, e come imparerà presto a sue spese la piccola Abra, si tratta in realtà di esseri quasi immortali che si nutrono proprio del calore dello shining.
 

 

 

Doctor Sleep. Un romanzo che non è un semplice sequel di Shining e che parla del passaggio all'età adulta e al tempo dell'assunzione delle responsabilitàLa recensione di IBS. L’Overlook Hotel non esiste più. Raso al suolo da un incendio causato da una caldaia difettosa, l’albergo più inquietante della storia letteraria e cinematografica di tutti i tempi è ora soltanto un cumulo di cenere e macerie.
In tre sono sopravvissuti al disastro: la moglie e il figlioletto del custode ubriacone Jack Torrance e il cuoco dell’albergo, Richard Halloran. In seguito all’esplosione i due adulti hanno riportato gravi ferite, mentre il bambino, illeso fisicamente, si è ritrovato con una psiche completamente devastata.
Doctor Sleep racconta cosa è accaduto dopo quell’esperienza terribile e narra la storia di Dan, il piccolo bambino che nel film di Kubrick vagava, smarrito, per i corridoi dell’Overlook, cercando di sfuggire alla furia di Jack.
L’idea del romanzo è venuta a King dopo aver lanciato nei mesi scorsi un sondaggio dal proprio sito in cui chiedeva ai lettori se avessero preferito il sequel di Shinning oppure un nuovo libro della serie Dark Tower.
L’esito non ha lasciato dubbi: tutti aspettavano di conoscere la sorte del povero Dan. Da queste premesse nasce Doctor Sleep

Nel sequel ritroviamo il bambino che, salvatosi dalla pazzia del padre, combatte ancora con i demoni della sua mente: i maledetti fantasmi dell’Overlook che continuano a tormentarlo fino a farlo cadere nell’alcool e a imprigionarlo in una forma di depressione acuta.
Questa sorta di autodistruzione si conclude quando, all’alba dei quarant’anni, Dan chiede aiuto agli alcolisti anonimi che lentamente lo riportano alla vita. In quegli anni il ragazzo decide di sfruttare il dono dello shinning per curare, insieme ad un gatto dai poteri paranormali, i malati terminali di un ospizio: è il Doctor Sleep di cui parla il titolo.
Nel frattempo incontra Abra, l’altra grande protagonista del libro, una ragazzina dotata dello stesso potere di Dan, la luccicanza, e per questo inseguita da una banda di malvagi: i True Knot, vampiri dello shining alla ricerca dei bambini con questo dono per poterli uccidere e assorbirne il potere.
Non è necessario aver letto Shining per farsi inquietare dalla lettura di Doctor Sleep, questo nuovo romanzo vive da sé grazie ai diversi temi che affronta: è soprattutto un libro sulla sensibilità che diventa condanna e sulle dipendenze, famiglia in primis.
L’autore torna a parlarci dei sogni che generano mostri: Danny è costretto a fronteggiare da una parte i demoni della stanza 217 dell’Overlook Hotel, e dall’altra gli spietati True Knot. La scrittura di King è sempre avvincente e anche quando tende troppo alla suspense o al paranormale non perde mai di vista il pathos e l’aspetto umano.
La storia, che si risolve nella lotta epica tra il Bene e il Male, si sviluppa attraverso registri narrativi che fondono insieme realismo e fantasia. Alla fine della lettura il romanzo ci restituisce la sensazione che è impossibile sfuggire ai propri demoni e la consapevolezza, in parte nichilista, che nessuno è davvero innocente, nessuno si salva davvero e nemmeno al piccolo bambino che vagava con il triciclo è concesso avere una vita ordinaria.

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12 marzo 2014 3 12 /03 /marzo /2014 10:49

L'Assassino che viaggiava nel tempo. Un thriller filosofico sull'estetica del delitto(Maurizio Crispi) L'Assassino che viaggiava nel tempo di A. K. Benedict (Castelvecchi, 2013), nella traduzione di A. De Marco (titolo originale: The Beauty of Murder) é un romanzo sicuramennte ingegnoso, costruito come un thriller, ma - in realtà - un po' "metafisico", nel senso che offre all'autore la possibilità di disquisire sull'"estetica" del crimine, introducendo al tempo stesso l'elemento affascinante, fuori dal comune e "anomalo" (nel senso che, di tale possibilità, non viene data alcuna spiegazione "scientista") della traslocazione temporale, come espressione di un "potere della mente" che solo alcuni sanno utilizzare in modo consapevole: un'inspiegata capacità che solo alcuni posseggono e che altri invece possiedono sopita e non utilizzabile)
Per questo motivo, la trama risulta forse un po' farraginosa, e spiazzante, anche perché vi un continuo mutamento del vertice di osservazione: in alcuni passaggi, corrispondenti a piccoli capitoli in corsivo, il soggetto narrante cambia e vediamo le cose - per così dire - con lo sguardo dell'assassino o con lo sguardo del protagonista Stephen Killigan, professore di filosofia, di fresco arrivato al Sepulchre College di Cambridge (non essitente nella realtà, ma appositamente creato ai fini della narrazione).
E qui sta uno degli aspetti confondenti del romanzo, fino a quando il lettore non riesce a farci l'abitudine e ad orientarsi tra questi continui sbalzi tra l'epoca attuale e quella della Cambridge seicentesca, magistralmente ricostruita.

I viaggi nel tempo dal punto di vista letterario sono una "brutta bestia", sia nel loro processo di costruzione da parte dell'autore, sia dal punto di vista del lettore.
Ed è stato per questo motivo che del "viaggio del tempo" (a partire dal romanzo capostite di Herbert George Wells, "La Macchina del tempo", da parte di alcuni è stato codificato un corpus di proprietà e di regole inderogabili, così come - spostandosi di ambito - le famose "tre leggi della Robotica", inventate da Isaac Asimov, sono diventate
per tutti quegli scrittori SF che volessero scrivere storie di Robot un "must" cui uniformarsi .
 

 

Nel corso del romanzo i delitti vengono perpetrati sino al completamento di un'efferata architettura del crimine, uno degli esecutori materiali verrà arrestato e punito per i suoi misfatti. Ma la capacità di viaggiare nel tempo non consentirà a Milligan di salvare le vittime o di prevenire gli atroci delitti che, tra l'altro, lo colpiscono personalmente.

Tutto ciò che rimane, del romanzo della Benedikt - in conclusione - è una considerazione finale sull'estetica del delitto ovvero su "The Beauty of Murder", appunto, come recita il titolo originale dell'opera.

E' singolare che questo romanzo sia uscito quasi contemporaneamente a "The Shining Girls" (recensito su questa pagina)  che pure si occupa - anche se in modi totalmente diversi - di un serial killer che si muove avanti ed indietro nel tempo. 
Per non parlare poi, del romanzo di Stephen King che li ha preceduti entrambi di qualche anno: è il riferimento è a 22/11/63 (pubblicato nel 2011, da Sperling&Kupfer), il cui protagonista, avendo trovato la possibilità di passare da un piano temporale all'altro, studia un piano per sventare l'assassinio di John Fitzgerald Kennedy. Ma le cose non sono così semplici, perchè una delle leggi ferree del viaggio nel tempo è che non si possono cambiare gli effetti futuri di una singola azione avvenuta nel passato, semplicemente cancellando quell'azione, salvo a determinare una - come spiega King nella sua storia magistrale, una delle migliori da lui scritte nella sua produzione più recente e l'unica del suo corpus di opere che abbia come oggetto la traslocazione temporale - una moltiplicazione di piani temporali in cui la storia è andata diversamente, creando delle biforcazioni nell'evoluzione temporale, sino alla vertigine.
A proposito di questa moltiplicazione di "casi" lettterari, al di fuori del mainstream codificato dalla SF, i casi sono due: o qualcuno imita qualcuno; oppure, per una singolare concomitanza di fattori, - come avviene per le scoperte scientifiche oppure, per certi improvvisi cambiamenti nell'espressività artistica - molti e in luoghi diversi, contemporaneamente, si sono ritrovati ad occuparsi di questa tema, in modo anticonvenzionale rispetto ai "canoni" preesistenti e condivisi.


(Dal risguardo di copertina) Da quando è arrivato a Cambridge per insegnare metafisica al Sepulchre College, il giovane Stephen Killigan ha freddo. C'è qualcosa, in quelle pietre austere che hanno visto passare settecento anni di storia, che gli dà i brividi. E quando una sera scopre il cadavere di una reginetta di bellezza scomparsa un anno prima, con il volto coperto da una maschera di pietra, crede di aver compreso il motivo. Ma all'arrivo della polizia il corpo è scomparso senza lasciare traccia, e Killigan si ritrova di fronte a un mistero inquietante, e a un assassino che sembra agire secondo le leggi del paradosso. Con l'aiuto di un'affascinante archivista e di un'anziana e screditata professoressa di fisica, comincia a muoversi tra il presente e la Cambridge del Seicento, cercando di districare i fili aggrovigliati dello spazio-tempo e di capire se lui stesso sia sull'orlo della follia o di una scoperta straordinaria. Tra visite a cittadine costiere dal fascino

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11 marzo 2014 2 11 /03 /marzo /2014 06:42

Virginia Wolf diventa lupo. Una storia per l'infanzia che è anche molto altro(Maurizio Crispi) Virginia Wolf. La bambina con il lupo dentro scritto da Kyo Mclear e disegnato  da Isabelle Arsenault (Rizzoli Editore, Collana Album, 2014) é un bel libro, decisamente.
Pensato per l'infanzia (età consigliata di lettura dai 7 anni), certo, ma con dei contenuti che fanno riflettere.
A quanto pare, la breve storia allegorica è realmente ispirata alla famosa scrittrice Virginia Woolf (qui "Wolf") e alla sorella Vanessa Bell, successivamente divenuta apprezzata pittrice e componente del "Bloomsbury Group").

Virginia bambina si ritrova "lupo" (Woolf con un gioco di assonanza diventa "wolf"), non vuole parlare più con nessuno, se ne sta a letto tutto il giorno, seppellita dalle coltri, il mondo si capovolge e il sopra diventa sotto e sembra che non possa esserci più luce a rallegrarlo.
La sorellina cerca di rianimare Virginia, attirando la sua attenzione su questo e quello, proponendole di fare delle cose ed intraprendere dei giochi, ma invano. 

Virginia, in una situazione che sconfina con una sorta di isolamento autistico, rifiuta ogni proposta e afferma soltanto che vuole andare in un posto che si chiama "Bloomsberry" (in assonanza con "Bloomsbury": come a dire che vuole andare nel paese fantastico che solo la pittura può costruire).
E allora la sorella prende carta e matite e comincia a disegnare un mondo di fiori coloratissimi, di petali che volano delle nuvole cromatiche, di alberi e piante, di farfalle meravigliose e di uccellini canterini dalle piume multicolori e, in questo mondo che finisce con l'occupare tutte le pareti della stanza in cui se ne sta racchiusa Virginia, c'è anche una scala, in modo che "chi sta sotto sotto possa andare sopra": e, a poco a poco, Virginia-lupo si rianima e comincia a guardare interessata, partecipando al gioco creativo.
E, alla fine, come per magia, avviene di nuovo un capovolgimento: il mondo torna a raddrizzarsi, i colori e la gioia e la partecipazione ritornano a far parte della realtà.
Virginia cessa di essere lupo per tornare ad essere una bimba con un nastro che le tiene i capelli legati (che in un gioco di ombre cinesi prende il posto delle grandi orecchie da lupo).
Il libro piccolo (solo 32 pagine), ma fi grande formato e dai disegni coloratissimi a piena pagina, racconta - in modo metaforico - una storia di "breakdown" in cui il mondo conosciuto va a pezzi e si capovolge, lasciando spazio ad una chiusura di fronte alla realtà. 
Solo attraverso l'amore, il gioco creativo e i colori, il mondo può essere ricostruito, un mondo nuovo in cui è possibile vivere ma che - ciò nondimeno -reca tracce della crisi precedente.
E viene sottolineato in maniera forte che questo ripristino, altrettanto forte e netto come la crisi che lo ha preceduto deve avvenire attraverso la relazionalità amorevole: in questo caso da parte di una sorella che non vuole perdere la compagna di giochi.
In questo contenuto (non credo che sia una forzatura di lettura da parte di uno psichiatra, quale io sono nella mia formazione) si ritrova la mission di una delle due autrici (Kyo Maclean) che ha scritto romanzi rivolti proprio ai ragazzini portatori di disabilità e, in quest'ambito, ha vinto un prestigioso premio.

Un esempio di come la letteratura per l'infanzia possa divertire ed intrattenere e, nello stesso tempo, trasmettere dei messaggi profondi.


(Dalla presentazione del volume) Un racconto su due sorelle molto famose, Vanessa Bell e Virginia Woolf, diventa una storia che parla di amore per l'arte, l'immaginazione e i giardini. Un giorno Virginia si sveglia male, non parla e fa strani versi: non c'è per nessuno, vuole solo stare in camera sua, niente le interessa e nessuno la fa stare meglio. Urla, con quella voce strana che ricorda l'ululato di un lupo. Vanessa allora fa quello che sa fare: prende i pennelli, dipinge una parete di fiori e poi un'altra e poi un'altra ancora, trasformando la stanza della sorella in un giardino bellissimo con tanto di scala e altalena "perché quando si è spinti verso il basso si deve pensare alto". Età di lettura: da 7 anni.

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7 marzo 2014 5 07 /03 /marzo /2014 15:48

Sulla panchina. Percorsi dello sguardo nei giardini e nell'arte: il saggio di Jakob aggiunge un ulteriore riflessione colta sulle panchine e la loro storia naturale in OccidenteIl volume di Peppe Sebaste (Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne, Laterza, 2008), al quale non si può non tributare un dovuto omaggio ogni qualvolta si parla di panchine, ci ha insegnato a gettare uno sguardo non distratto su di esse ed ad imparare ad apprezzare le infinite storie che, su di esse, si possono raccontare e scandagliare i diversi stati della mente che esse facilitano, quando vi si sosta.
Le panchine sono universalmente presenti nei nostri scenari: sono uno dei minimi comuni denominatori degli scenari antropizzati.
Si trovano nelle metropoli e nelle città, nei parchi e lungo i marciapiedi.
In luoghi scontati ed in luoghi incredibilmente belli, in luoghi affollatissimi e in luoghi riposti e solitari.

Non è necessario che ci sia una città perchè ci siano panchine: una panchina può trovarsi anche davanti ad un casolare che sorge in un luogo fuori mano.

Ma cos'è in definitiva una panchina?

Nella sua origine altro non è che una "seduta", più che una sedia: un artificio che consente di star seduti, all'interno di un luogo abititativo o all'esterno.
Soltanto tardivamente la sua foggia (partendo dal suo grado zero che - come posso immaginarmi - è stato un tronco abbattuto), passando da un tavolaccio grossolanamente sbizzato, è arrivata alle panchine come quelle che conosciamo noi, da quelle ottocentesche in legno o in ferro battutto, per giungere a quelle modernissime, fantasiose e spesso ultra-scomode.
Oggi, associamo le panchine a un oggetto irrinunciabile dell'arredo urbano di una città, dove ci si può sedere e sostare "gratuitamente" senza passare dall'obbligo di una consumazione in un bar o in un caffè e dove, nelle città più "liberali" può anche essere consentito levarsi il piacere di una bella e spensierata dormita: anche se è proprio questa "gratuità" oggi a dar fastidio, perchè secondo il pensiero di amministratori ottusi e occhiuti rappresenta un richiamo irresistibile per vagabondi, nullafacenti, homeless ed è allora che si tolgono le panchine per effetto di una frenesia perbenista e della necessità di un ottuso controllo sui comportamenti altrui (soprattutto quando la loro cifra è data da spensieratezza e gioiosità) oppure le si rendono volutamente scomode.

Il libro di Michael Jakob di prossima uscita per i tipi di Einaudi (Sulla Panchina) ci guida in un affascinante viaggio attraverso i giardini e gli scenari urbani di tutte le epoche e di tutti i luoghi dell'Occidente, utilizzando come vertice di osservazione proprio la Panchina.
In fondo, attraverso le panchine si può scrivere una particolarissima storia dell'Occidente e non solo.

 

Sulla panchina. Percorsi dello sguardo nei giardini e nell'arte: il saggio di Jakob aggiunge un ulteriore riflessione colta sulle panchine e la loro storia naturale in Occidente(Dal sito Einaudi) Con Sulla panchina. Percorsi nello sguardo nei giardini e nell'arteMichael Jakob – docente di Storia e teoria del paesaggio (presso la Scuola di Ingegneria di Ginevra-Lullier e il Politecnico di Losanna) e cattedratico di Lettere comparate all’Università di Grenoble - ci guida in un viaggio sorprendente attraverso i giardini e le epoche, dalla Toscana rinascimentale alla Francia del Settecento, dalla Russia degli anni Venti ai paesaggi industriali della contemporaneità, provando a ricostruire le molteplici vite di un'entità desueta: dalle panchine reali, come le «panche di via» di Firenze o Pienza e quelle stravaganti di Bomarzo, a quelle letterarie, artistiche e cinematografiche. Un saggio di cultura visuale colto e raffinato, accessibile - per il fascino dei temi, l'originalità dell'impostazione, l'eleganza della scrittura e la ricchezza dell'apparato iconografico - anche al lettore curioso.

 

Quando ci sediamo su una panchina in cerca di un momento di riposo o per godere della vista di un paesaggio, quasi mai ci rendiamo conto di quanto questo oggetto, in apparenza banale e insignificante, funzioni come una vera e propria macchina visiva, «intelligente e visionaria», in grado di farci comprendere la realtà che abitiamo. Obbedendo a una semplice quanto efficace strategia visiva, la panchina, mentre apparta dal flusso del mondo, crea situazioni e paesaggi particolari, insegna, suscita, cita. Orienta il nostro sguardo e modella il nostro stato d'animo.


Michael Jakob ci guida in un viaggio sorprendente attraverso i giardini e le epoche, dalla Toscana rinascimentale alla Francia del Settecento, dalla Russia degli anni Venti ai paesaggi industriali della contemporaneità, provando a ricostruire le molteplici vite di un'entità desueta: dalle panchine reali, come le «panche di via» di Firenze o Pienza e quelle stravaganti di Bomarzo, a quelle letterarie (Rousseau, Stifter, Sartre), artistiche (Manet, Monet, Van Gogh, Liebermann) o cinematografiche (Vertov, Antonioni). Un saggio di cultura visuale colto e raffinato, accessibile - per il fascino dei temi, l'originalità dell'impostazione, l'eleganza della scrittura e la ricchezza dell'apparato iconografico - anche al lettore curioso.

Michael Jakob
 insegna storia e teoria del paesaggio presso la Scuola di Ingegneria di Ginevra-Lullier e al Politecnico di Losanna (EPFL) ed è cattedratico di Lettere Comparate all'Università di Grenoble. È fondatore e direttore della rivista internazionale «Compar(a)ison», nonché della collana «di monte in monte» (Edizioni Tararà). Dirige presso l'editore Infolio (Losanna) la collana «Paysages». Ha pubblicato, presso Einaudi, Sulla panchina. Percorsi dello sguardo nei giardini e nell'arte (2014)

Leggi un estratto

 

 

Per approfondire, si rimanda al testo di Loris Patuelli, già pubblicato sul web nel sito "Alfonsine" (dedicato alla cittadina di Alfonsine) , con il titolo  "Le Panchine di Alfonsine"

La panchina è l’ultimo simbolo di un qualcosa che non si compra

È nell’indifferenza generale che vanno sempre a finire le storie troppo belle

 

(Loris Patuelli) Bisognerebbe scrivere la storia delle panchine, bisognerebbe farlo subito, magari alla maniera dei nomadi che non conoscono la storia ma soltanto la geografia. Tanti auguri allora al ricordo che risale il tempo e un saluto anche all’oblio che ne segue il corso. La vita gioiosa e avventurosa delle panchine alfonsinesi incomincia con questa domanda: 'Ma negli anni cinquanta c’erano già le panchine ad Alfonsine?' Confesso la mia ignoranza: non lo so. Non lo so, ma immagino che i nostri genitori fossero troppo indaffarati con la ricostruzione postbellica e che non avessero troppo tempo per oziare sulle panchine. Negli anni sessanta c’erano di sicuro. Anzi, se ben ricordo, Corso Matteotti era tutto un viavai di biciclette, motorini ed utilitarie fiammeggianti come draghi.

 

Sulla panchina. Percorsi dello sguardo nei giardini e nell'arte: il saggio di Jakob aggiunge un ulteriore riflessione colta sulle panchine e la loro storia naturale in OccidenteLe panchine erano una specie di tribuna d’onore o, per meglio dire, l’osservatorio astronomico perfetto per lo studio e la contemplazione del mondo. Sulle panchine c’era di tutto. C’erano quelli che volevano cambiare il mondo e c’erano quelli che in questo mondo volevano fare i signori. C’erano quelli che sognavano di lavorare alla Marini e c’erano quelli che studiavano da dottore, da tornitore o da impiegato comunale. Sulle panchine c’era di tutto, ma tutto rigorosamente al maschile. Di femmine neanche l’ombra. Le ragazze stavano sull’uscio di casa, ed era lì che bisognava andare per filare. Le ragazze potevano al massimo pedalare in gruppo sui viali, ma sedersi sulle panchine proprio no, neanche per mangiare un innocente gelatino. Il perbenismo cattolico e il perbenismo comunista erano allora davvero implacabili. Non era facile ribellarsi a questo andazzo, e farlo voleva dire provocare una lacerazione nel tessuto della comunità. Questo negli anni sessanta, ma non è poi che negli anni settanta le cose siano cambiate più di tanto. I motorini passavano e ripassavano davanti alle panchine, le “cinquecento” e le “giuliette” facevano altrettanto. E tutti sgassavano e sgassavano e tutto questo sgassare era la cosa più dolce e naturale di questo mondo. Su argomenti del genere c’è poco da scherzare. Anzi, per essere più precisi, credo proprio che commetterebbe sacrilegio chi osasse definire rumore il rombo che esce dai motori. Forse per uno straniero questa cosa può risultare un pochino bizzarra, ma per un romagnolo il rombo del motore è la sola, unica, autentica ed inimitabile voce di Dio. Nel dialetto romagnolo mutor e Dio sono sinonimi. Ragion per cui, caro lettore, chi sgasa la sua vetturetta non è un maleducato, ma soltanto un bravo mistico intento a pregare Gesù, la Madonna e tutti i santi del paradiso.

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2 marzo 2014 7 02 /03 /marzo /2014 08:43
Un regalo di fresco ricevuto per Babacino...
Un regalo di fresco ricevuto per Babacino attraverso internet...
Sembra che il dono della buona fatina funzioni: pochi giorni fa, rotolando su stesso - ancora non ha cominciato a gattonare, ma è lì lì per farlo - è arrivato vicino ad una scaffaltura di libri e ha cominciato a tirarli fuori o a buttarli giù uno per uno.
Alcuni, in particolare, si soffermava ad "assaggiarli", confermando la mia idea che, in prima battuta, il rapporto con la lettura e con il singolo libro debba essere sensoriale.
Tutto comincia dalle mani, dal naso, dalla lingua e dalla bocca.
Solo dopo che si è attivata una sensorialità complessa e articolata, i libri potranno essere esperiti in maniera appropriata.

Sembra che l'incantesimo della fatina buona che "dona l'amore per i libri" stia funzionando...

Staremo a vedere.
Questa piccola scenetta, peraltro, mi ha consentito di visualizzare un piccolo ricordo d'infanzia.
Per la verità, non esattamente un ricordo, ma una storia su di me piccolo (che, poi, nella mia mente, si è trasformata in ricordo).
Come spesso capitava nelle storie tramandate la storia era raccontata da mia madre.
Quando ero molto piccolo, passavamo l'estate nella casa di villeggiatura che il nonno Giosué aveva acquistato a Mondello, nella zona di Piano Gallo, subito prima dell'ingresso della cosiddetta "Fossa del Gallo".
A quanto sembra, la mamma mi metteva a dormire dopo che ero stato al sole (per combattere l aminaccia del rachitismo, ero costretto a stare lunghe ore al sole completamente nudo dentro un recinto di legno), dopo eravamo stati a fare il bagno nello splendido specchio d'acqua antistante e dopo il mio pranzo (che avveniva prima dei "grandi").
Mi metteva a dormire nella mia culletta vicino al letto grande.
Socchiudeva la porta e se ne andava.
Poi, non si sa come, forse insospettita (o preoccupata) dal persistente silenzio, la mamma è tornata su per fare un piccolo controllo.
Un regalo di fresco ricevuto per Babacino...E quale è stata la sua meraviglia nel vedermi seduto nella mia culletta, completamente sveglio e vispo, circondata dalle macerie di innumerevoli libri e riviste che erano posati sul comodino, a portata della mia mano precocemente esplorativa.
Insomma, con infinita pazienza, uno ad uno, libri e riviste li avevo trascinati vicino a me e, diligentemente, li avevo fatti a pezzi.
Questo raccontava la mamma con una punta di orgoglio.
E il racconto fu ripetuto un'infinità di volte, sino a renderlo un vero e proprio "mito di fondazione", spesso messo in relazione successivamente, con la mia passione per la lettura.
in qualche misura, l'episodio aveva finito con l'assumere delle qualità mitiche, come una delle leggende della mitologia greca su Eracle le cui qualità di semidio furono evidenti, quando venne trovato nella sua culla con due grossi serpenti uccisi, strangolati da lui stesso come se nulla fosse.
Spesso, la mamma soleva concludere il suo racconto con le parole: "Ma chi l'avrebbe mai detto!", riferendosi a quanto intensi si fossero fatti, nel corso degli anni, il mio piacere per la lettura e l'amore per libri.

Un regalo di fresco ricevuto per Babacino...
Anche se non proprio ogni giorno leggo un libro a Gabriel.Babacino.
Mi ascolta?
Non so!
La lettura si accompagna al racconto, anzi diventa racconto, perchè, oltre al testo c'è da spiegare minuziosamente, ciò che si vede nelle illustrazioni.
Testo, racconto, recitazione: ci sono anche i rumori da enfatizzare nel modo appropriato. Un tutt'uno.
E linguisticamente, senza sconti di sorta, senza utilizzare espressioni fanciullesche.
La struttura del linguaggio deve entrare diritta al cuore e sedimentarsi nel cervello,
prima che possa avere inizio la lingua parlata.
Penso che, alla fine, qualcosa rimarrà...
Pennac dice che il piacere della lettura scaturisce dal fatto di aver sentito prima leggere
e, prima ancora,
quando non c'era la lingua scritta,
esistevano i racconti narrati davanti al camino e nel calduccio della stalla.
La storia che stiamo leggendo è di Anushka Ravishankar, L'elefante non domentica:
é la storia di un elefantino che da piccolo viene adottato da un branco di bufali e che, fa grande decide di rimanere con loro.
L'elefantino è azzurrino e, così, è appropiato che nello scenario della lettura compaia un elefantino-babar di peluche azzuro e bluette...
Insomma, anche l'estetica vuole la sua parte.
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23 febbraio 2014 7 23 /02 /febbraio /2014 05:25

In Enigma Veneziano, la storia di due donne che, nel fascino misterioso della Città dei Dogi, trovano - assieme all'amore - l'eros e la carnalità dell'amplesso(Maurizio Crispi) Francesca Mazzucato, scrittice di viaggi e di personaggi, ma anche "erotic-chic" come è stata definita dala stampa periodica che ha recensito alcune sue opere, ci regala un altro romanzo, in cui tratteggia due figure femminili, alle prese con un liberatorio e rasserenante erotismo.
Si tratta di "Enigma veneziano", pubblicato da Pizzo Nero Borelli nel 2004  e riedito nel 2010 dalla nuova Rusconi (tra l'altro, disponibile anche come e-book), ma sempre come Pizzo Nero (collana Erosà). La copia che mi è capitato di leggere l'ho reperita nel corso del 2013 nel circuito remainders: l'essitenza della più recente edizione la devo all'Autrice stessa.
E' la storia di due donne, Clara - donna in carriera - e Chicca - modella per riviste di moda che non riesce a sfondare, entrambe belle e affascinati, ma nello stesso tempo disilluse ed insoddisfatte, che partono per una vacanza veneziana (che per Clara rappresenta il ricordo nostalgico del padre) e lì, attraverso una serie di eventi fortuiti, ritrovano l'amore, la capacità di amare e il piacere del sesso e della sensualità.
Francesca Mazzucato sia nella presentazione di personaggi "veri" (che poi sono fittizi, ma che vengono presentati come veri) sia nella costruzione di personaggi dichiaratamente romanzati, introduce nelle sue storie degli elementi pervasivi di erotismo "della modernità" che l'autrice - nel suo percorso letterario - ha esplorato nelle sue diverse e spesso anticonvenzionali declinazioni, partendo dai semplici incontri amorosi, per passare agli amori lesbici, soffermandosi infini sui fenomeno dei privé, dello scambismo e del sesso di gruppo, o anche di altre forme minimali del sesso ma che recano impresso il sigillo del postmoderno, come uno dei suoi primi romanzi che venne pubblicato da Enaudi e che ebbe come tema le hotline telefoniche.
Il suo è uno sguardo attento, quello di una "ricercatrice" che, pur attraverso la narrativa, vuole indagare a fondo nelle piehe più segrete della sessualità, una sessualità che non é semplicemente meccanica o performativa, ma che passa sempre dalla relazione e che prende in considerazione il peso dei sentimenti e degli affetti.
Il suoi romanzi rispondono tutti a questa cifra, ma - nello stesso tempo - possiedono uno "stile" erotico nel senso più profondo del termine, nel senso che le sue descrizioni di amplessi sanno eccitare il lettore, senza essere volgari o pesanti, poichè entrano con levità nell'animo come qualcosa che "deve" accadere e che fa parte della story, ciò a cui l'evolversi dell'intreccio lo ha preparato, come accade nella vita reale di coloro che sanno vivere con libertà e passione la propria sessualità, fatta di eros e di carnalità strettamente compenetrati uno nell'altra.
La storia proposta da Enigma Veneziano, peraltro, è anche una storia di trasformazione e di crescita, di sentieri che si riincrociano dopo essersi separati, all'interno dello scenario affascinante e decadente di una Venezia in cui tutto è possibile e che, sotto questo riguardo, fa pensare a tratti, al piccolo romanzo dello scozzese Ian McEwan, Cortesie per gli ospiti (Einaudi), il cui erotismo è declinato - con un'improvvisa svolta - al nero o al celebre Inseguimento di Patricia Highsmith (Bompiani), interamente ambientato nella città lagunare.
Quella di Francesca Mazzuccato è una storia di erotismo raffinato, in cui l'eros (che non è mai solo sesso sfrenato), complice la città dei Dogi tentacolare e labirintica, sontuosa e il suo fascino sontuoso e decadente della vita che si accompagna costantemente al sentore della corruzione, e che per tutto questo spinge alla liberazione sesuale, è accompagnato in un'unione indissolubile dal "romance".
E non mancano le citazioni colte, come i brani citati da un'opera (purtroppo più disponibile sul mercato: si tratta di "Amicizie profane", pubblicata da Mondadori nel 1994) dello statunitense Harold Brodkey che amò Venezia con particolare intensità.


(dalla quarta di copertina) Clara lavora a Milano in una delle più prestigiose agenzie di moda della città. Nel lavoro ha successo, e di recente ha ottenuto una promozione. Tutto questo l'ha stancata molto e da sempre il suo luogo prediletto per rilassarsi, divertirsi e riprendersi dallo stress è Venezia. La magica città sull'acqua dove tutto è possibile, la città dell'arte e degli amori, dove l'aria brilla di una luce speciale e dove il cielo spesso si confonde con la laguna. Ed è proprio a Venezia che Clara ha prenotato una vacanza con la sua migliore amica Chicca, da sempre compagna di scorribande e trasgressioni. Ci sarà un imprevisto, qualcosa di assolutamente incredibile, proprio là, sulla laguna, nel luogo adatto perché ogni enigma amoroso possa finalmente svelarsi.
Due giovani donne rampanti e audaci, una raffinata cornice e una sarabanda di caldi incontri, storia e cultura, si fondono e si mischiano in una storia che non potrà più essere dimenticata.

 

 

(da Mangialibri.com) La realtà è che l’erotismo è quello tipico di Francesca Mazzucato: termini espliciti ma mai fastidiosi, descrizioni a brevi pennellate calde senza insistenza impudica sui dettagli, situazioni intriganti e dense di eccitazione. Il sesso descritto da una donna, i sogni erotici femminili tradotti in parole. Il numero di scene erotiche non eccede ed entra perfettamente nella trama: è un insieme di passione, mistero, amore e cultura. Le descrizioni di Venezia, del significato della città per Clara sono indimenticabili, così come le lunghe passeggiate tra le calli vissute dalle protagoniste con stati d’animo diversi (con scenari che si adattano di volta in volta alla situazione, come plasmati dalla mente dell’autrice… ma è Venezia, proprio Venezia che vediamo mentre il libro ci scorre davanti), e i riferimenti culturali riescono a colpire l’attenzione senza appesantire l’atmosfera lineare, lieve, mai noiosa di una storia davvero bella. Perché sì, il sesso vissuto con passione può essere romantico. E restituire il sorriso.

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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