Nuvole di foggia bizzarra
incapsulano il cielo bigio
che si scolora nel tramonto
Vento e turbini
di pazze foglie gialle
Il telefono é muto
e se chiamo c'è solo
il bi-bip senza risposta
e poi scatta una segreteria
metallica
Dopo l'orgia di foto,
nessuno con cui parlare,
proprio quando sono saturo di umanità
Strana cosa
fotografare la gente
Con lo zoom
ti avvcini a dismisura,
sino a vedere ogni piega e ruga
di un volto,
sino a scrutare dentro occhi altrui,
sino ad intravedere in essi un barlume
di pensieri ed emozioni riposti
a te estranei
Eppure, ciò malgrado,
rimani vuoto,
anni luce distante,
come su un altro pianeta
in una lontana galassia
di cui sei l'unico indigeno
Seduto ad un Caffè
di periferia
con tavoli all'aperto,
nelle raffiche di vento
sempre più forti
osservo i passanti frettolosi,
un'insegna luminosa "coop"
un po' sghemba,
alcuni parlottano fitto
- non so di cosa -
e una sirena anti-furto
ulula fastidiosa,
smette per poi ricominciare
Senza averla,
ho con me
la macchina fotografica
Strani giorni,
strane notti
Sono uno straniero
in terra straniera
In fermo immagine,
nulla accade
E sogno di viaggiare
lontano
Inutile dire che l'ispirazione per il titolo di questa nota di diario mi è venuta dallo splendido racconto di Alan Sillitoe, La solitudine del maratoneta (molto più pregnante il tiolo in inglese: The loneliness of the long distance runner), di recente ripubblicato assieme ad altri racconti dell'Autore per i tipi di Minimum Fax.