La mamma sbuffava sempre negli ultimi tempi, quando si doveva muovere da un punto all'altro.
Si vedeva palesemente che doveva sforzarsi, ma rifiutava ogni aiuto da parte di terzi.
Doveva fare da sola, come era stato in tutta la sua vita operosa.
Quando doveva sedersi in poltrona, o alzarsi da seduta, emetteva questo sbuffo di aria, ma nessuno doveva dire niente.
E questi sbuffi non avevano nulla di teatrale: scaturivano dalla fatica con cui doveva sostenere ogni movimento.
Eppure sino alla fine non si astenne dal fare autonomamente, né mai chiese aiuto.
Teneva duro e cercava di mantenere la propria indipendenza, anche se ciò le costava sforzi immani.
Insistette sino all'ultimo per spostarsi dal soggiorno alla cucina per i nostri pasti, anche se più comodamente per lei avremmo potuto mangiare in soggiorno, e negli ultimissimi giorni, quando arrivava sino alla cucina, spingendo lentamente un carrello deambulatorio davanti a sé, era in affanno e letteralmente cerea in volto e, prima di poter iniziare a mangiare, doveva riprendersi.
Ma era la sua scelta, era questo che voleva.
La mamma era -ma non solo per questo modo di affrontare le sue ultime sofferenze terrene - il più puro esempio della "resilienza".
Quando mi sento affaticato per qualsiasi cosa, penso a lei e al suo coraggio. E la mia fatica si ridimensiona immediatamente e traggo nuove energie.
Pensare a lei e alla sua determinazione, assieme alla sua abnegazione, mi infonde coraggio, nell'affrontare i momenti di sconforto.
Grazie sempre a te, mamma.