Quando ero piccolo, ma nemmeno tanto (andavo già in terza media), ebbi per un periodo la fissazione che dovevo limitare al massimo i periodi in cui stavo seduto, cioè con il culo staticamente poggiato su di una superficie dura.
Ma come fare? A scuola occorreva stare seduti per diverse ore ogni giorno...
Adottai questo sistema, un po' faticoso, ma riuscivo abbastanza bene nel mio intento. Mettevo una mano tra la gambe e la poggiavo sul ripiano della sedia e con il suo aiuto mi puntellavo in su, contraendo nello stesso tempo, i muscoli delle gambe che mi davano il necessario appoggio.
Insomma, un complicato (e faticoso) esercizio isometrico, che - una volta raggiunto un allenamento discreto - mi consentiva di mantenere quella postura per quasi tutto il tempo della mia permanenza in classe.
A casa, studiavo in piedi, come i monaci amanuensi di un tempo che trascrivevano le opere degli antichi appoggiati ad alti scrittoi.
Al momento dei pasti, invece, poggiavo un cuscino per terra e mangiavo stando in ginocchio.
Per quanto riguarda i pasti - da un momento all'altro - comunicai questa decisione ai miei genitori, senza ulteriori interlocuzioni.
Perchè?
Si trattò di una forma di tortura auto-inflitta o di una punizione per effetto di un Super-Io rigido e tirannico?
Non so o, forse, lo so e qui non voglio dirlo.
Magari, per distinguermi, intendevo opporri al famoso aforisma di Montaigne che fa: Si haut que l'on soit placé, on n'est jamais assis que sur son cul.
Certo è che questo, periodo, negli anni della mia psicoanalisi personale, fu esaminato in dettaglio e a qualche rivelazione (o comprensione) potei giungere in qualche modo.
Devo dire che, in tutto questo, i miei genitori furono davvero encomiabili, soprattutto nei confronti della consuetudine - più vistosa e meno occultabile - di quel desinare in ginocchio, quasi fossi in penitenza: non mi dissero niente, prendendo semplicemente atto della mia decisione, e mi lasciarono fare.
Forse dissero, abituati com'erano ad altre mie temporanee bizzarrie: "Passerà".
E di fronte ad eventuali ospiti si limitavano a ridacchiare come se la cosa fosse il frutto di una mia tolerabile burloneria, una volta chiarito che non si trattava di una una punizione che mi fosse stata inflitta.
Poi, in effetti, dopo qualche mese, la cosa passò da sola.
Stranamente ci ho pensato proprio l'altro giorno, mentre ero piuttosto afflitto da una contrattura alla schiena che ha fortemente limitato la mia mobilità (e la sta limitando tuttora)..
Ho riflettuto a me in confronto a mio fratello: pensando a quanto sia ridicolo che io possa sentirmi prostrato a causa d'una temporanea limitazione nella mia piena autonomia a confronto della grave infermità di cui è portatore sin dalla nascita.
E, mentre facevo queste riflessioni, ho pensato con lucidità a quel periodo trascorso di un'epoca per me ormai lontana, chiedendomi se per caso, da piccolo, in quel periodo elaborai, superandola, la fobia dell'essere obbligato a stare perennemente seduto su di una sedia, come appunto capitava a mio fratello, semi-immobile nella sua carrozzina durante le ore del giorno.
I casi della vita ci impongono a volte a mettere a punto delle strategie di difesa che, poi, quando ci siamo fortificarti a sufficienza, se le cose sono andate bene e senza intoppi, possiamo dismettere, lasciandole sedimentare dentro di noi come ricordo...