(Maurizio Crispi) Londra è una grande metropoli, ma se si vive in una zona residenziale tranquilla non ci si fa caso.
Si può immaginare di essere in una piccola città dai ritmi abbastanza lenti, con le strade semivuote in alcune ore delle giornata, radi passanti, pochi veicoli a motore e, magari, a seconda della zona, in un luogo dalle connotazioni etniche.
E ci si abitua presto al continuo sfrecciare degli aerei di linea in avvicinamento o a quelli che decollano dagli aeroporti più vicini a Londra.
Poi, se ti capita di salire su di un mezzo pubblico in ora di punta (le cosiddette rush hour), quest'impressione di rilassatezza e della compostezza del ritmo di vita lenta, si disfà immediatamente.
Ti trovi a confronto con la mirade, con la moltitudine...
Centinaia e centinaia di persone riversate fuori dai treni della metropolitana, in trasferimento verso un'altra linea di superficie per raggiungere il proprio posto di lavoro oppure per farne ritorno, persone che convergono come una marea dagli outskirt e dalle cittadine satellite e che, poi, allo scadere delle ore lavorative vi fanno ritorno, in un continuo ed incessante movimento di flusso-riflusso, residenti che si incrociano per raggiungere posti di lavoro, magari allocati all'opposto del luogo di lavoro, Eastender che si incrociano con Westender, e così via.
E sono centinaia di persone che si ingorgano negli stretti passaggi, costrette sovente a segnare il passo, come i podisti al momento della partenza di una di quelle maratone che annoverano partenti con cifre a 4 zeri.
E tutti sono diligentemente irregimentati, chiusi nel proprio mondo e nella propria individualità. Seri, imperturbabili e dal volto imperscrutabile, con la musica nelle orecchie, con lo sguardo perso nel vuoto, con gli occhi calati dentro un giornale o un libro.
Nessuno si spazientisce, nessuno cerca di essere più svelto degli altri: nella quieta compostezza di tutti, c'è evidente l'accettazione della consapevolezza di far parte di una moltitudine, del formicaio e, nei momenti di maggiore ingorgo, sono lì tutti a segnare il passo, come una formazione di soldati in marcia che, arrivati contro un muro o un qualsiasi ostacolo, continuano a segnare il passo fino a che qualcuno al comando non dia l'ordine di fermarsi.
In fondo, quelli che decidono di andare al lavoro pedalando sulla propria bici oppure correndo, portandosi sullo spalle uno zainetto con il ricambio e tutto quello che gli occorre per la giornata, sono quelli che barattano con il costo di una fatica fisica addizionale (ma benefica) l'obbligo di far parte del formicaio e che esprimono in qualche misura una scelta a favore della propria individualità.
Essere nel formicaio provoca in me un senso di spaesamento e di discomforto: soprattutto perchè mi ritrovo a pensare che in una città grande come Palermo (ma non grandissima, tuttavia nell'ordine di oltre 500.000 abitanti) può sempre capitare di imbattersi in qualcuno che ti riconosce e da cui sei riconosciuto, mentre qui nella grande metropoli - a Londra come in qualsiasi altra metropoli del mondo - rimani un Signor Nessuno, non ci sarà mai un conoscente o un amico che ti venga incontro per salutarti avendoti riconosciuto (nemmeno la più ottimistica previsione potrà mai essere soddisfatta e mostrando dunque di sapere chi sei e cosa fai, attribuendoti dunque un'identità.
In questo senso, la moltitudine affacendata provoca in me una sensazione di spaesamento e una reazione fobica, dalla quale mi difendo, osservando tutti gli altri che invece mi appaiono anestetizzati, automizzati, in qualche misura.
Penso allora che sarebbe meglio essere in un deserto senza nessuna presenza umana che in una folla di migliaia di cui i singoli individui sono tasselli anonimi, monadi incomunicabili.