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25 marzo 2014 2 25 /03 /marzo /2014 22:37

L'universalità della ricerca dell'estasi

La ricerca dell'Estasi è universale. Tutti si ritrovano, prima o poi, in un momento della propria vita impegnati in comportamenti di vario genere che preludono (o facilitano) il raggiungimento di quel particolare stato della mente definibile come estasi.
Si potrebbe dire che questa ricerca e il raggiungimento - anche se per brevi istanti soltanto - di questo particolare stato mentale siano insiti nella natura umana, e  che, forse, appartengano anche a quella animale (se si considera che, come è stato evidenziato da recenti richerche, anche gli animali si nutrono a volte di specifiche piante - o insetti - che possiedono proprietà inebrianti, piante che vengono ricercate - secondo gli esperti - proprio a questo scopo1).

 

L'estasi, intesa come modalità di ricerca universale, va svincolata nelle sue prassi ed anche dal punto di vista definitorio dalla ricerca dell'Estasi religiosa, cioè quella irregimentata in un sistema di credenze (in cui si può anche far rientrare l'"Estasi Oracolare" degli antichi Greci).
Questa è l'Estasi "normata" o "istituzionale" per così dire, in cui ciò che accade alla mente (e allo spirito) deve essere necessariamente inquadrato all'interno di un determinato quadro di riferimento (e si pensi alle profonde differenze di fedi religiose).

L'universalità della ricerca dell'estasiAll'origine di tutto vi è tuttavia la cosiddetta "estasi selvaggia"2 che, anche se riduttivamente, si può intendere come un momento in cui si crea uno slittamento di piani tra il reale e il sovrannaturale, o in cui il livello ordinario della coscienza con i suoi riferimenti abitudinari si dissolve, permettendo alla nostra mente di ricevere degli input sensoriali più complessi e di sintonizzarsi su di un ordine cosmico mai percepito prima, oppure di lasciare fluire dentro di sé l'energia dell'Universo e sentirsene sopraffatti, oppure, ancora, di percepire in maniera mai sperimentata prima l'armonia di tutte le cose e di vederne inediti colori e forme, in connessioni nuove mai immaginate, o ancora di essere usciti da se stessi e di galleggiare in alto, mettendo in funzione un'inusitata vista panoramica su tutte le cose.
Per alcuni versi, quella dell'estasi "selvaggia" è un'esperienza mistica, dalle molte possibili sfaccettature.
Le Chiese costituite guardano a tali esperienze e ai loro resoconti con sospetto, perchè ciascuna Chiesa irrigidita dal suo dogma ritiene che quelle forme di estasi escano dal loro canone e che, soprattutto, non parlino in modo esplicito del rapporto con il loro Dio.

 

Dal punto di vista etimologico, "estasi", dal latino ex-stasis, significa semplicemente "fuori dall'immobilità": in altri termini, si vuole esprimere con questa semplice parola, uno scarto, uno slittamento improvviso, un inciampo della mente, un passaggio repentino da un piano all'altro, da un modo di funzionamento mentale ad un altro che è poi il satori zen, come illuminazione istantanea, quando all'improvviso ed in maniera imprevista ci si libera dagli abituali vincoli cognitivi

 

Dal punto di vista psicologico l'estasi è uno "stato alterato (o, meglio, modificato) di coscienza": su cui l'Occidente, in termini di studi, si è occupato ben poco, soprattutto per quanto riguarda tutto ciò che esprime il raggiungimento di stati mentali superiori, mentre - come spesso accade alla Medicina occidentale - non mancano gli studi sui "minus" e sulle alterazioni deficitarie della coscienza, con un'unica eccezione che concerne l'assunzione di specifiche sostanze psicoattive, ma anche in quel caso guardando agli effetti in termini di patologia e di alterazioni psicopatologiche.
Probabilmente, il raggiungimento dell'Estasi esprime una nostra capacità di attivare a pieno le potenzialità del nostro cervello che in gran parte rimangono misteriose: alcuni neuroscienziati sostengono che, normalmente da adulti, utilizziamo soltanto il 10% della nostra massa cerebrale per lo svolgimento di tutte le funzioni legate alla nostra vita quotidiana.

 

L'universalità della ricerca dell'estasiL'estasi ci fa guardare alle cose in una maniera e secondo una prospettiva diverse, ce ne allontana e ci consente una visone panoramica, dopo la quale ritorniamo ad essere noi stessi con una consapevolezza mutata.

modi per raggiungere l'estasi sono diversi (e non mi soffermerò sulle diverse tecniche, se non indicando genericamente che una funzione importante se non basilare è data da tutte le tecniche di controllo del respiro), ma il movimento del corpo soprattutto nell'esecuzione di certi movimenti ritimici può avere una funzione importante, se non determinante.

Camminare e correre nelle lunghe distanze possono essere responsabili di micro-estasi (che, tuttavia, il più delle volte, rimangono misconosciute).

In alcuni casi, il movimento può assumere una funzione determinante, soprattutto quando riesce ad infrangere le usuali coordinati spaziali in cui si collocca il nostro esistere: basti pensare all'immagine iconica dei dervisci danzanti, cioè di quei seguaci del  Sufismo che raggiugono l'estasi ruotando vorticosamente su se stessi3.

 

In ogni caso, tornando alla formulazione iniziale, la ricerca dell'estasi è un fatto universale e non è da considerare una cosa in sé negativo, anche se i medici tenderebbero ad assimilare riduttivamente tutto ciò che riguarda quest'ambito all'assunzione di droghe che alterano la mente e a considerare come "pericoloso" ogni situazione in cui si va alla ricerca dell'estasi senza stimoli chimici (quasi che ciò fosse propedeutico alla loro assunzione).

 

C'è un che di innocente e di magico in questa ricerca che nasce spontaneamente anche nei bambini e nei ragazzini, senza che nesuno abbia loro spiegato cosa ciò possa significare.
L'altro giorno mi è capitato di osservare dalla finestra che si affaccia sulla scuola dirimpetto (la Saint Mary and Saint Michael Chirstian Catholic Church) la seguente scena alla fine delle lezioni.
Due studentesse, nell'uniforme della scuola, correvano spensierati nello spiazzo antistante, rincorrendosi.

Poi, una delle due ha cominciato a roteare su stessa come una trottola e lo ha fatto sino a che non si è lasciata cadere  a terra sfinita, ma - dopo un attimo - si è rialzata e ha ripreso, ancora e ancora.
Ecco questa è un'immagine ben calzante della ricerca dell'estasi spontanea, quando non è ancora stata repressa e corrotta dal processo educativo.
E da questa osservazione casuale (che mi ha riportato alla mia infanzia e ad analoghe mie sperimentazioni, come appunto girare su me stesso sino a cader esfinito a terra, in preda alle vertigini, ma anche i racconti di esperienze di miei pazienti3) sono scaturite le cose che ho appena finito di scrivere. 

 

 

 

NOTE

 


 

1. - Si veda, ad esempio, il recentissimo studio di Giorgio Samorini, Animali che si drogano, ShaKe, 2013, in cui l'autore - alla luce della sua enciclopedica conoscenza della materia ci parla di mucche che si cibano solo di droghe, di capre che perdono i denti a furia di raschiare dalle rocce licheni psicoattivi, di scimmie che si mettono in bocca grossi millepiedi per ottenere un effetto esilarante simile al popper, di uccelli che si danno a enormi sbornie collettive, di gatti che assumono afrodisiaci vegetali prima di copulare, fiori che ricompensano i loro insetti impollinatori con delle droghe invece che col solito nettare.
La credenza che lo "sporco" comportamento di drogarsi sia specifico della specie umana è oramai solamente una delle tante favole inventate dall'antropocentrismo di cui è afflitta la cultura occidentale. Gli animali si curano.
Gli animali si drogano.
Gli animali hanno comportamenti sessuali privi di fini procreativi, inclusa l'omosessualità.
Gli animali hanno una coscienza.
Tutte affermazioni ormai supportate da un'ampia mole di dati scientifici, ma che restano inammissibili secondo i rigidi principi del behaviorismo e del darwinismo ortodosso (fortemente antropocentrici, tra l'altro).
In quest'opera Samorini espone i dati dell'uso di droghe nel mondo animale, e si cimenta in una dissertazione sulle motivazioni che spingono animali e uomini a drogarsi, avvalendosi anche dei nuovi paradigmi scientifici quali l'Esuberanza Biologica, la Teoria del Caos, il post-Darwinismo, la Non-Località quantistica, aprendo la strada a nuove "teorie della droga", ritenute dallo stesso autore "magnificamente inaccettabili" e proprio per questo "coerentemente proponibili".


 

2.- E' fondamentale, a tal riguardo, per lo sforzo di definire gli ambiti della Mistica selvaggia e la sua capacità di compenetrare la quotidianità, lo studio di Michel Hulin, La Mistica selvaggia. Agli antipodi della coscienza (alcuni fa pubblicato da Red Edizioni e ora disponiile per i tipi di IPOC, 2012). "Non esiste da un lato una piccola mistica, marginale, incompleta, nebulosa, e persino degenerata o patologica, e dall'altro una Grande Mistica, l'unica autenticamente religiosa, la strada maestra che condurrebbe alla conoscenza di Dio (...) la mistica selvaggia comprende, già da sola, tutta la mistica. Fin dal suo iniziale manifestarsi che sconvolge gli schemi percettivi, rimette in questione tutti i nostri postulati sociali, morali o religiosi, e lascia fluire in noi una marea di stati affettivi, il fenomeno mistico si dimostra pura primitività per sua stessa essenza. Per quanto varie possano essere le modalità che favoriscono l'emergere dell'esperienza mistica (droga, trauma emotivo o pratiche di preghiera e di ascesi), essa fa identicamente naufragare la persona sociale, le sue credenze, i suoi ideali e la sua rispettabilità (...) Ma se mai si potesse incontrare un vissuto mistico allo stato puro, è vero che esso sparirebbe dal nostro campo di rappresentazione qualora lo lasciassimo sussistere, volatile com'è, vergine di interpretazione (...) Selvaggia può diventare allora (...) l'interpretazione del fenomeno mistico, non il fenomeno stesso. Il problema posto dalla mistica selvaggia è dunque prima di tutto di ordine culturale e storico. Laddove gruppi sociali omogenei (tradizioni iniziatiche o vere e proprie Chiese) hanno saputo mettere a punto, generazione dopo generazione, tecniche di induzione e codici di deciframento dell'esperienza estatica, il fenomeno 'mistica selvaggia' non compare praticamente mai, oppure si trova confinato ai margini dell'esistenza individuale o sociale (...) In compenso, esso riemerge e torna a estendersi ogni volta che i codici si offuscano e perdono la loro efficacia. È quanto si produce nei periodi di transizione storica e di crisi religiosa. Una cosa è lamentarsi dell'attuale dilagare del sentimento oceanico nelle sue forme più fruste e spesso più distruttive, altro è potersi servire di argini e canali capaci di contenerne la futura espansione selvaggia".

 

3.- Che è poi il senso ultimo della famosa frase nietzchiana "Occorre avere il caos dentro di sé per generare una stella danzante".

 

4.- Tra questi ultimi, molto calzante è il racconto - da me raccolto nel corso della mia attività professionale - di un'esperienza micro-estatica in cui il paziente, allora giovanissimo, aplicò questa tecnica, trovandosi a nuotare nell'acqua profonda. Si immerse ad una certa profondità e cominciò a masturbarsi, contemporaneamente roteando su stesso, accoppiando quindi gli stimoli della masturbazione, con l'effetto della parziale apnea e del disorientamento spaziale. Sperimentò una sensazione molto forte d intensa. "Un lampo di azzurro mi attraversò" - riferì. Una esperienza di estasi selvaggia "indotta", certo, ma rischiando molto, nello stesso tempo: infatti, quando dopo l'esperienza del "lampo", ritornò in sé si sentì smarrito e debole e fece fatica a ri-orientarsi e a rimergere per prendere una boccata d'aria e salvarsi dall'asfissia.

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

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