Su Facebook, commenti offensivi contro il ministro Kyenge. Ma per gli amministratori del social network non violano "gli standard della comunità".
Sappiamo - e abbiamo purtroppo constatato giorno dopo giorno - che Cécile Kyenge, Ministro dell'Integrazione del Governo in carica, sin dall'inizio del suo mandato è stata sottoposta ad una pioggia di insulti di stampo razzista e di atteggiamenti discriminatori.
Se ciò fosse stato - e fosse - solo espressione dell'ignoranza popolare e che venga dalla base, potrebbe essere ancora comprensibile, anche se in alcun modo non giustificabile.
Ma è assolutmente deprecabile che atteggiamenti analoghi vengano assunti e mantenuti da rappresentanti di partiti, da parlamentari o da politici impegnati in posizioni di rilievo nei governi regionali e locali.
Sappiamo ad esempio che la consigliera leghista di Padova ha detto di lei pubblicamente: "Mai nessuno che se la stupri".
A seguito del fatto, dal quale alcuni rappresentanti del suo stesso hanno preso tardivamente (e tiepidamente le distanze) la Valandro è stata condanata a 13 mesi per direttissima.
"E' stata condannata a 13 mesi oggi per direttissima la consigliera leghista di Padova Dolores Valandro che indirizzò parole ingiuriose al ministro dell'Integrazione Cecile Kyenge. "Mai nessuno che se la stupri", aveva scritto la Valandro scatenando un diluvio di polemiche. La consigliera era stata espulsa dalla Lega e poi denunciata per istigazione ad atti sessuali compiuti per motivi razziali. Oggi Valandro è apparsa in lacrime e pentita davanti al giudice affermando che non era sua intenzione insultare nessuno, né tantomeno la Kyenge. Poco fa la condanna con l'obbligo di risarcimento per 13.000 euro. Per la donna, i giudici hanno anche disposto l'interdizione per tre anni dai pubblici uffici. I difensori di Dolores Valandro hanno gia' annunciato un ricorso in appello, mentre lei ha lasciato l'aula del tribunale senza rilasciare alcun commento " (fonte Pointblog)
Ma il solito Calderoli se ne è lasciata scappare una altrettanto pesante, di tipica marca leghista:. Ha detto, infatti - «Quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare alle sembianze di un orango».
Il pesante insulto razzista lanciato dal leghista Roberto Calderoli nei confronti del ministro dell’integrazione Cecile Kyenge scatena un terremoto politico. I vertici del parlamento condannano l’accaduto, Letta protesta. Alfano critica l’ex collega di governo e il Pd chiede le dimissioni dell’esponente del Carroccio che ricopre l’incarico di vicepresidente del Senato. (14.07.2013: ilfattoquotidiano.it).
In entrambi i casi, ai fatti hanno fatto seguito rettifiche in stile berlusconiano: "Non volevo...", "Non intendevo...", "Sono stato frainteso....", "Ho esagerato...": tutte disgustose forme di marcia indietro che non annullano affatto il peso di ciò che è stato detto o fatto subito prima (ricordiamo, a carico, di Calderoli, l'episodio indecente della T-shirt decorata con una vignetta anti-islamica).
Il fatto è che queste esternazioni da parte di sedicenti "politici" di bassa lega, ma per via della loro posizione pubblica "leader" degli umori popolari, tendono a fare scuola, a rimbalzare e a moltiplicarsi.
E' successo per esempio, su Facebook dove un post in cui si riportava un articolo di Cécile Kyenge è stato commentato da frequentatori di quella pagina con analoghe ed ingiuriose espressioni (offese gratuite ed istigazione allo stupro per motivi razziali).
Fatto gravissimo questo che ha indotto alcuni, tra cui la collega giornalista Valeria che ha ravvisato nei commenti postati una violazione agli standard di Facebook (intesa come comunità), in quanto "contenuti che incitano all'odio e/o alla violenza", a fare il previsto "report" all'amministrazione di Facebook.
Ma questa volta gli amministratori del social network, spesso estremamente occhiuti, solleciti e pronti a censurare il comportamento dei Facebookiani per motivi molto più futili (le infrazioni alla privacy, il tentativo di estendere i propri contatti tra persone che non conoscono direttamente), non hanno ravvisato nelle parole degli più o meno anonimi commentatori alcuna infrazione all'etica FB.
Questi i commenti contro la Kyenge che secondo Facebook non sono offensivi e che, quindi, non vanno rimossi: "Ma tornatene in CONGO e se non sai cosa fare raddrizza le banane SCIMMIA", "Inculatela a secco".
Questa la risposta di Facebook dopo la segnalazione, risposta giunta puntualmente il giorno dopo la segnalazione: "Abbiamo analizzato il commento che hai segnalato per la presenza di discorsi o simboli inneggianti all'odio e abbiamo stabilito che non viola i nostri Standard della comunità". (Facebook).
Gli standard sono i paletti che il social network pone a tutti gli utenti. Tutti i contenuti postati, si legge, non devono contenere attacchi o discriminazioni nei confronti di persone o gruppi di persone «in base a razza, etnia, nazionalità, religione, sesso, orientamento sessuale, disabilità o malattia».
Pena, l'eliminazione immediata del contenuto e, talvolta, anche quella dell'autore. Questa volta i moderatori non hanno ritenuto che i due commenti segnalati fossero discriminatori nei confronti della Kyenge, provocando un'ondata di proteste da parte dagli altri utenti scandalizzati per il tono degli attacchi.
C'è veramente da rimanere sbalorditi.