Le panchine di cui esistono moltissime varianti nei materiali in cui sono costruite (roccia, legno, pietra, marmo, plastica), nella loro allocazione (in un posto schifoso e senza nessun apparente pregio, davanti al mare, su di un lungolago,nel bel mezzo di un parco, davanti ad un aiola fiorita o sotto un albero secolare) nella loro foggia (basse alte, comode, scomode, con spalliera o senza, con seduta ampia o stretta), vanno viste al di là di una rappresentazione meramente utiliristica (che le vorrebbe catalogare come semplici oggetti dell'arredo urbano), ma nella loro qualità di strumenti per osservare il mondo e noi stessi.
E' la domanda stessa che ci spuò porre su di esse e sulla loro origine "Perchè l'uomo ha cominciato costruire panchine e a collocarle in giro?" che contiene già delle inattese risposte.
Si potrebbe argomentare: "L'idea della panchina nasce dalla necessità di offrire la possibilità di riposo al viandante e al cittadino, di riposo e sosta".
Cioè, in altri termini, dando per buona questa giustificazione, le panchine nascerebbero per assolvere ad una funzione del tutto gratuita o semplicemente per il piacere di allocarle.
E già queste due semplici paroline "riposo" e "sosta" aprono delle inedite riflessioni tali da infrangere in un batter d'occhio la logica utilitaristica che le vorrebbe veder confinate al ruolo di oggetti dell'arredo urbano "che offrono una seduta" a chi desidera sedersi.
E spiegherebbero anche perché possiamo trovre delle panchine in luoghi particolarmente belli, quasi che la panchina assolvesse ad una funzione estetica, così come possiamo trovare delle panche su cui accomodarci nelle sale di una pinacoteca: ma potrebbe spiegare altrettanto perchè talune panchine sono collocate in luoghi orribili, assediate dal traffico e dallo smog.
Attraverso la disponibilità ad offrire riposo e sosta, le panchine assolvono al compito non deliberatamente voluto da chi le ha progettate (ma insito - per così dire - nei loro geni) di offrire ai propri ospiti un particolarissimo vertice di osservazione sull'esterno e sull'interno.
Basta esaminare tre semplici casi, ai quali se ne potrebbero aggiungere infiniti altri in dipendenza della combinazione di luogo ed individuo, oltre alle qualità intrinseche di quella particolare panchina che osserviamo o su cui si sediamo o su cui qualcun altro è seduto.
Ci sediamo su di una panchina ed osserviamo il mondo, ponendoci in un certo senso al di fuori di senso, se non altro per una diversa percezione del tempo tra noi seduti e chi invece continua a muoversi secondo un vettore temporale lineare.
Ma, nello stesso tempo, possiamo osservare le panchine e i loro occupanti dall'esterno e possiamo desumere degli elementi sugli altri attraverso l'uso che fanno delle panchine o del modo (o dei modi) in cui dall'esperienza dello stare su di una panchina sono modificati.
Infine, se ci sediamo su di una panchina che il mondo - in modo inatteso - ci offre, possiamo fermarci ed osservare noi stessi, rivolgendo il nostro sguardo all'interno.
La panchina (le panchine), dunque, va intesa come catalizzatore di una migliore conoscenza del mondo e di noi stessi.
Nell'uso delle panchine ci sono molteplici variazioni e sfumature, ma rimane indubbbiamente il fatto che la Panchina archetipica siafondamentalmente una "soglia", una porta che può mettere in comunicazione tra loro mondi diversi.