Devo la narrazione che segue ad un racconto che mi è stato fatto, nel corso della mia pratica professionale. Il racconto è stato ovviamente modificato ed ampliato con il risultato di alcune ricerche sul web, lasciando dei riferimenti appena impliciti alla narrazione orale che ebbi modo di ascoltare e che volli registrare e trascrivere in questa forma e con delle intersezioni di pura fantasia, per esprimere una condizione di profonda solitudine.
(Anonimo) Un vicolo buio e sporco, rivestito da un manto di blocchetti di porfido ormai sconnessi, sacchi della spazzatura ammassati da tempo, gatti che li esplorano alla ricerca di cibo raffermo. Sono tornato in questa via dopo anni quando nelle mie peregrinazioni solitarie andavo alla ricerca di cinema a luci rosse e in questa via ce n’era uno molto appartato, quasi dignitoso, con la sua aria di cinema d’essai decaduto.
Nel buio del vicolo che ora assume contorni vagamente familiari, si staglia nettamente un androne illuminato fiocamente da una lampadina blu e, in questo androne, si riconosce a stento l’ingresso del locale pubblicizzato da una piccola insegna luminosa posta all’angolo della strada. Blue Moon dice l’insegna. Una trista figura indugia all’ingresso e guarda immota e impassibile verso il vicolo deserto e la sua desolazione.
Appena entrato mi accoglie un androne del tutto spoglio, all’infuori di un modestissimo cartello scritto con pennarelli colorati che dice
“Oggi, palp dance”
con l'aggiunta dei nomi fantasiosi delle dancer che si esibiranno. Uno squalliodo allestimento, senza nemmeno un corredo di foto o di locandine come è d’uso per presentare gli spettacoli di varietà. Mi chiedo cosa sia la palp dance, se in questa parola non sia contenuto un ammiccamento allusivo alla lap dance che in questi ultimi tempi ha cominciato ad andare così di moda dalle nostre parti.
Ripide scale che si dipartono dall’androne così vuoto portano alla zona della cassa dove un’arcigna virago incassa il denaro con aria di disapprovazione e stacca i biglietti, consegnando ad ogni spettatore un unico biglietto, formula fissa - film più spettacolo- senza possibilità di scelta.
La piccola sala è in penombra, affollata, quasi tutte le poltrone abbastanza ampie ma prive di braccioli sono occupate, un pubblico esclusivamente maschile in attesa, i soprabiti ripiegati e inspiegabilmente collocati dietro la schiena.
Ogni tanto il pennello di luce di un faretto spazza la sala e crea effetti cromatici cangianti, di luminescenze rosse giallo-dorate, iridiscenti.
Un inserviente - o forse il gestore della sala - ha appena collocato al centro del palcoscenico una poltrona sdrucita, identica a quelle dove sono seduti gli spettatori in attesa.
C’è un traffico intenso da e per le toilette. Uomini entrano nei gabinetti, si trattengono per un poco e poi ne riescono: a volte al movimento di uno fa da immediato contraltare il movimento di un altro, con improvvise accensione di frenesia.
E’ appena finito lo spettacolo precedente e viene propinato agli spettatori, il film porno in programma per la serata. Un film senza nè onore nè gloria: cinematografia porno americana anni ‘60 a budget ridotto, dal titolo grottesco: Tetton club; tutte scene girate in squallidi interni di motel americani da poco prezzo, con pornostar semisconosciute, le solite donne californiane fornite di tette abbondanti e tornite e di grandi culi invitanti; si è succeduta sullo schermo la girandola delle solite combinazioni, scene di pompini, sborrate in faccia, inculate e quant’altro, ma l’audio era pessimo e così pure la luminosità dello schermo; l’impressione generale che ne derivava, per me, ma forse non per gli altri spettatori, era di cupezza e di claustrofobia; insomma, niente di che, da quando ci si è fatto l’occhio ai torridi pornofilm in video degli anni ‘90. Ma indubbiamente questo film era destinato ad essere solo un intermezzo preparatorio dello spettacolo che fra poco dovrà cominciare, una specie di pillola per attivare negli spettatori lo stato mentale appropriato e una trama di fantasie. In ogni caso, il sottofondo in sala durante la proiezione del film era intessuto da un rincorrersi di sospiri, commenti rochi fatti di parole pronunciate a mezza bocca, ma inaudibili, e lo scalpiccio di piedi a sottolineare il traffico verso le toelette, teatro di probabili frettolosi congiungimenti omo nel riserbo degli squallidi gabinetti.
Ma adesso sono tutti in trepida mormorante attesa dell’inizio dello spettacolo, quello vero: secondo un approssimativo neologismo si tratta di una “palp show/dance” nel corso della quale si susseguiranno appunto tre palp dancer dai nomi accativanti: Monik, Anita Dark e Anita Blond, nomi d’arte indubbiamente, nomi ricorrenti nel cast d’attori di alcuni recenti film porno, lanciati dal grande circo del porno di Riccardo Schicchi: le due Anite in questione, per esempio, hanno preso parte al famoso recente Rocco e le Storie Tese; sembra strano che in un locale così d’accatto, ormai visibilmente in declino, vi siano delle pornostar che probabilmente hanno ancora mercato nel panorama del video porno; ma, si sa, il sistema del porno è vorace e ha di continuo bisogno di volti culi e tette nuovi da esibire e quindi - salvo che in alcuni rari casi in cui solo un carisma personale salva dal logoramento inevitabile - si è velocemente gettati sulla sponda e scartati a produzioni di secondo piano e costretti ad accettare, per questioni di pura sopravvivenza, ruoli non certamente esaltanti; quando si è in declino - sul viale del tramonto - non ci si può più consentire il lusso di essere schizzinosi; persino il “grande” John Holmes, il re del porno- the king of porn, come lo soprannominavano - ovvero Mr Trentacentimetri, alla fine della sua vita quando ormai non era più chiamato ad essere presente sui set porno più prestigiosi, pur di sbarcare il lunario, si trovò costretto ad accettare persino di prender parte ad un film gay con veri gay, lui che - esplicitamente etero - aveva sempre rifiutato di scendere a simili compromessi.
Durante l’attesa tutti prendono posto; sembra che le scomode poltrone nelle prime file siano particolarmente: c’è un’enfasi particolare nel modo in cui tutti si collocano gli impermeabili dietro la schiena.
Perchè?
Mi sembra un comportamento insolito rispetto a quanto faccia usualmente lo spettatore di un film.
Io sono l’unico a tenere il mio soprabito ripiegato sulle ginocchia.
Finalmente lo spettacolo ha inizio, preceduto dal roboante annuncio del gestore di sala: Ecco a voi Monik!
Entra Monik una bionda forse di ascendenza tedesca [in realtà: ungherese], abbastanza bella, alta e longilinea che indossa un abito nero lungo sino ai piedi dotato di vertiginose spaccature laterali che, ad ogni movimento, lasciano vedere le coscie sino all’inguine. Monik non si sofferma molto sul palcoscenico, ma sin da subito comincia a volteggiare tra il pubblico passando da una persona all’altra e da una fila di poltrone all’altra, non soltanto muovendosi nei corridoi centrali, ma infilandosi negli spazi più ristretti tra le file. Questi passaggi ovviamente attivano immediatamente gli spettatori e mani si allungano ogni volta per toccare tutto ciò che possono. La dancer si ferma vicino a ciascuno degli spettatori e da ciascuno si fa palpare, da ciascuno si fa mettere la mano/le mani sotto l’abito, a diretto contatto delle coscie e del culo. Le mani, a volte contemporaneamente le mani di due-tre spettatori, che si protendono lussuriosamente verso di lei, nel buio sembrando animate di vita propria, formano dei grovigli e si muovono avide su tutte le superficie disponibili. Quando il contatto di una mano si fa troppo invasivo, Monik allontana la mano con un gesto sdegnoso oppure si allontana, spostandosi verso un altro punto della sala: non c’è nessuno che venga trascurato e la cosa sorprendente è che tutti gli altri spettatori aspettano pazientemente il proprio turno, a volte nemmeno si girano a guardare ciò che sta avvenendo alle loro spalle, tanto sanno per certo che prima o poi l’oggetto dei loro desideri verrà o ritornerà vicino a loro.
Sembra che tra gli spettatori viga una sorta di tacito codice etico condiviso: rispettare poche semplici regole e non lasciarsi andare a tocchi di mano non leciti. Quindi i trasgressori sono soltanto pochi e in ogni caso si tratta di mancanze blande che probabilmente fanno comunque parte del gioco.
Man mano che questa pantomima va avanti MoniK si va liberando di tutti gli indumenti finchè non rimane con un succinto tanga, di cui finisce di liberarsi, sempre continuando i suoi giri tra gli spettatori che, attizzati dalle nudità di MoniK adesso moltiplicano toccamenti e palpazioni in relazione al moltiplicarsi delle superfici di pelle disponibili e delle zone appetibili dal punto di vista erotico.
Di tanto in tanto, MoniK sale sul palcoscenico per distendersi supina sulle nude tavole con le coscie divaricate all’inverosimile per mostrare a tutti la fica depilata e per strusciarsela con la mano per esplorarsi la fica con le dita, allargando le grandi labra per far vedere l’interno inumidito e per far capire quanto anche lei sia eccitata da questo gioco. A volte, durante queste sequenze, dopo essersi succhiato l’indice e averlo inumidito di saliva se lo infila nella fica e comincia a farlo scorrere in un movimento lubrico di su e giù, ansimando in sintonia con il movimento e mostrandosi lubrica e dopo aver fatto ciò si rinfila vogliosa in bocca il dito, adesso intriso dei succhi dell’eccitazione
Poi dopo avere mostrato ancora una volta la fica ritorna a volteggiare tra il pubblico.
Nei suoi passaggi, anch’io la tocco più volte: la sua pelle è levigata, il suo corpo sembra avere una consistenza dura e muscolosa; al tatto, si apprezza una sensazione di umido; tutto il movimento che sta facendo ha attivato la traspirazione, e non ci sono segni che abbia freddo.
Il suo seno è tondo e morbido.
Ogni tanto Monik poggia il culo sulle ginocchia di uno degli spettatori o si adagia sul suo grembo e, mentre quello le palpa i seni, comincia a muovere i fianchi con un lento movimento circolare, come se stesse scopando. Adesso capisco perchè tutti si erano predisposti per non avere nessun ingombro sulle gambe!
Ancora una volta tutti aspettano diligentemente il proprio turno, ciascuno desiderando i silenzio di essere prescelto per qualche momenmto di illusoria intimità.
E’ silenzio in sala, ma un signore in prima fila, che sembra un habituè del locale, fa l’animatore e la claque ad intervalli irregolari; nei momenti clou delle effusioni di Monik dice enfatico: Brava, Monik!.
E tutti applaudono, ma senza convinzione, perchè ciascuno è proteso a potere essere visitato direttamente da MoniK in persona.
Subito dopo è la volta di Anita DarK, anche lei bionda ma più esile di MoniK anche se con un grosso seno, tutta vestita di bianco, con un abito pieno di frangie svolazzanti.
Anita DarK si presenta da subita più lubrica di MoniK.
Più frequentemente nel corso dei suoi volteggi si struscia contro gli spettatori, o addirittura si mette a cavalcioni delle loro ginocchia mimando un coito frenetico con un movimento di galoppo frenetico, facendosi palpare con una ostentata voluttà oppure si china su di loro portando la bocca all’altezza della patta dei pantaloni come se avidamente volesse impossessarsi del loro membro per un veloce pompino. Ma poi va subito via, prima che nell’individuo prescelto l’eccitazione possa montare al di là del punto consentito. E ricomincia a volteggiare, anche lei progressivamente liberandosi dei suoi indumenti, esibendosi di continuo in sequenze di movimenti e di gesti lascivi ed iperbolici. Invita uno degli spettatori a salire sul palcoscenico e lo fa accomodare sulla poltrona azzurra identica a quelle della sala: si fa leccare il seno nudo, poi volgendo le spalle - e il culo- agli spettatori in sala si china in avanti a porta la sua faccia a contatto con la patta dello spettatore e intanto fa vedere a tutti la fica depilata che si accarezza ripetutamente con un dito. Quando il tipo prescelto mostra di volere andare oltre, immediatamente lo redarguisce e lo rimette al suo posto, dileggiandolo. Si gira verso il pubblico e, dopo essersi accovacciata, comincia a fare movimenti frenetici di su e giù, come se stesse cavalcando, impalata su di un grosso cazzo proteso.
Il solito animatore della serata dalla sua postazione in prima fila ripetutamente incita il pubblico ad applaudire e ad esprimere la sua ammirazione: “Brava Anita! - grida con voce stentorea - Via, un applauso per ANITA DARK!”, ottenendo con la sua abnegazione salve di applausi, se non addirittura ovazioni.
Più volte l’Anita, come del resto Monik prima di lei si distende sul dorso aprendo le gambe e mostrando la fica che allarga con la mano per infilarci con ostentazione di voluttà il dito bagnato di saliva, che a lungo ha leccato e succhiato nella bocca.
Poi, rimanendo sempre sdraiata sul dorso, afferra una candela, l’accende e comincia a leccarne l’estremità per poi infilarsela nella fica cosicchè alla fine rimane con la candela accesa infitta nella vulva mentre il pubblico applaude con grande entusiasmo.
Dopo questa performance, Anita prende a girare ancora una volta per la sala tenendo la candela accesa in mano e lasciandosi scolare la cera calda sul seno, sulle cosce, sul ventre e contemporaneamente lasciandosi palpeggiare ancora una volta dagli spettatori. Man mano che Anita va avanti in questo suo giro, il seno, il torace, l'addome e l'attaccatura delle gambe appaiono sempre più cosparsi di chiazze bianche di cera solidificata sulla pelle che evocano il bagno di sperma finale in un film porno-hard.
Dopo un grande applauso finale, anche Anita Dark si eclissa tra le quinte. So dal programma della serata che, dopo una breve pausa, sarà la volta di Anità Blond, per la cui performance viene predisposta sul palcoscenico una grande sagoma di cartapesta, foggiata in forma di mano ripiegata a coppa.
Ma, a questo punto, ho pensato che non c’era nient’altro di nuovo da vedere, mi sentivo - malgrado tutto stanco e annoiato - e così ho preferito abbandonare il locale e immergermi nei viottoli maleodoranti della città antica per riprendere i miei percorsi di erranza solitaria e per ricominciare a desiderare.
Sono uscito nel freddo della sera nel vicolo buio e desolato, i cumuli di spazzatura ammassati accanto a cassonetti stracolmi, sorvegliati da un gatto attento e mi sono avviato senza fretta lasciandomi alle spalle, senza più girarmi indietro, l’insegna triste del locale a luci rosse.
Presto, attraverso il dedalo di vicoli e di vie deserte illuminate da chiazze di luce smorta, mi sono immerso nella vita artificiale della metropoli, nel flusso inarrestabile di luci rutilanti e di passanti casualmente aggregati in grappoli.
E, in solitudine, ho continuato a camminare a lungo di nuovo desiderando di desiderare e poi desiderando di essere in altri luoghi e di percorrere altre strade ancora.
Il locale Blue Moon è realmente esistente: si trova a Roma nel quartiere Esquilino (Via dei Quattro Cantoni) ed è nato come cinema a luci rosse per convertirsi successivamente in sala per spettacolini a luci rosse, dove frequentemente si esibivano stelle e stelline del cinema porno, molte delle quali a suo tempo lanciate da Riccardo Schicchi e appartenenti a quella che è stata definita la sua "scuderia", fortemente implementata con le pornodive dell'Est. All'inizio, gli spettacoli del Blue Moon andavano a ritmo continuo (ma senza le matinée), con l'alternanza di proiezioni di film porno e di esibizioni del vivo, con biglietto d'ingresso, pari a quello di una sala cinematografica. Oggi, il Blue Moon continua l asua fiorente attività, ma - in sintonia con i tempi - il costo del biglietto d'ingresso è lievitato, mentre il palinsesto è statoscremato dalla proiezione del film porno.
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