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10 febbraio 2013 7 10 /02 /febbraio /2013 22:32

Passengers - Foto di Maurizio CrispiViaggiando in treno o in nave, o nelle sale d'attesa dei grandi aeroporti si incrociano tantissimi volti.
Volti di persone che, come te, viaggiano.
Passeggeri, esattamente come te.
Come un tempo, anche adesso indugio ad osservarli.
In effetti, si tratta di persone con cui il destino ti ha portato a condividere un pezzo della tua strada.
E si tratta di un imperscrutabile disegno.
Quel mistero che tenta di comprendere il frate chiamato ad indagare sulla morte dei cinque viandanti che si trovarono a passare sul Ponte di San Luis Rey in Perù, un ponte fatto di corde e di assi che aveva resistito per centinaia di anni e che, un giorno, improvvisamento crollò, lasciando qeui precipitare proprio quei cinque viaggiatori nell'abisso sottostante, quelli e non altri (questa storia, con il titolo "The Bridge of San Luis Rey" fu raccontata dallo scrittore e drammaturgo statunitense Thornton Wilder, nel suo secondo romanzo pubblicato nel 1927).
A differenza di un tempo, quando capitava di incrociare lo sguardo di chi ti ti stava davanti o accanto (e da quell'incrocio di sguardi poteva partire una conversazione che ti regalava qualcosa che poi portavi con te nel resto del viaggio), oggi ciò non si verifica più.
Ognuno sta nella sua solitudine, gli occhi incollati su quel piccolo parallelepipedeo 12 x 6 cm, risucchiati dal piccolo display del loro smartphone.
Le loro dita si agitano freneticamente sul tastierino e digitano messaggi.
Sono connessi. Sono dentro l'universo sintetico e ciò e per loro fonte di vita.
Non si sentono soli nell'Universo, perchè sono collegati nella rete.
Ma nonsi guardano attorno un solo momento.
Non gettano mai uno sguardo fuori dal finestrino che hanno accanto.
Non guardano il loro vicino.
Non hanno la curiosità di scoprire chi hanno accanto.
Non sono interessati ad esplorare con curiosità e con spirito arguto il mondo delle persone vive, in carrne ed ossa.
Non fa nessuna differenza per loro essere in viaggio o essere a casa.
Se qualche volta ripongono quello smartphone, subito dopo presi da un irrefrenabile impuslo lo riaccendono per controllare se non ci sia qualche nuova notifica nel social network.
In ogni caso lo tengono sempre in mano quasi fosse un talsmano, un ancoraggio, una scialuppa di salvamento.
Sono incapaci di apprezzare il senso della solitudine.
Per loro perde di significato il viaggio e la possibilità che nella storia dell'Uomo ha sempre donato di scoprire cose e volti nuove, di tornare a casa arricchito e con un pizzico di nostalgia per le meraviglie che si sono viste e che si possono raccontare o ricordare.
Non potranno mai raccontare ai propri figli: "Una volta, tanto tempo fa, mi è capitato che mentre viaggiavo su di un treno alla volta di Bologna, ho cominciato a parlare con la persona che mi sedeva accanto e ho scoperto che...", etc. etc.

Io, personalmente, rimango con la nostalgia di tante interessanti chiacchiere scambiate con i miei occasionali compagni di viaggi.
Il più delle volte persone che sono rimaste senza un nome, storie che sono nate e che si sono concluse in quell'arco di tempo per poi lasciarsi ognuno diretto alla sua meta.
Eppure quelle conversazioni hanno avuto un senso.
Sono state conversazioni con i propri simili, travasi di emozioni e di esperienze vere.
Sono stati incontri che non hanno avuto un seguito, ma che si sono sedimentati nella memoria delle mie esperienze.
Ogni tanto mi ricordo di questo o quel volto.
Di una specifica singolarità.
Di una storia che mi è stata narrata.
Io sono contento come sono. Un po' all'antica, forse.
Ho lo smartphone, ma non ho voluto per nulla avere il contratto per la connessione internet.
E tutti mi chiedono scandalizzati: "Ma come? Hai l'I-phone e non lo usi per connetterti?"

E il cellulare, mentre sono in viaggio lo uso davvero poco.
Talvolta mi dimentico persino di averlo.
Non sempre rispondo alle chiamate.

Gusto il distillato della mia solitudine di viaggiatore.
Penso che l'esperienza del viaggio sia unica ed impareggaibile e che tu da viaggiatore verace devi potere assorbire con tutti i tuoi sensi tutto ciò che la Via ti offre.
BIsogna a tutti i costi recuperare la capacità di essere passeggeri e viandanti, viaggiatori e pellegrini, nel senso più lato del termine.

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commenti

M
Ha scritto Giuliana Montagnin. Mi é capitato molto spesso di osservare i miei compagni di viaggio, per lo più in treno, mentre non tanto spesso nei viaggi in pullmann perchè, in tali occasioni,<br /> sono più attratta dal paesaggio che si presenta dal finestrino.<br /> Concordo con te Maurizio, i giovani - ma anche le persone di mezza età ormai - sono talmente prese dall’uso spasmodico di cellulari lanciando sms e chiamate o da smartphone o tablet; come se tutti<br /> questi gadget fossero espressione della smania di non perdere le ultime novità.<br /> Credo lo facciano, perché avezzi a viaggiare ore e ore in treno ogni settimana per raggiungere il luogo di lavoro o di studio, e hanno perso l’interesse per lo scenario che fugge precipitosamente<br /> oltre il vetro o per iniziare qualche conversazione.<br /> A mio avviso durante i viaggi molto lunghi, ad esempio nel tratto Venezia-Palermo che mi è capitato di percorrere alcune volte, le persone sono più propense a socializzare.<br /> Forse ciò è dovuto al fatto che, così facendo, cercano ingannare il tempo in qualche modo.<br /> Mi ricordo di aver fatto conoscenza di due signore, madre e figlia.<br /> Si erano recate su al Nord per una visita medica specialistica, e ci ritrovammo a chiacchiere a lungo su vari argomenti che spaziavano dalla medicina al tempo atmosferico, al lavoro, alle bellezze<br /> del paesaggio e dei luoghi visitati, fino all’arte culinaria.<br /> Ebbene, in questa circostanza, appresi finalmente come si preparano gli “arancini siciliani”.<br /> Certo sapevo farli anche prima, però non mi riuscivano, si spappolavano nell’olio; alcuni piccoli dettagli procedurali che mi mancavano li appresi proprio da queste signore.<br /> (Detto fra noi, ora mi riescono in modo presentabile e abbastanza buoni; però, i migliori sono quelli che ho occasione di mangiare quando vado personalmente in Sicilia).<br /> Naturalmente, a mia volta, spiegai come si cucina la jota: che é una sorta di minestra “dei poveri” di crauti con fagioli, infissita con farina di polenta e leggermente aromatizzata con l’aceto,<br /> piatto tipico invernale triestino.<br /> Ho sempre avuto ricordi piacevoli dei lunghi viaggi, di conoscenze occasionali e "superficiali" come dici tu, volti che rimangono senza nome eppure qua e là ho imparato qualcosa, modi di vivere,<br /> situazioni particolari che vivendo chiusa quasi “intrappolata” a Trieste non avrei mai conosciuto.<br /> Dei viaggi corti invece ricordo solo la monotonia, le ore che non passano mai, persone chiuse nel loro mondo virtuale di informatica.<br /> Io di solito guardo il panorama, il Castello di Miramare, di cui sono innamorata, che si allontana, il golfo di Duino e poi … mi prende sonno, controllo di aver messo la sveglia sul telefonino, ho<br /> sempre il cambio treno a Mestre, e cado nelle braccia di Morfeo.<br /> Talvolta porto con me un libro, il più delle volte di “piccola taglia”, perché cerco di ridurre al massimo il peso del bagaglio, oppure mi diletto a risolvere qualche sudoku, CARTACEO<br /> OVVIAMENTE.<br /> Se posso, faccio riposare gli occhi, altrimenti si passerebbe tutta la vita davanti ad un video: oggi il sudoku lo hai su internet, sul cellulare, puoi leggere libri con i tablet, telegiornali<br /> ecc.<br /> Adesso ti faccio sorridere: qualche anno fa mio marito era da poco andato in quiescenza ed aveva cominciato a dedicarsi quotidianamente al sudoku, prima quello del sito del “Sole 24 ore” e poi<br /> quello della “Repubblica”.<br /> Un giorno mi disse tutto preoccupato che aveva un grosso problema esistenziale … notando il tono serio non indovinai lo scherzo, cominciai a preoccuparmi pure io.<br /> Sai cos’era successo? Avevano cambiato la pagina del WEB e lui non riusciva più a trovare dove avevano sistemato il suo giochino.<br /> Ah! Beati i pensionati...
Rispondi
M
Ovviamente, parlavo in generale e non mi riferivo ad una situazione specifica...<br /> In viaggio, da che mondo è mondo c'è sempre stata l'occasione per socializzare ... più che altro per passare il tempo ... frammenti di conversazione ...piccole storie di vita ...sguardi a volte<br /> complici ... risate e sorrisi.<br /> Il più delle volte si trattava quasi sempre di volti che emergevano dall'anonimato ma che rimanevano senza nome...<br /> Poi, uno scendeva, l'altro rimaneva...<br /> Oppure si scendeva assieme e ciascuno frettolosamente proseguiva per la sua meta: studio, lavoro, casa di amici o parenti, fidanzato/a in attesa e così via.<br /> Io credo molto all'importanza di questi incontri fugaci e puntiformi che rimangono nella storia di ciascuno di noi in qualche misura memorabili (e che, sicuramente, ci donano qualcosa, pur nel<br /> rispetto dello spazio dell'altro e del nostro).<br /> Le memorie di viaggio si costruiscono appunto attraverso questi incontri e non per i posti che si sono collezionati o per le foto che si sono scattate (a meno che la fotografia non diventi essa<br /> stessa strumento per la costruzione di un diario di viaggio e non di raccolta di immagini souvenir olografiche.<br /> Negare il proprio sguardo al mondo è uno spaventoso maelstrom che rischia di allontanarti dalla realtà.<br /> Come se lo smartphone o I-phone che sia divenga l'alto baluardo di un castello fortificato nel quale vivere arroccato.<br /> Per tutti quelli che vivono di smartphone e ne sono dipendenti, la condanna più salomonica dovrebbe essere quella di uscire nel mondo e di stare nel mondo senza strumenti di connessione con il web<br /> e di ricominciare ad apprendere l'alfabeto delle emozioni e delle relazioni.<br /> <br /> [Ho scritto questo commento, per replicare ad una mia amica su FB che sosteneva che l'I-phone può essere un'efficace barriera, proprio per evitare di incrociare con lo sguardo con degli sconosciuti<br /> ed evitare di essere fraintesa "visti i tempi che corrono"]
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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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