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22 luglio 2012 7 22 /07 /luglio /2012 17:51

Vicolo di Palermo- Foto di Maurizio CrispiQuello che segue è il resoconto "interiore" di una mia passeggiata (in un giorno primaverile del 2012, già insolitamente caldo) da casa mia al Foro Italico e ritorno,  passando da Via Libertà, Piazza Castelnuovo e via Cavour all'andata e poi da via Emerico Amari e il Giardino Inglese al ritorno.
Non è stato un percorso lunghissimo: però, per come ne parlo e per come lo sento, ha la qualità di un percorso molto lungo sia spazialmente parlando, sia soprattutto temporale. Camminare per Palermo, qualunque sia la direzione verso cui ci si dirige, è come affrontare un viaggio nel tempo, prima ancora che nello spazio: e, quindi, proprio prchè come con un coltello che taglia i veli nel tempo si sprofonda in altre epoche storica, una semplice passeggiata può diventare una faccenda lunga, complicata e faticosa.
Ed ecco le mie riflessioni, come mi trovai a scriverle allora, quasi di getto.

Sembra quasi che io stia dicendo che questa esperienza di cammino sia stata un'avventura del tipo "dalle Alpi alle Ande" e ritorno, oppure "dal Manzanarre al Reno" and back.
Ma è stata una semplice passeggiata.
Eppure fare le passeggiate in questa mia città è ogni volta come fare un viaggio sempre nuovo e sempre impegnativo, una traslazione nello spazio che è anche viaggio temporale (e, in più, traslazione interiore), attraverso molte stratificazioni e sedimenti di pensieri ed emozioni...
Perchè, qunado mi avventuro in una passeggiata, sono ogni volta diversi i pensieri e gli scenari mentali che, come le nuvole, navigano attraverso la mia mente.
Mi chiedo, per esempio, perchè questa nostra città tende con tanta facilità al degrado entropico.
Una cosa appena fatta e ristorata, diventa immediatamente vecchia, entrando con rapidità (ma quasi per necessità) in uno stato di incuria e abbandono.
Questa idea è rafforzata dal fatto che, ovunque, nelle piccole aiuole e nelle più grandi distese che si supppone dovrebbero essere verdi e ridente, piene di fiori, allignano con rigoglio prepotente le erbe infestanti, che arrivano a formare delle piccole giungle, per poi trapassare al colore giallo o giallo-brune delle stoppie.
E, in mezzo, si annidano le cartacce, incarti oliati provenienti da punti di vendita gastronomici, fogli di giornale gualciti o prossimi a sbriciolarsi, cotti dal sole ed altri oggetti che evocano più immediatamente l'idea del trapasso e del transito.
Saracinesche chiuse di un vecchio fondaco a Palermo - Foto di Maurizio CrispiPiccoli animali morti con le ali spiegate come per affrontare un ultimo volo liberatorie o ripiegate secondo angoli innaturali, e con le povere zampe rattrappite, resti di cibo assalito dalle formiche, tracce di vomito.
Il  Castello a Mare che è stato recuperato dopo che per decenni (ciò che ne rimaneva) era caduto nell'oblio) è sepolto da un mare d'erba ingiallita: eppure è presidiato dal personale comunale per le visite turistiche.
C'è una guardiola all'ingresso e per entrare si paga un biglietto d'ingresso. Arrivano costantemente gli stranieri e i viaggiatori per visitare questo importante reperto, un pezzo importante della storia di questa città.

Eppure tutto è sciatto, benchè il luogo potrebbe essere magnifico: in Inghilterra e in Scozia (ma lì è tutto un altro mangiare), ho visto che anche un pezzo di muro antico e tutto sbrecciato può diventare oggetto di considerazione: lì lo recintano, ci fanno crescere attorno un prato, tenuto sempre ben rasato, magari sul prato mettono una o due panchine "classiche" di solido legno massello. Et voilà! Il gioco è presto fatto.
Ecco un sito archeologico, ecco le rovine del castello tal dei tali: e per accedere al prato o sedersi sulla panchina si paga anche un bel biglietto d'ingresso. Magari in vicinanza della biglietteria viene anche predisposto un piccolo museo che racconta la storia di quel pezzo di muro.
Noi invece - mi duole davvero dirlo - non siamo cosa per queste sofisticherie e per le cose leccate...



Il trionfo della morte, gia a Palazzo Sclafani e ora nella Galleria di Palazzo Abbatellis

 

 

Siamo assuefatti a ben altro: non vogliamo la finzione della vita, ma un vivere in cui i segni della morte siano immanenti, costantemente presenti ed ineludibili, pienamente tangibili. Alla splendida artificiosità dei prati verdi all'Inglese preferiamo un prato che, all'improvviso, per inspiegabile incuria, si faccia giallo, appassisca e venga invaso dalla crescita selvaggia.
Ci teniamo a fare in modo (inconsapevolmente) che tutto porti con sé una cifra che dichiari il suo essere effimero e con un termine.
Quasi si trattasse di una cosa genetica: oppure, un effetto derivante dall'accettazione totale del pensare che nel vivere è contenuto il morire: e che, ad un certo punto, bisogna lasciare che il morire faccia la sua parte...
Tutti sembrano indifferenti a ciò che vedono, come se questi scenari della morte e del morire, della corruzione, del degrado e del decadimento (e non c'è bisogno di avere davanti una persona che muore, per evocare in sé simili scenari) fossero nella nostra Sicilianità profondamente connaturati, come se con essi fossimo in intimo e continuo dialogo.
Nessuno si cura degli scenari di degrado: siamo forse anestetizzati ad essi.
Eppure, ispirano un senso di solitudine, come a ricordarci costantemente che possiamo sempre morire in ogni istante (ogni istante è buono per questo ed è sempre possibile che una cosa del genere accada quando meno uno se l'aspetta) e lo squallore che ci circonda ci aiuta a non attaccarci troppo alla bellezza. Potrebbe essere, in fondo, la filosofia de Il Trionfo della Morte, il famoso dipinto che occupa oggi un ruolo preminente nella galleria pittorica di palazzo Abbatellis e che, originariamente era collocato a Palazzo Sclafani che - sempre a Palermo - dal 1435 venne utilizzato come lebrosario e poi come ospedale.
Del resto, come osservava Giuseppe Tomasi di Lampedusa, uno dei più grandi autore della Sicilianità, nella bellezza sontuosa dei fiori che sbocciano, è già contenuto come una promessa il loro decadimento: il profumo greve e pesante che emanano è contiguo al lezzo dolciastro della putrescenza.
Il senso della morte incombente si fa avanti e gli scenari di caduta sono accentuati, anche passando dalle vie del centro, dove tante saracinesche sono abbassate: esercizi commerciali che hanno avuto una vita effimera oppure che sono passati senza fortuna da una mano all'altra, da un'insegna all'altra, da una destinazione d'uso ad un'altra, troppe volte, per poi - alla fine - naufragare nell'oblio.
Matrimonio etnico a Palermo - Foto di Maurizio CrispiMa, nello stesso tempo, pur davanti a queste quinte e prospettive malinconiche che parlano di morte, c'è sempre la vita che occheggia.
I pescatori che puliscono le reti dal pescato del giorno, mentre altri seduti sul bordo di pietra del molo se ne stanno lì per ore a contemplare il mare oppure i minimi movimenti della superficie di acqua immota e quasi oleosa che tradiscono l'improvviso guizzo di un pesce che si è fatto vicino: li vedo all'andata e sono ancora lì al mio passaggio successivo dopo circa un'ora.
Ci sono altri che accudiscono le proprie barche, sia i pescatori sia i più danarosi proprietari di barche, barchini e cabinati da diporto: sono tutti lì a curarsi la propria imbarcazione, amorevolmente, quasi fosse una sposa - o una donna - di cui prendersi cura (e, del resto, la maggior parte delle imbarcazioni, secondo un'antichissima consuetudine, hanno nomi femminili).
Nelle molte scene - al passaggio della Cala, la parte del Porto di Palermo indubbiamente più antica - di foto di gruppo di matrimonio o di prime comunioni - già, maggio è il mese mariano, quelle delle Prime comunioni, soprattutto. E nei molti che, pur degli abiti di circostanza, si seggono a riposare - o addirittura a dormire - sulle panchine della vecchia Cala.
E così è anche nella vicina Villa a Mare del Foro Italico Umberto I.
Anche lì sono evidenti preoccupanti segni di caduta, anche se questo enorme spazio verde è di recente sistemazione urbanistica: si notano segni di decadimento nel prato che era stato manuteso perfetttamente sino alla stagione passata, palme morenti intaccate o devastate dal Punteruolo rosso e non più rimosse, sagome di alberi rinsecchiti che rimandano a scenari di pre-desertificazione del mondo.
Aquilone nel cielo di Palermo - Foto di Maurizio CrispiMa, nello stesso tempo, ci sono i runner che inneggiano alla vita, aquiloni veleggiati in cielo, pescatori con le barchette e con la canne, lettori e dormienti sulle panchine, oppure fidanzatini alla Peynet che si sbaciucchiano, avvinghiandosi l'un l'altro: vorrebbero fare qualcosa di più, forse, ma le convenienze non lo consentono.
Ciclisti e guidatori di scooter, bimbi che giocano, altri che seduti sulle panchine all'ombra densa guardano verso il lontano orizzonte e meditano oppure sognano di viaggi in paesi esotici e lontani...
Io penso - anzi ne sono convinto - che una delle cose più affascinanti di Palermo sia proprio questa continua ed inestricabile commistione della morte con la vita.

 

 


Foto di Maurizio Crispi
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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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