Ho sempre avuto una predilezione per le candele che ardono nelle chiese. Ogni volta che mi trovavo (e che mi trovo) ad entrare in una qualsiasi chiesa, se soltanto c'è la possibilità di farlo, mi piace di accendere una o più candele e, mentre lo faccio, rivolgere dei pensieri alle persone cui voglio bene.
Mi piace pensare che, con la luce della candela, questi pensieri possano risplendere ed accendersi di calore e che, nello stesso tempo, assieme alla colonna di calore e al fumo generati dalla fiamma che arde, possano ascendere verso l'alto.
Mi ritrovai a scrivere questo "passaggio" forse nel 1998, come sedimento di un'esperienza di vagabondaggio in una città assolata in cui mi trovavo in transito.
Vagabondando senza meta - in preda al mio smarrimento - mi sono affacciato su di un altro grande spiazzale, circondato su ogni lato da imponenti edifici antichi dominati da un campanile solido e robusto svettante verso il cielo.
Attraversando la piazza sotto il sole ardente - non un'anima viva attorno a me, nemmeno un furtivo passante - osservo intimidito grandi tralicci di alluminio e acciaio che, risplendenti sotto il sole, dominano il grande spazio e parzialmente occludono la vista degli edifici.
Tutt’intorno tracce di passaggi e di attività repentinamente interrotte, stracci smessi, un paio di scarpe da tennis sudicie abbandonate fiaschi di vino vuoti rovesciati, alcuni frantumati: tutto ha l'aria di un bivacco all'improvviso disertato.
Anche qui un silenzio innaturale grava su ogni cosa.
Inquieto tendo l'orecchio quando sento risuonare con una sonorità strana i miei stessi passi sul basolato di pietre squadrate .
E, completato questo attraversamento - penoso perché mi sembra di non arrivare mai dall'altra parte del grande spiazzo -, mi ritrovo davanti all’immenso portale di legno della chiesa antica che occupa quasi un intero lato della piazza e mi dirigo verso di esso - come spinto dall'esigenza improvvisa di frescura e di rifugio, all'interno di uno spazio delimitato, e forse anche dal desiderio di potere trovare fuori dal deserto in cui sono stato immerso un altro mio simile dentro uno spazio sacrale, anche soltanto una figura lontana china su di un inginocchiatoio e assorta in preghiera.
Penetrato nella penombra fresca ed ombrosa della navata racchiusa sotto una volta a ogive altissima e stretta, mentre i miei passi riecheggiano secchi sulle pietre liscie della pavimentazione, mi soffermo a osservare le commessure tra una lastra e l'altra e la grana della pietra lucente e levigata da migliaia di passi che si sono succeduti prima dei miei nel corso dei secoli.
Qua e là, interconnesse alla pavimentazione, grandi lastre tombali scolpite a bassorilievo ricordano eroi principi e grandi prelati del passato dalle fattezze stilizzate ed ieratiche e, ora, anch'esse levigate e ammorbidite dal passaggio continuo di piedi devoti.
Minuscole isole di luci tremolanti ai piedi dei grandi pilastri svettanti attirano il mio sguardo.
Lucignoli elettrici - una concessione alla febbre di modernità - che si accendono pigiando un piccolo pulsante dopo avere inserito in una stretta fessura l'offerta minima prevista. oppure - più in linea con la tradizione - lunghi ceri sottili che, dopo averle prelevate, dal ripostiglio sottostante si dispongono sulle apposite rastrelliere incrostate di scolature di cera stratificate nel corso degli anni.
Penso che, anche questa volta, dovrei accendere le candele.
Questo - ricordo - è un rito da ripetersi sempre eguale ogni volta che penetro negli spazi ombrosi e freschi delle grandi chiese antiche.
Allora ne sfilo tre - una alla volta, con attenzione, per non fare cadere le altre ammassate nello scomparto - controllo che lo stoppino sia ben teso e le accendo con cura tenendole inclinate e accostandole alla fiammella di una già accesa che brucia solitaria infitta nella rastrelliera, perché quasi tutti gli altri offerenti hanno optato per i lucignoli elettrici.
Mentre accendo la fiammella, indugio a pensare alle persone che mi sono più care, il bimbo, la madre, la donna.
Accendo queste candele per loro, perché - con la fiamma che arde e il suo calore - si levi in alto nel cielo un pensiero, per buon augurio, perché a nessuno di loro succeda nulla di male, nessuna avversità.
Osservando le fiammelle delle tre candele che prendono vigore e ascendono verso l’alto, faccio scivolare nella fessura delle offerte il mio obolo, anche se forse nessuno più verrà a ritirarlo.
Dopo l’emozione forte delle fiamme accese per portare al cielo il loro messaggio di luce e di calore, finisco per sorridere di me e di questa mia debolezza.
Poi mi allontano un poco e di nuovo l’emozione che sento urgere dentro di me mi spinge a fermarmi a contemplare da lontano l'isola di luce che adesso sembra un po' più grande e più calda.
Nel far questo mi lascio cadere su di una delle lunghe panche di legno scuro e levigato e rimango assorto nella frescura e nel silenzio.
Rimango in attesa, prima di riprendere il cammino, augurandomi che almeno un mio desiderio sia esaudito.
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