(Maurizio Crispi) Ieri, ho incontrato una persona che un tempo lavorava nel servizio che, nell'Azienda sanitaria, dirigevo (uno dei Ser.T - ovvero Servizio per le Tossicodipendenze - di Palermo). E' stata un'occasione per rievocare il tempo passato, ma anche per fare una veloce carrellata sul presente.
Qualche giorno prima, tramite un social network a cui sono iscritto, ho avuto occasione di dialogare con un collega che mi raccontava di una sua esperienza (sconsolante, dai contorni di "ordinario" mobbing).
Da entrambe le conversazioni è venuto fuori un quadro cupo e non certo esaltante, fatto di cialtroni e di rampanti, di uomini senza qualità soltanto divorati dall'ambizione di occupare una poltrona e di starci, per poi esercitare il loro compito senza competenze e con arbitrio, e intessuto anche di storie di sopraffazione e, forse, anche di mobbing per far fuori "disonorevolmente" tutti quelli che ostacolano i progetti e la brama di potere.
Ma quale potere poi? E per cosa? Per ottenere quale memoria da parte degli altri che seguiranno?
Se un mediocre, animato da brama di potere non associata ad un altrettanto grande competenza va avanti e si fa strada è chiaro che tutti quelli che gli stanno dietro sono tutti dei fedeli sudditi, degli scagnozzi, persone mediocri ancora meno dotate di competenze del loro capo.
E se il loro capo dovesse "lasciare", ecco pronti a rimpiazzarlo molti ben più opachi, pronti a rimpiazzarlo.
E' così che funziona (o meglio disfunziona) il nostro sistema: un modo tutto italiano, in cui a governare sono l'incompetenza sempre (e, in alcuni casi, anche il malaffare), con i mediocri e gli ignoranti che seggono su poltrone dove dovrebbero stare soltanto persone valenti, dotate di competenza e di cultura, sia generale sia specifica) ed anche di larghe vedute: pertanto capaci di condurre al meglio i servizi, le strutture e le istituzioni che sono loro affidati.
E questi capi governano contornati da sudditi, peones, fedeli soldatini - tutti uomini vuoti e senza ideali - che, per loro natura, sono ancora più mediocri ed incompetenti, ma devono anche esserlo per necessità per non oscurare la mediocrità dei loro superiori gerarchici.
Queste due conversazioni hanno suscitato in me non tanto un rimpianto, ma piuttosto un senso di contentezza, per essermene andato, ad un certo punto.
Per essermi levato dalla rissa, anche se ciò ha significato mettermi a margine.
Ma ho anche provato un forte senso di sconforto, perchè non appena si dà un'occhiata a ciò che accade, non si può non essere travolti da un senso di disgusto.
Oggi delle tossicodipendenze non parla più nessuno: i giornali si sono stancati di pubblicare qualsiasi notizia che si a correlata a questo tema che, come altri affini, è stato di fatto "normalizzato", perchè un tossicodipendente che muore non fa più notizia e, semmai dopo svariati decenni, rappresenta un atto d'accusa formidabile per un intero sistema (a partire dal livello politico che non ha voluto fare nulla per eliminare alcune storture introdotte dalla cosiddetta legge Giovanardi) che non ha saputo (o non ha voluto) risolvere il problema con interventi decisivi.
Cavalcare le notizie su droghe e tossicodipendenze è servito sino ad un certo punto, quando occorreva fare delle leggi che attivassero - molto cinicamente - posti e possibilità di carriera.
I giochi si sono fatti. Le leggi sono state varate. I servizi sono stati costituiti. Le carriere si sono avviate e i più ambiziosi (ma, ripeto, non i più valenti) hanno conquistato i loro posti di potere.
E, adesso, si può tranquillamente ritornare ad un basso profilo che non attiri l'attenzione.
In modo tale che l'incompetenza e l'incapacità non divengano oggetto d'interesse e di critica.
Che pena!
Sto leggendo in questi giorni il libro di Alessandro Donati, Lo Sport del Doping. Chi lo subisce, chi lo combatte, (EGA, Torino, 2012).
Donati, ex-tecnico federale che ha un certo punto ha intrapreso un coraggioso percorso di denuncia sulle malefatte della FIDAL e del CONI in materia di doping a partire dagli anni Ottanta, oltre ad altri imbrogli, soltanto motivati dalla brama di potere (e di soldi), nell'affrontare un discorso sul Doping, anzichè fare un'esposizione teorica ed accademica, riprendendo il precedente volume "Campioni senza valore", andato a ruba, ma poi misteriosamente scomparso dalle librerie (un'azione strategica fatta da coloro che venivano colpiti dalle sue parole), ha preferito optare per la via ben più interessante del racconto degli eventi così come lui li ha conosciuti da osservatore privilegiato, trovandosi all'interno del sistema, mostrandone tutto il marcio, alla luce e con il supporto di documenti inoppugnabili (vedi, per esempio, le ampie citazioni dai taccuini del dottor Faraggiana, medico compromesso con le procedure di emo-doping e faccendiere compromesso).
E' una storia tutta italiana quella che ci racconta Donati nel suo libro coraggioso che ci porta ad immeggerci nel fosso dello schifo più totale e della corruzione sfacciata?
Forse.
Oppure, rappresenta un spaccato esemplare di altre storie simili che si sono verificate in altri luoghi.
In questo senso i Nebiolo e i Conconi sono soltanto dei personaggi paradigmatici.
E, a mio modo di vedere, il racconto di Donati così puntuale e, proprio per questo, così tragico, ha una valenza universale, perchè - mutatis mutandis - gli stessi personaggi e le stesse storie si trovano in molti altri ambiti.
Per alcuni versi, leggendo il libro di Donati, in alcuni passaggi del suo racconto mi accendo empaticamente, perchè mi sembra di rivivere passo per passo alcune mie vicissitudini lavorative.
Nulla di nuovo sul fronte occidentale, in definitiva.
Niente di nuovo sotto il sole, allora!
Niente e così sia, per dirla con Oriana Fallaci.
Ma si potrebbe anche dire: "C'erano una volta i Ser.T!", quando in servizi che erano nuovi e d'avanguardia, ancora tutti da inventare, ci lavoravano dei pionieri (Luigi Cancrini in uno dei suoi scritti sulle tossicodipendenze li descrisse come "Quei temerari sulle macchine volanti", assimilando di fatto quella particolare di operatori della salute, di diverse professionalità, ai primi aviatori) che ci credevano e avevano la passione per farlo e che desideravano essere d'aiuto, prima che arrivassero i rampanti e gli ambiziosi.