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1 ottobre 2022 6 01 /10 /ottobre /2022 08:18
Luigi Nacci, Non mancherò la strada

Bruce Chatwin in "Anatomia dell’irrequietezza" scrive: “Danzare è andare in pellegrinaggio”. 
Leggendo "Storia del camminare" di Rebecca Solnit ho imparato che l’espressione cinese per “andare in pellegrinaggio” significa: rendere omaggio alla montagna. 
Ecco, danzare e rendere omaggio stanno al centro della viandanza. È una parola bellissima che tanti anni fa mi sono ritrovato in bocca. Ho iniziato a usarla e ho notato che subito si installava in altre bocche, al punto che oggi è diventata quasi di uso comune. 
È successo, credo, perché è una parola eufonica e solare: tiene assieme l’immagine del viandante che danza sulla via e quella della via che si fa danza, una grande festa, un tripudio di umanità e natura…
(da Luigi Nacci, da Non mancherò la strada. Che cosa può insegnarci il cammino, Laterza, 2022)
Luigi Nacci, originale cantore della 'viandanza', della vita come cammino, si interroga in quest'opera sul valore che ha in questi tempi concitati e iperconnessi la pratica ancestrale e stravolgente del viaggio a piedi.
«Ci sono estati chiuse come scatole, sigillate. Sono estati che trascorri in una stanza, in ufficio, o su un letto d'ospedale, in una cella, in uno spazio delimitato da pareti che ti sono ostili. A volte è il lavoro che ti costringe alla clausura, altre volte la malattia, tua o di un tuo caro, oppure la necessità di concentrarti per originare un'opera, o è la depressione che ti impedisce di uscire. Sei rinchiuso in un buio che non se ne va nemmeno quando spalanchi le finestre. Sei al centro della stanza ma è come se non ci fossi. Capitano estati così. È da quel buio che nasce il desiderio incontenibile del cammino. Non è desiderio di andare in ferie dopo un anno di lavoro. Chi è al centro del buio non ha bisogno di ferie, non sa che farsene. Né di spiagge, di hotel, di baite, di centri storici, di musei. Chi sta in quel buio vuole di più. Vuole solamente una cosa: il cammino».

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5 gennaio 2021 2 05 /01 /gennaio /2021 10:59
Ritorno al Fuoco Interiore (Andrea Bianchi)

(7 gennaio 2021) Nella prefazione all’edizione italiana della sua raccolta di saggi “Ritorno al fuoco”, l’ecologista, poeta e premio Pulitzer Gary Snyder scriveva nel 2008:
"[...] la metafora centrale che percorre tutti i brani è la necessità di confrontarsi con la distruzione, con la perdita, con i cambiamenti drastici e con il disordine, senza entrare in paranoia. Tutto ciò trova validità, sempre, nella natura (sia dolcemente benevola che implacabilmente severa), nelle nostre vite personali, nella storia e nella politica. Con la natura e con l’impermanenza delle nostre vite è possibile imparare ad andare d’accordo; aiuterebbero, di certo, saggezza e grazia”.
A distanza di più di dodici anni ci troviamo a varcare la soglia di un nuovo anno ancora alle prese “con la distruzione, con la perdita, con i cambiamenti drastici e con il disordine”. Il pensiero va alla pandemia, ma non vorrei passasse inosservato che il 2020 è stato anche l’anno di nuovi record nella classifica degli eventi climatici estremi: dalla più lunga stagione degli uragani nell’Atlantico, che si sono abbattuti sugli Stati Uniti e sull’America centrale, alle inondazioni in Cina, dall’invasione di locuste nell’Africa orientale alle tempeste in Europa, di cui quella in ottobre che ha devastato intere comunità in Piemonte e Liguria. Tutti eventi in cui dalla comunità scientifica è stato ravvisato come fattore decisivo il cambiamento climatico.
Gli incendi hanno imperversato sulla costa Ovest degli Stati Uniti: lo stesso fenomeno distruttivo a cui si riferiva Snyder già nel 2008, osservando che in ben altre epoche di equilibrio con la Terra, i nativi americani di quei luoghi provocavano piccoli incendi pilotati per conservare intatta la capacità rigeneratrice delle foreste, e che “gli esseri umani di tutto il mondo, per diverse centinaia di migliaia di anni, forse per mezzo milione di anni, si sono adattati al fuoco”, e - aggiungo io - al freddo.
Per centinaia di migliaia di anni, se non per milioni di anni, ci siamo lasciati guidare da un senso del Luogo in cui vivevamo per sviluppare la capacità di adattarci ad esso, alla ricerca di una relazione simbiotica con la natura. Oggi perseveriamo invece nell’illusione di imporci ai luoghi e alla natura, magari grazie all’aiuto di una tecnologia ritenuta onnipotente o di un vaccino “salvifico”.

L’”arte del fuoco” ci è sfuggita di mano, di essa abbiamo a stento memoria, ed anche per questo fuggiamo il freddo come tutte le situazioni “fuori comfort”, quelle che non controlliamo, per rinchiuderci nei gusci dove viviamo e facciamo smart working. Ci salutiamo, ci parliamo e ci scambiamo decisioni ed emozioni da un video all’altro, a distanza. Camminiamo sempre meno. Trascorriamo all’aperto sempre meno tempo, ancor meno in natura. Poche volte - o quasi mai, o mai - ci togliamo le scarpe per camminare a piedi nudi sulla neve.
Cari Amici, se non vi riconoscete in questa prospettiva, se questa non è la strada che desiderate percorrere, se sentite che - pur se il destino non vi è chiaro - questa non è la via alla vostra meta, allora condividerete con me un altro passo del testo di Snyder: “Dobbiamo ritornare al fuoco svariate volte, dobbiamo ritornare al nostro sé [...]”.

Che il 2021 sia l’anno della consapevolezza del respiro e del cammino, l’anno del freddo e del caldo vissuti in modo egualmente aperto, l’anno in cui fortificheremo il nostro sistema immunitario con le docce fredde mattutine e i bagni nelle acque naturali, l’anno in cui impareremo a parlare con gli alberi, l’anno dei piedi nudi sull’erba bagnata.
Che il 2021 sia l’anno del ritorno alla Terra.
L’anno del ritorno al nostro fuoco interiore.


Per saperne di più su Andrea Bianchi segui i due link riportati sotto.
 

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8 novembre 2019 5 08 /11 /novembre /2019 07:00
(foto tratta da un profilo social FB)

(foto tratta da un profilo social FB)

Ho carpito l'immagine di copertina da un profilo social.

Non appena l'ho vista mi ha immediatamente colpito con forza, perla sua pregnanza iconica e poetica allo stesso tempo.

Cosa ci dice l'immagine?

E' molto semplice, essenziale quasi.

Un adulto e un bambino camminano tenendosi per mano nel bel mezzo di un paesaggio desolato.

Sono intenti nel cammino.
Il guardarli, così, a volo d'uccello fa sembrare entrambe le figurette minute e fragili nell'immensità e nell'asprezza del territorio circostante,una Natura che sembra essere ostile ed impervia.

La strada che seguono sembrerebbe perdersi nel cuore profondo della desolazione: e, benchè non si possa vedere cosa vi sia al di là del dosso, viene facile immaginare che proceda all'infinito.

Dove vanno? Da dove vengono?

Sembrano essere attrezzati per un lungo cammino...

Si staranno raccontando storie mentre procedono, oppure se ne stanno in silenzio, assorti?

Tante domande e, partendo da ciascuna, si può tessere una storia diversa.

Mi piace immaginare che siano diretti verso una radiosa aurora e che presto, per loro, i grigi, i neri e i rossi cupi del terreno che li circonda possano cedere il passo ad una natura ubertosa e fertile. E che il loro andare possa giungere ad una sosta, quanto meno temporanea.

Il cammino è una metafora potente della vita.

Questa foto mi ha ricordato con prepotenza la canzone di Guccini "Il vecchio e il bambino", ma anche il tragico romanzo post-apocalittico di Cormac McCarthy, La strada (e il film crudo che ne è stato tratto), ma anche - giusto per sollecitare delle immagini meno cupe, seppur malinconiche - la sequenza finale di Il Monello di Charlie Chaplin.

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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