Il volo aereo è stato tranquillo.
L'aereo semivuoto, al massimo una ventina di persone a bordo.
La veloce planata sulla costiera nord della Sicilia e poi all'altezza di Trapani, la lenta virata verso Sud che regala la vista su Monte San Giuliano, ammantato di nubi - e di Erice medievale appollaiata sulla rupe con le sue pietre antiche - e il profilo delle Egadi (e Marettimo - la più lontana delle tre sorelle - è la più indistinta nella bruma).
L'aereo scende verso la terra ospitale verdeggiante e nera di lava.
L'atterraggio è violento.
Si sente la forza di uno strappo, come quello di un cavallo imbarizzito che vuole disarcionare il suo cavaliere.
Tutto dura soltanto 10 secondi.
Poi, l'aereo ritorna docile e la sua velocità all'impatto con il terreno della pista, si va spegnendo.
Il drago è stato domato e noi, minuscole pagliuzze, siamo salvi.
In quei lunghi, fatidici, 10 secondi nessuno ha fiatato.
Non c'é stato il tempo di lanciare un singolo grido di paura.
Si apre il portello e scendiamo a terrra un po' frastornati.
L'aria è calda, non soffia un solo refolo di vento, l'erba secca a lato della pista non trema nemmeno.
Il silenzio è totale, all'inizio quasi innaturale.
Entriamo in una grande aerostazione, spropositata: una cattedrale nel deserto, inaugurata pochi mesi fa, assolutamente spropositata rispetto all'esiguo traffico passeggeri.
Eppure, è grande come se dovesse accogliere oceaniche.
Vuota com'è fa una strana impressione, come se fosse la vestigia di ciò che rimane di un tempo in cui invece si riempiva di gente chiassosa, come era, ad esempio, l'aeroporto da cui provengo.
Un'atmosfera che, con una leggera deriva umorale, potrebbe rievocare "I Langolieri" di Stephen King.
Il resto della giornata a casa di Tiziana e di Giorgio - i miei ospiti - mentre le condizioni meteo vanno peggiorando progressivamente.
Aumentano le nubi, si alza e si rinforza il vento.
Cade qualche rada goccia d'acqua che, tuttavia, non si trasforma in pioggia.
Si accresce il senso della solitudine.
E' incredibile come l'isola, anche se sei in compagnia d'altri, abbia un immediato impatto su di te, creando un senso di distacco dal luogo da dove vieni e da tutto ciò che sei...
Un distacco, dovuto alla consapevolezza che sei lontano e, soprattutto, staccato da tutto il resto del mondo, in una realtà piccola in cui rapidamente tutto può mutare e in cui puoi rimanere confinato dal mutare delle condizioni climatiche.
L'isola ti trasforma - le isole, in genere, specie se piccole, hanno quest'efffetto su di te: l'effetto che hanno sul tuo animo è impalpabile, eppure potente.
All'inizio, sento l'esigenza di dormire, quasi che il sonno avesse una funzione terapeutica sul primo impatto che l'isola ha su di me. Un impatto a cui non bisogna opporsi: c'è il rischio che tu ti auto-espella.
E' come se io dovessi rinascere sull'isola, ritrovando in me l'insularità della propria condizione di uomo e della solitudine profonda e primigenia che é dentro ciascuno di noi.
Il vento soffia sempre più forte e freddo.
Muggisce, quasi, e questo ansito, come un potente respiro, accresce ancora di più la sensazione di separatezza.
Una sensazione che non ti rende debole, ma ti fa sentire più forte.
Nel cielo risplende la luna che, a tratti, scompare inghiottita dalla coltre di nubi, ma il suo chiarore forte e costante continua ad intravedersi dietro, quasi fosse in filigrana.
Poi, di nuovo il sonno rigeneratore, nel silenzio.
Foto di Maurizio Crispi