(Passaggi. In fuga verso la fine del Millennio. Cap. 4°) Lo scenario è un minuscolo villaggio: poche case appena, disseminate lungo due strade che si incrociano ad angolo retto e attorno ad una chiesa madre.
Lungo il corso principale, nel caldo appiccicoso del primo meriggio, non si vede in giro una sola anima, nemmeno un disgraziato cane randagio spelacchiato e sbilenco.
Solo un viandante incede a fatica, barcollando sotto il peso di fardelli ingombranti.
Ogni pochi passi si ferma per riposare e per scambiare di mano una pesante valigia.
Di tanto in tanto durante soste che si fanno più frequenti, si deterge il sudore che imperla il suo cranio rasato a grosse gocce che, altrimenti, scivolerebbero sulla fronte, sul viso e dentro gli occhi, facendoglieli bruciare.
Ogni volta fa scorrere il palmo della mano sulla superficie luccicante sotto i raggi del sole e, poi, con un gesto secco scuote la mano, facendo schizzare lontano il bagnato che ha così raccolto.
L’uomo è solo, immerso nel silenzio.
Da come si guarda attorno si capisce bene che da tempo non ha avuto nessuno con cui parlare.
Il suo sguardo è opaco, ripiegato all’indentro.
Si sente attorno a lui un’aura spessa e solida di tristezza.
Non si capisce bene verso quale luogo questo viandante così solo ed appesantito stia andando, né da dove venga.
E poi, così anacronisticamente a piedi, mentre poche macchine rade sfrecciano veloci accanto a lui rombando e facendolo oscillare e barcollare ad ogni passo, mentre cerca di mantenere l’equilibrio compromesso dallo spostamento d’aria sulla base instabile ed incerta del ciglio eroso del nastro d’asfalto.
Improvvisamente, passando sotto un rustico porticato attraversato dai raggi obliqui del sole pomeridiano qualcosa attrae la sua attenzione: una vetrina spoglia illuminata in pieno e resa ancora più squallida dalla totale assenza di decorazioni.
Soltanto la sua superficie interna è rivestita da grandi fogli di carta scolorita le cui giunzioni sono rabberciate alla meglio da dozzinale tela adesiva.
All’esterno, sulla superficie nuda di vetro - ed è questo che attrae l’attenzione del viandante - campeggia un unico cartiglio realizzato artigianalmente con strisce di nastro adesivo rosso, le lettere spigolose di dimensioni irregolari.
"CRISPI’S BAR" recita la dicitura, mentre sullo sfondo appare il riflesso dell’immagine del viandante, il volto stanco e sudato, gli abiti stazzonati a causa del lungo camminare.
Il viandante appare sorpreso, esitante; il suo sguardo improvvisamente si ravviva come percorso da una scintilla; un passato lontano che sembra riemergere da una breccia repentinamente aperta. Dopo questo guizzo, rimane a lungo a guardare perplesso, come chiedendosi se vi sia un significato profondo in questa scritta e nel suo esistere proprio in questo luogo.
Forse, si chiede se dopo aver camminato tanto a lungo abbia un senso ritrovarsi ad un punto di partenza in un luogo che, riportandolo alla memoria del nome e a un dolore sepolto profondamente e apparentemente dimenticato, sembra volerlo sbeffeggiare.
Ma dopo un attimo di esitazione il viandante si scrolla le spalle e riprende il suo cammino, lo sguardo di nuovo grigio e opaco.
Di nuovo, riprende ad andare avanti verso una meta indecifrabile senza più girarsi indietro, lasciandosi dietro questa traccia, sicuro che anche questa flebile e casuale testimonianza del suo passato in cui si è casualmente imbattuto per un disegno del destino scivolerà presto nell’oblio.
La reminiscenza, che era stata sul punto di affiorare, viene di nuovo inghiottita dalle sabbie del tempo.
Mentre incede con il suo passo lento e appesantito, le spalle incurvate, allontanandosi per sempre da questo strano luogo, il viandante, è certo del fatto che - anche se circostanze imponderabili dovessero portarlo a passare di nuovo per questa strada - pur a distanza di pochi giorni appena - nessuna traccia troverebbe di questa scritta che è stata determinata dalla musica del caso a suo beneficio soltanto, soltanto per lui, per lui unico passante tra i tanti che si fossero ritrovati a transitare lungo quella strada.
Il suo occhio non scorgerebbe più nulla, nessun rimando alla sua personale biografia, ma soltanto il nome anonimo di un locale tra tanti altri, diversi eppure assolutamente simili.
E, inutilmente, il suo occhio ricercherebbe con inquietudine questa scritta o la persistenza d’una sua traccia.
In lui rimarrebbe solo l’inquietudine di memorie sempre piu' labili ed evanescenti.
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