Questo ricordo d'infanzia è davvero breve. Quando io e mio fratello eravamo ancora piccoli mangiavamo solitamente prima dei grandi ad un piccolo desco che, poi, era il tavolo al quale stava seduto mio fratello durante il giorno e sul cui ripiano faceva le sue cose: leggere, disegnare (con l'aiuto di della prozia Irene che si dedicava moltissimo a lui). Il piccolo desco veniva addossato per uno dei suoi lati lunghi al tavolo da pranzo, in mod tale che, in ogni caso, pur mangiando prima, non dovessimo sperimentare una sensazione di separatezza rispetto agli adulti.
Mangiavamo prima, in modo tale che nostra madre potersse deidcarsi a noi senza distrazioni ed intralci. Qualche volta ci prendeva la ridarella irrefrenabile e che non poyteva estinguersi in nessun modo e l'operazione dle cibo non poteva andare avanti in nessun modo.
Allora nostra madre che di fronte a quello che accadeva si irritava moltissimo, con somma equità, mollava uno schiaffone a me e uno a mio fratello.
E così si poteva ricominciare.
Ma questo ricordo mi riporta alla memoria altri episodi connessi con il cibo.
Spesso davanti alla carne con i calletti facevo i capricci, perchè calletti non volevo proprio masticarli. A volte trovavo anche dei calletti inesistenti, ma per me c'erano ed erano ben presenti.
Se cercavo di masticarli per obbedire alle esortazioni, mi venivano i conati di vomito.
Ancor di più se cervo di ingoiarli.
Su questo, mia madre era tollerante e lasciava correre.
Guai però se era presente mio padre: lui sosteneva che si doveva mangiare proprio tutto, all'insegna del principio: "Tu non sai cos'è la fame, perchè non hai fatto la guerra".
E allora dovevo mangiare anche le cose che non mi andavano.
Qualche volta s'instaurava tra me e lui un vero e proprio braccio di ferro e stavamo nella stanza da pranzo sino alle cinque del pomeriggio (la mamma, la nonna e la nostra Marietta se ne stavano fuori dalla porta in apprensione e piene di empatia nei miei riguardi - si potrebbe dire usando un'espressione letteraria, che si "torcevano i polsi per il dispiacere", ma non osavano dire niente né intercedere per me).
"Mangia", mi diceva mio padre con voce imperiosa.
Ed io, muto, con gli occhi bassi e con il pianto sulla bocca stretta e tremante, facevo di no con la testa.
E così si andava avanti per ore. ma non ricordo francamente con quali esiti: non ho memoria di chi alla fine cedesse.
Ma qualche volta anche la mamma s'intestardiva, come in questo caso.
Di venerdì, mangiavamo in bianco, rigorosamente.
E, spesso e volentieri, ci veniva ammannito del merluzzo bollito, condito solo con un filo d'olio.
Ed io, quel merluzzo, proprio lo detestavo: mi dava sempre i conati di vomito. Non c'era proprio verso. E la mamma a dirmi: "Mangialo che è buonissimo e ti fa bene! Non capisco proprio che cosa ci sia che non va!"
Ogni boccone era un tormento da mandare giù e la masticazione durava a lungo e il tentativo di ingestione del bolo a lungo masticato era spesso seguio da penosi conati di volmito.
Ci voleva proprio una santa pazienza.
Una volta, mi sono proprio interstadito e fu forse perchè quel merluzzo aveva per un sapore particolarmente ributtante.
Fu così che mi misi a protestare e a frignare.
Tanto frignai e piansi che del moccio colò dal naso sul merluzzo e la mamma non se ne accorse, cosìcche accadde che il boccone successivo fosse proprio quello condito di abbondante moccio.
E da allora - anche ora che sono adulto - il merluzzo bollito non posso proprio mangiarlo perchè evoca in me quello sgradevolissimo ricordo.
Però erano proprio altri tempi: si doveva mangiare - sempre e rigorossamente - quello che passava il convento. Nessuna deroga era consentita. In alcuni casi, il cibo del pranzo era ripresentato la sera. Una vera e propia scuola di stoicismo alimentare...
Giuliana Montagnin 05/01/2013 12:59