(Maurizio Crispi) Sono abbastanza vecchio per avere avuto tra i miei primi giocattoli di bambino qualcuno di quei giochini di latta a molla che stavano per completare il loro lungo arco di vita prima dell'avvento della plastica e di giochi con meccanismi elettrici a batteria, per non parlare di quelli telecomandati ancora successivi.
Affascinanti nella loro semplicità.
Si trattava di dispositivi, derivati dai semplici giocattoli di latta tridimensionali, dipinti a vivaci colori a smalto, che, sagomati nelle maniere più diverse, riproducevano automobili, trenini, carretti o perfino animali. Una delle marche italiane più famose nella produzione di questi giocattoli era quello della ditta Ventura.
Erano tridimensionali, fatti di lamierino di latta, opportunamente sagomata, di solito due meta simmetriche tenute unite da linguine dello stesos materiale ripiegate negli appositi alloggiamenti, tutti dipinti a vivaci colori e il disegno sopperiva alla mancanza di tridimensionalità: le auto il più delle volte erano soltanto dei gusci e tutti gli altri dettagli erano dipinti, compresi eventualmente dei passeggeri.
All'interno, era alloggiato un dispositivo a molla, ricaricabile per mezzo di una chiavina metallica che, il più delle volte era cromata, qualche volta estraibile, altre volte no.
Il meccanismo a molla che si rilasciava non appena si arrivava a fine corsa della chiavina realizzava una parvenza di movimento: la progressione in avanti delle automobiline o, nel caso degli animali, una rozza similitudine di trotto -ma più che altro degli scalciamenti disordinati -, sempre accompagnati dallo stridore della spirale compressa che, rilasciando di colpo l'energia accumulata, la trasmetteva a un'insieme di sempici ingranaggi.
I dispositivi erano, come ho detto, tridimensionali, di dimensioni diverse, non eccessivamente miniaturizzati, ma nemmeno troppo grandi e, data la natura del materiale di cui erano fatti, molto leggeri.
La leggerezza era il loro prerequisito essenziale per ottenere la parvenza di movimento ottenuto dal meccanismo a molla: un movimento che durava soltanto pochi istanti, ma tanto bastava per suscitare meraviglia.
Ne ebbi diversi, tra i quali un bellissimo asinello tutto rivestito di stoffa grigia simil-vellutata che quando era caricato cominciava a scalciare ronzando.
Una delizia! E mi piaceva moltissimo, ma ce n'erano altri il cui ricordo é sbiadito nella memoria, tra di essi forse anche una piccola moto con sidecar.
Tutti, all'infuori dell'asinello, fecero una brutta fine, perchè dopo aver giocato con loro per qualche giorno volevo andare a vedere il loro interno.
Cosa peraltro molto semplice, anche se a me, piccolino, sembrava un'impresa ingegnosa e sovrumana, arguta.
Bastava scalzare quelle semplici linguette metallica e, plop!, il guscio si apriva nelle sue due metà.
A quel punto, era sufficiente scalzare dal suo alloggiamento la scatoletta con il meccanismo a molla.
Naturalmente questa era una strada senza ritorno, poiché non ero in grado di ripercorrere la strada inversa e di riportare il giocattolo alla sua condizione precedente.
Ma a lungo continuavo a giocare con quei meccanismi a molla caricandoli e poi facendoli scaricare a vuoto.
I meccanismi erano tutti eguali, costruiti nello stesso identico modo.
L'individualità del giocattolo era nel guscio: le loro "anime" erano identiche, invece, se si può parlare di anima.
Perchè lo facevo? Sin da piccoli siamo programmati per scoprire cosa c'è dietro le apparenze, credo.
C'è il desiderio di andare ad esplorare il ripostiglio di casa.
O di aprire cassetti ed armadi e rovistare il loro contenuto.
O di entrare nelle stanze buie.
O di andare a vedere cosa c'è sotto il letto, di notte, quando le ombre si fanno dense.
Ma anche il semplice piacere di smontare le cose per vedere come sono fatte dentro.
O anche,in alcunicasi un semplice spirito distruttivo e/o trasgressivo, come è rilevato magistralmente da Paul Auster in suo recente libro di memorie della sua prima infanzia, in cui racconta di aver smontato una bellissima radio a valvole dei genitori con la presunzione che poi avrebbe potuto rimontarla pezzo pezzoper renderla di nuovo funzionante.
"...quando avevi circa cinque anni, smontasti pezzo dopo pezzo la radio della tua famiglia, un voluminoso apparecchio degli anni Quaranta pieno di tubi di vetro e migliaia di cavi, pensando in un primo momento che saresti riuscito a rimetterla assieme, e illudendoti consapevolmente ce quell'eesercizio di vandalismo fosse un esperimento scientifico, ma via via che continuavi ad estrarre le viscere dell'apparecchio, divenne subito chiaro che ricostruirlo andava oltre la tua abilità discienziato, eppure continuasti,procedendo alla rimozione maniacale di ogni singolo cavoo bullone alloggiato nell'apparecchio, per la semplice ragione che sapevi bene di non doverlo fare e che un comportamento del genere era asoslutamente vietato" (Paul Auster, Notizie dall'Interno, Einaudi, 2014, pp.46-47)
E, una volta, mio figlio Francesco (ma già più grande di Paul Auster al tempo dell'episodio citato), ispirato dal desiderio di diventare meccanico, prese a smontare la bici che gli avevo regalato alcuni mesi prima, pezzo dopo pezzo sino a smontare persino i delicati ingranaggi del cambio, senza riuscire dopo a rimettere tutto a posto
Mi sono ricordato tutto questo a partire da un giocattolino a molla (un cagnolino verde vomitoso) che l'altro giorno, preso da un'improvvisa nostalgia per questo tipo di giocattoli, ho voluto regalare a Gabriel.La concezione è identica a quella dei giocattolini di latta, ma questo è interamente fatto di plastica, ad eccezione probabilmente del meccanismo interno.
Non chiedetemi però se mi viene voglia di smontare il cagnolino per andare a vedere com'è fatto il suo cuore meccanico!
Il presente articolo è stato pubblicato in forma ridotta sulla mia pagina Facebook, il 24 agosto 2014.