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21 febbraio 2012 2 21 /02 /febbraio /2012 11:25

(Passaggi. In fuga verso la fine del Millennio. Cap. 2° - Ombre) - Mentre continuavo ad andare, barcollando dalla fatica, nella mia mente febbricitante si sono accese le visioni.

Mi aggiravo nel dedalo buio di strade squallide di una città deserta e sprofondata in un silenzio innaturale:  se questo è  possibile immaginarlo, ­ era il silenzio d’una città ferma e morta in cui nulla, nessun macchinario,  sia più funzionante e in cui nemmeno la corrente elettrica corra più nei fili.

Nel mio cammino incerto, reso esitante di fronte a questa totale mancanza di segni di vita, nelle  mie orecchie c’era soltanto il rimbombo dei miei passi e il loro eco riverberato ossessivamente,mille e mille volte, alle pareti degli alti edifici spogli che fiancheggiavano le strade, le finestre prive di infisse a fissarmi come orbite vuote.

E,  improvvisamente, vidi che alle porte delle case si affacciavano e venivano fuori - lenti e in profondo  silenzio - uomini e donne, prima alla spicciolata, poi sempre più numerosi; e,ancora, benché la moltitudine crescesse a vista d’occhio, continuavo a non udire nessun rumore di passi quasi stessi assistendo alla marcia d’un esercito di ombre chiamate a raccolta per qualche imperscrutabile disegno.

Ciascuno di questi spettrali viandanti portava sulle braccia tese ieraticamente davanti a sé un fardello. Guardando meglio, il fagotto informe era un bambino: e tutte le età erano rappresentate, neonati, bimbi più grandicelli, ragazzini alle soglie dell'adolescenza. Dall’aspetto e dalle posture che questi fardelli mantenevano, era come se  gli esserini fossero del tutto morti anche se ancora non irrigiditi, perché nella traslazione a cui i loro corpi erano sottoposti vedevo chiaramente il ciondolio delle teste innaturalmente  reclinate e l'oscillazione di gambe e braccia cascanti verso il basso e molli come le membra di fantocci disarticolati.

Gli uomini e le donne con i loro fardelli andavano confluendo in gruppi sempre più numerosi a costituire una dolente processione - ­dolente per me che osservavo sbigottito - e procedevano in silenzio, senza dare mostra di alcuna fatica. 

E ricordai allora la mia fatica - e il mio dolore - nel trasportare verso il luogo della sua sepoltura un mio cane morto quando era ancora caldo, ma senza più tono muscolare, prima del sopravvento del rigor mortis: era tutto cedevole come un sacco pieno di materiale incoerente, tanto che era difficile tenerlo assieme compatto ed era come se sfuggisse da ogni parte e i miei sforzi nel tenerlo raccolto tra le braccia si moltiplicavano e mi rendevano esausto. 

Ma, nello stesso tempo, sempre senza produrre  alcun suono e con espressioni assenti, gli occhi persi nel vuoto, quegli uomini-ombra mi passavano accanto come automi impegnati con distacco in un compito ordinato da padroni invisibili. Sembravano non notarmi affatto,  nulla facevano  per scansarmi ed ero io che ogni volta dovevo spostarmi dalla traiettoria di questo loro movimento cieco ma sicuro, anche se immaginavo che il loro moto, avendo la qualità immateriale dell’allucinazione e del miraggio, avrebbe potuto attraversare  il mio corpo e la mia sostanza; ma forse, riflettevo io stesso ero privo di qualsiasi sostanza e non ero che ombra tra le ombre .

Contemplavo stupefatto la  moltitudine che si andava assiepando in tutti gli spazi  disponibili che si stendevano all’interno del mio campo visivo, negli  anfratti delle strade e nello slargo  più aperto della piazza dove tutte le  vie confluivano: centinaia e centinaia di  uomini e donne che continuamente rigurgitati  dai ventri  delle  case si andavano ammassando  in una folla sempre più fitta.

La folla in marcia  si  andava gonfiando  come la marea che risale impetuosa la bocca di un fiume, una moltitudine in cammino (trasognata e silente e privata pure di qualsiasi  suono  - brusio,  sporadici colpi di tosse, scalpiccio di piedi)  che, sotto la spinta esercitata da  tutti i nuovi sopraggiunti, debordava nelle strade laterali.

E, così, ognuno andava avanti con il suo carico,  indifferente e ignaro degli altri.

Poi, dopo un poco di questo andazzo, riuscivo a  vedere soltanto  migliaia e migliaia di teste brulicanti rivestire con un tappeto vivo e palpitante le strade delle città e tutte scorrere senza fretta nella stessa direzione con un flusso costante e uniforme, ognuno senza più anima, con il proprio bambino morto teso davanti a sé come ad offrirlo in un ultimo sacrificio collettivo, l'olocausto dell'anima.

Ancora,  ho visto miriadi di uomini e di donne, chiusi nella solitudine dei loro loculi, che - lontano dallo sguardo degli altri ( ma chi può più interessarsi del prossimo? ) -  con  rasoi affilati cominciavano a radersi lentamente  per una cerimonia di purificazione o per ritornare per pochi attimi ad essere di nuovo come bambini.

Dopo essersi interamente cosparsi di  schiuma da barba o di semplice saponata,  con  rasoi affilati asportavano  con cura i capelli le sopracciglia  i peli delle ascelle i peli pubici e poi anche quelli  di tutte le altri parti del corpo.  E poi, dopo aver portato a termine questa operazione, saggiavano con un lento passaggio della mano, sia a pelo che contropelo, il risultato ottenuto, verificavano se al tatto si apprezzava una sufficiente levigatezza delle superfici appena rasate. E quando invece il movimento contropelo evidenziava ancora qualche residua rasposità, allora si soffermavano a far passare ancora una volta il rasoio, vincendo il tremito della mano.

L’operazione della rasatura  è sintona con l’ usanza di certi culti iniziatici secondo la quale è  prescritto che gli officianti siano puri nel corpo e che questa purezza si possa raggiungere  liberando  il corpo dall’ingombro  di ogni pelo e di ogni capello  - peli e capelli essendo espressione di impurità. E il raggiungimento dell’obiettivo di  purificazione corporea  serve a sottolineare il raggiungimento di una condizione di purezza dello spirito che nel corpo è ospitato.

Dopo il completamento dell'operazione della rasatura, che  è  quindi un  rito di purificazione, uomini&donne rimanevano in silenzio a contemplare il risultato specchiandosi a lungo - per ore - di faccia di profilo di tre quarti, accostando il  proprio volto allo specchio appannandolo con il respiro e quasi incollandovi sopra gli occhi per esaminare scrupolosamente ogni centimetro della propria pelle nuda alla ricerca di quei pochi peli ancora sopravvissuti; con specchietti mobili forniti di manico direzionabile  esaminavano con cura gli angoli più riposti della loro pelle,  intervenendo con  un tocco del rasoio qua e là per perfezionare il risultato raggiunto;  e, infine,  ormai glabri come bambini appena nati, con la pelle liscia e pulita, andavano a distendersi su una stuoia sul pavimento nudo al centro della loro stanza spoglia, al buio, e per ore rimanevano rannicchiati in posizione fetale, immobili, in attesa di far crescere dentro di sé  la determinazione a sacrificarsi per mettere alla prova un  proprio sogno di immortalità, cospargendosi di benzina e dandosi fuoco come i bonzi o come Jan Palach, il martire di Praga; e mentre, nell’evolversi di questo sogno, il loro corpo ardeva come una torcia,  gli uomini e le donne  ponendosi come osservatori di se stessi in  punto altro, guardavano la propria anima levarsi in forma di nebbia colorata assieme  al fumo e ai vapori dal corpo immobile,  che - ormai prossimo a carbonizzarsi  - si  spacca e si raggrinzisce tra fiamme giallo-arancione, silente,   senza  che  si levino grida di lacerante dolore, e ascendere verso l’alto, come la fenice dei miti che sempre rinasce dalle proprie ceneri.

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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