Del tempo in cui ero piccolo, ricordo che Piazza Croci aveva per me un suo fascino misterioso perchè era dominata da un lato dalla fabbrica goticheggiante e e in rovina - secondo quello che pensavo al tempo - per una bomba sganciata durante i borbandamenti della città nella 2^ e dall'altro dall'incombente statua di Francesco Crispi di cui sapevo da ciò che mi diceva mio padre con una punta di forte orgoglio che era il nostro "avo" illustre. guerra mondiale.
E poi, ricordo anche che un suo lato (quello fiancheggiato dal muro perimetrale dell'Istituto delle Croci) era adibito a parcheggio delle carozzelle in attesa di clienti, quando ancora le carrozze a cavalli erano utilizzate come mezzo di trasporto alternativo rispetto al tram e poi più al bus, ma anche rispetto al più moderno taxi (di cui, quando ero piccol,o ce n'erano ben pochi).
E del parcheggio delle carrozze ricordo il forte odore ammoniacale dell'urina dei cavalli e quello più aspro del loro sterco e l'afrore dei loro grandi corpi.
Sensazioni oflattive che provocavano sempre in me una forte impressione, sia per le loro dimensioni ciclopiche e perchè tutto quello che facevano era più grande in proporzione, tanto da scuscitare meraviglia: i possenti getti d'urina fumante, l'enorme quantità di cacca che facevano quando alzavano la coda e si vedeva lo sfintere nero e scuro che si dilatava sotto la spinta di quella massa giallastra e fibrosa, da cui si sprigionavano altrettanti fumi di condensa al primo contatto con l'aria più fredda, quei tremiti improvvisi che percorrevano la loro pelle (e di cui appresi più avanti che erano provocati dai cosiddetti muscoli "pellicciai" di cui noi umani siamo sprovvisti del tutto, ad eccezione di un unico muscolo residuale della filogenesi che si chiama "platisma" e dei muscoli "orrripilatori"). E ricordo anche che quei sospiri e quei caratteristichi schiocchi delle labbra che sembrano scaturire da grandi caverne interne ospitate dal loro corpo suscitavano in me un bel po' di timore reverenziale.
All'odore forte dei cavalli si mescolava quello più acuto e pungente, misto ad un vago sentore di disinfettante che veniva dal vicino vespasiano, addossato al muro dell'Istituto, di grezza pietra d'aspra e tutto butterato.
Il tutto sotto l'ombra intensa e spessa di grandi Ficus Benjamina.
D'estate, il posto si arricchiva del baracchino del venditore di fichi d'india, di legno e dai colori sgargianti che riprendevano quelli (comprese le scene dipinte) tipici dele decorazioni pittoriche del Carretto siciliano.
In quel baracchino erano disponibili per la vendita, impilati con un artistico ordine, fichi d'india grossi e succosi che venivano sbucciati al momento dal ficodindiaio con abili movimenti di coltello dal ficodindiaio. Pe run piccolo sovraprezzo si potevano mangiare "agghiacciati"... e il Ficodindiaio li sbucciava ad una tale velocità che non si faceva in tempo a mangiarne uno e già quello successivo era pronto.
Il ficodindiaio creava in quel luogo una bella chiazza di luce anche di notte.
Lui, d'estate, era sempre lì caso mai a qualcuno rincasando venisse voglia di farsi una bella e rinfrescante mangiata di fichi d'India.
Che, diciamocelo pure, a notte tarda erano un'autentica goduria.
Papà ne andava ghiotto e qualche volta ci fermavamo assieme a lui per mangiarne, ovviamente, sbrodolandoci.
Il ficodindiaio era sempre là, in servizio, anche quando le carrozzelle rientravano alla base per la notte.
Il Vespasiano venne successivamente rimosso, come anche nel resto della città nel corso del tempo andarono progressivamente in obsolescenza i gabinetti pubblici (che invece sopravvivivo bellamente in tutte le piccole cittadine siciliane).
Sono del pari scomparse le carrozzelle, ormai non più mezzo di trasporto per i cittadini ma veicolo a salatissimi costi per i turisti di passaggio.
E si è ridotto il tempo in cui il Ficodindiaio presidia con il suo baracchino quel solito angolo.
A dire il vero, negli ultimi anni, non ho più visto nemmeno quello.
Ormai quel marciapiede è desolatamente vuoto e privo di quesi suoi molteplici odori che lo caratterizzavano.
Il mondo cambia e la modernità esige i suo tributi.
Prima, godevamo di piccole cose e ci prendevamo i nostri piccoli piaceri.
Oggi, tutti nei centri commerciali o passare in rassegna negozi di mutande e reggiseni oppure di gadget elettronici o di telefonia mobile.
Ma forse oggi la poesia delle piccole cose è morta e sepolta...