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22 dicembre 2012 6 22 /12 /dicembre /2012 18:34

Natività - Presepe 2012 del Maestro Giuseppe Bennardo, Palermo - Foto di Maurizio CrispiQuella che segue è la trascrizione (ovviamente rielaborata) di un sogno fatto nell'ottobre 2001 (in calce allo scritto è, infatti, riportata la data: 20 ottobre 2001, per l'esattezza). Era l'anno del crollo delle Twin Towers (poco più di un mese dopo l'evento), ma nello stesso tempo si avvicinava il Natale.
Il sogno mi ha proposto una singolare combinazione dei due temi: quello del crollo e della distruzione mixato con quello della rinascita e del riscatto, mescolati tra loro in un inno alla solidarietà, alla condivisione, alla multietnicità e alla "normalizzazione" delle diversità.
In qualche modo un sogno che mi ha parlato di morte e di rinascita. Di caduta e di discesa agli inferi e di risalita al mondo della luce.
Mi sembra appropriato recuperarlo e postarlo qui, proprio all'avvicinarsi di un nuovo Natale, poco più di dieci anni dopo.
Anche se, nel frattempo, il mondo è fuggito in avanti e il bagaglio di speranze si è assottigliato in modo preoccupante, come anche sembra essersi logorato il sogno di una fratellanza e di un'Ecumene universale.

 

Ho fatto un sogno qualche giorno fa.

Quando mi sono risvegliato ero ancora sotto il suo effetto e persistevano nella mia mente alcune immagini sparse che continuavano ad agire dentro di me con una forte inerzia suggestiva.

Ero come incantato dalla forza e dalla limpidezza di alcuni dei frammenti onirici sopravissuti che sembravano essere dotati d'una notevole forza eidetica e che mi apparivano quasi allo stato di pure immagini.

Ho provato a ricostruire la successione di eventi di questo mio scenario onirico, non senza ovviamente un effetto di rielaborazione e d’inclusione di inserti puramente associativi e alieni dalla tessitura originaria del materiale del sogno.

Quello che segue è il risultato del mio tentativo di rielaborazione.

La scena iniziale è quella di una grande migrazione, un viaggio verso una meta oscura intrapreso con una compagnia molto eterogenea…

 

Sono immerso in un’immensa comitiva viaggiatori: da giorni andiamo avanti, spostandoci a piedi e su mezzi di fortuna.

Non so come sia accaduto di trovarci tutti assieme.

La compagnia è instabile: alcuni compaiono all’improvviso, altri si eclissano altrettanto velocemente. Ho la sensazione che, nel complesso, la comitiva abbia la tendenza ad accrescersi di continuo e che, poco per volta, si stia trasformando in moltitudine.

Sono colpito dal fatto che ci siano tante facce e tanti personaggi noti attorno a me a condividere le fatiche del viaggio: di molti non riesco ad indovinare l’identità per quanto io mi sforzi di pescare nella mia memoria i nomi da accoppiare a quei volti; dell’identità di altri, invece, sono quasi certo; potrei metterci la mano sul fuoco.

Torreggia tra gli altri Boris Karloff, nella sua interpretazione di Frankenstein; poco distante da lui c’è Bela Lugosi, e, tra le tante teste che si accalcano in questa comitiva sempre più numerosa, possono riconoscere Ed Wood, ma nella versione che ne ha dato Tim Burton, cioè mascherato da mostro dello spazio; un po’ più discosti intravedo anche Biancaneve e i Sette Nani, ma sì … là vicino Bambi si muove a scatti, timido e nervoso ad un tempo, e poi guardando meglio, perché è quasi completamente coperto dai corpi che si accalcano su di lui, scorgo ET che cerca di attirare l’attenzione ripetendo di continuo: ET … telefono … casa…; ora vedo anche Pocahontas, Davy Crockett e i Magnifici Sette capeggiati da Yul Brunner … e, più in là, Barbie e Ken, e i minacciosi Action Men… e forse anche Silver Surfer con tutta la sua combriccola…

Non mi voglio dilungare troppo, ma penso che abbiate capito di quale compagnia si tratti.

Procediamo lentamente e a fatica: ognuno cerca di aiutare i più lenti in questa grande migrazione…

Alla fine del viaggio (o meglio, là dove ci sembra di essere giunti alla fine del viaggio) siamo ai piedi di un gigantesco edificio svettante verso l’alto: è così alto da bucare i cumuli che si asserragliano in cielo di un bianco abbacinante e con l’orlo rosato; nella sua imponenza si staglia con nettezza cristallina e perfetta su d'uno sfondo di un profondo blu.

Il grattacielo altissimo e di solida fattura, è dominato in alto da una guglia che si va facendo più esile e svettante man mano che sale; è rivestito di marmo pregiato di una calda tonalità dorata che vibra alla luce del sole; attorno alla sua fabbrica, vi è un immenso porticato circolare sostenuto da una doppia fila di colonne alternativamente ioniche e doriche.

Mentre ci ritroviamo tutti ammassati sotto questo porticato, io osservo che, a poco a poco, tanti altri convergono nella nostra direzione.

I più lontani mi appaiono soltanto come facce indistinte, chiazze chiare in risalto sul corpo più scuro della massa di folla.

Aspettiamo tutti, consapevoli che da un momento all’altro dovrà verificarsi un evento, quale che sia.

All’improvviso, rivoli d’acqua cominciano a scorrere tra i nostri piedi, rivoli che si fanno sempre più impetuosi, assumendo una foga torrentizia; sino ad un certo punto, sento di potere fronteggiare la forza dell’acqua, ma poi, quando non ho più modo di resistere al suo impeto, per un attimo mi avvinghio ad una ringhiera di ferro che poi cede rovinosamente.

Mentre il mondo comincia a girarmi attorno in turbinio d’acqua, di spuma e di grosse bolle d’aria, in un attimo perdo tutti i punti di riferimento.

Mi ritrovo, annaspando e respirando a fatica in una corrente viva che mi trascina con sé nei meandri della terra.

Infatti, l’enorme massa d’acqua ci trascina tutti quanti dentro un tunnel scavato nella roccia. La moltitudine di prima scompaginata dall’arrivo della grande onda si è scomposta in una miriade di destini individuali, ognuno dei quali traccia in solitudine una propria traiettoria.

Io procedo nei gorghi e nei risucchi attaccato ad un’asse di legno, quasi una tavola da surf improvvisata, che per buona sorte mi è piombata di sopra e a cui mi sono aggrappato in uno spasimo di disperazione.

Alla fine di questo procedere a velocità vertiginosa finisco espulso come un proiettile in uno grande spazio vuoto, immerso in una profonda penombra senza echi: il dead end del nostro viaggio è, a quanto sembra, un’immensa caverna del sottosuolo, stillante di umidità.

Siamo all’asciutto adesso… l’acqua è stata, quasi per intero, riassorbita in sottili passaggi che portano ad altre cavità ancora più abissali nel più profondo della Terra cava.

S’intravedono, nella semioscurità, ombre confuse che si rialzano goffamente e si tastano il corpo alla ricerca di punti dolenti.

Ci risolleviamo, sistemandoci alla meno peggio.

Da vari punti si originano piccoli gemiti, voci sommesse e richiami sparsi.

Poi niente più, solo silenzio.

Poi, dopo il silenzio, scalpiccio di piedi.

I piedi, muovendosi quasi automaticamente svincolati dalle singole volontà, ci portano di nuovo gli uni verso gli altri e, man mano che ci assiepiamo di nuovo, io ho modo di osservare ancora una volta la stessa variegatura di volti noti e meno noti; a questo punto della storia non ci parliamo, perché non ce n’è più bisogno di parole dette: siamo tutti in comunicazione, come se tutti fossimo parte di una stessa mente.

Sappiamo di avere un’unica via d’uscita ed è quella da cui siamo venuti trasportati dalla forza delle acque; non ci sono alternative praticabili.

Un tacito assenso ci accomuna; adesso conosciamo anche il motivo del nostro essere stati assieme prima e sappiamo qual è il nostro compito adesso; un mormorio di preghiera e di costernazione attonita si leva da tutti noi abitanti del sottosuolo: dobbiamo intraprendere, da pellegrini un viaggio a ritroso, percorrendo il mondo sotterraneo, attraverso cui siamo stati trascinati, per riemergere alla luce nel bel mezzo del terreno sconvolto di Ground zero.

Lì, siamo attesi per adorare il nuovo Messia, appena nato tra le macerie di downmanhattan.

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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