E' per questo motivo che, specie in Italia, alcune occhiute amministrazioni comunali cercano di creare panchine "scomode", con dispositivi tendenti ad impedire che vi si possa sdraiare comodamente o che le trasformino nel caso di una sosta prolungata in veri e propri strumenti di tortura.
Ma questa è davvero una stortura, uno stravolgimento dello scopo per cui le panchine - nelle loro prime versioni - vennero create: offire riposo e pausa da qualsiasi attività si stia facendo all'aperto, lavorare nei campi, passeggiare senza metà, camminare verso una precisa destinazione, o semplicemente il piacere intrinseco della cosa in sé.
In fondo, l'homeless che cerca riparo ed accoglienza su di una panchina non fa del male a nessuno.
Ma anche, c'è da dire, l'homeless, il "senza fissa dimora" con quel vagabondare perpetuo e il non avere un luogo stabile rappresentano uno dei molti volti che possono indossare il viaggiatore oppure anche il pellegrino, o ancora l'hobo della mitologia americana £on the road", inaugurata da Jack London, con alcune delle sue magistrali storie (che nella narrativa nordamaericana fecero scuole e rimasero fonte d'ispirazione e di stili di vita per le generazioni successive).
E perchè mai ciò che è accettato per uno di questi personaggi iconici, non dovrebbe essere tollerato se lo fa l'homeless?
In fondo le identità dell'homeless, del pellegrino e del viaggiatore coincidono: sono tutte collegate dal minimo comune denominatore dell'essere persone in movimento senza una meta precisa.
Sia come sia. nella foto che ispira ed illustra questo breve scritto, il soggetto è dormiente, tutti i suoi averi sotto controllo. La cinghia della borsa passata sotto il suo corpo, cosicché si accorgerebbe immediatamente se qualcuno - benché abile di mano - cercasse di sfilargliela via.
Vicino a lui due bottiglie semi-piene, di cui una grande di Coca cola svuotata per metà, ma potrebbe trattarsi anche di vinaccio messo lì per dissimularne la presenza.
L'homeless-viaggiatore, approfittando del bel sole primaverile che risplende al primo mattino su di un piccolo e ridente parco londinese, sta facendo un bel sonnellino, apparentemente spensierato.
Chi non lo farebbe, avendo il tempo e l'opportunità?
Le panchine sono troppo invitanti come giaciglio estemporaneo per un pisolino, per una bella dormita, per una lettura o, semplicemente per rimanersene assorti a meditare...
Ma anch'io nella mia vita, quando ero ben più giovane, ho dormito per così dire "sotto i ponti": e sicuramente posso annoverare tra le mie esperienze, l'aver dormito su delle spiagge deserte e un po' paurose, l'aver passato notti di sonno inquiete in un angolo oscuro all'interno della londinese Victoria Railway Station (e là mi sembrò di essere per tutta la notte ll'interno di una delle Prigioni di Piranesi), avendo come giaciglio un vecchio cartone e come coperta dei fogli di giornale, e poi ancora su di un prato verde all'interno di Hyde Park ina calda notte d'estate, per essere svegliato rudemente, alle prime luci dell'alba, da un poliziotto e cacciato via.
Ma posso menzionare anche nottate passate in aeroporto in attesa di un volo mattutino, per risparmiare i soldi inutilmente spesi per una troppo breve notte in albergo... quando il ritegno e la compassatezza del voler rimanere a dormire seduto, hanno sistematicamente ceduto alla fine, portandomi a sdraiarmi per terra, assaporando dopo tanta scomodità quello che mi parve essere il miglior giaciglio del mondo.
Quindi, mai disprezzare un homeless che dorme su di una panchina, perchè tutti noi in un momento della nostra vita possiamo ritrovare delle esprienze condivisibili, oppure ne potremo fare di simili.
E se vedete uno che dorme su di una panchina, non lanciatevi a dire, con una punta di disprezzo "E' un homeless!", perchè potrebbe essere chiunque ... e anche se fosse un homeless non merita stigma alcuno.