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8 agosto 2011 1 08 /08 /agosto /2011 19:14

la_pescatrice_del_platani.jpgI libri di Stefano Malatesta si leggono sempre con infinito piacere, perchè si muovono abilmente tra diario di viaggio alla Chatwin, resoconti di incontri con personaggi insoliti e significativi della cultura di un determinato luogo, e ineffabili descrizioni paesaggistiche, con qualche imprevista svolta intimista.
In un certo senso, Stefano Malatesta lo si può considerare un Chatwin nostrano, ma con una differenza che è questa: mentre Chatwin, superando la sua tendenza alla frammentarietà descrittiva e alle esigenze delle cronache diaristiche (i cui appunti preliminari si dice venissero vergati nei famosi moleskine), ha anche prodotto delle opere di ampio respiro (basti pensare al suo capolavoro indiscusso Le vie dei canti ma anche a In Patagonia, Stefano Malatesta per scelta (o per vocazione) è rimasto essenzialmente un pittore di piccoli quadri narrativi e diaristici, poichè la sua dimensione e la sua misura - quella in cui si è sempre mosso pienamente a proprio agio - sono state sempre quelle dell'articolo di cultura "classico", quello che un tempo compariva nella terza pagina dei quotidiani e che, più tardi, è stato spostato al paginone centrale, articoli - per intenderci - da 10 -12.000 battute.
Così, ad eccezione della singolare biografia, esotica e avventurosa,di Paolo Avitabile, un soldato di ventura napoletano del XIX secolo che, dopo aver servito Napoleone Bonaparte, divenne governatore di Peshawar e generale dell'Impero inglese,  e che, per questo fu definito "Il napoletano che domò gli afgani", opera  che ha ricevuto il respiro ampio del saggio storico-biografico, gli altri libri di Malatesta sono delle raccolte tematizzate dei suoi migliori articoli e reportage che si suddivono essenzialmente in due grandi categorie: i racconti di viaggio (e di luoghi) e gli incontri con personaggi, più o meno noti, con un astruttura non rigida: nel senso che il lettore può forgiarsi da sé un proprioordine di lettura, entrando o uscendo dal testo dove meglio crede, anzichè rispettare l'ordine di presentazione dei singoli capitoli.
In queste due tipologie di scrittura Stefano Malatesta si muove davvero da maestro, perchè in poche righe riesce sempre a compendiare l'essenza di quel luogo o di quel personaggio, mettendone in luce con vividezza luci ed ombre, stimolando al contempo la curiosità del lettore a vedere oltre, a documentarsi, ad andare guardare di persona, a rendersi conto, a conoscere, a visitare e ad esplorare - laddove sia possibile.
E questo non è poco, indubbiamente: il pregio di saper indurre il suo lettore al viaggio e all'avventura dell'incontro con il novum, sia esso reale o semplicemente intellettuale.
Non bisogna dimenticare che Stefano Malatesta, come traspare dalla lettura dei suoi testi, non è certamente una persona stanziale, è un viaggiatore, un pellegrino, un camminatore e, quando non lo è fisicamente, lo è dell'anima e della mente: con questa felice combinazione di piani (quello esterno e quello interno), egli riesce a muoversi di continuo nel tempo e nello spazio affascinando il lettore.
I suoi libri che riflettono l'esperienza della sua vita sono tutto questo.
La Pescatrice del Platani e altri imprevisti siciliani (Neri Pozza, 2011), riprende tematicamente il precedente volume "Il cane che andava per mare ed altri eccentrici siciliani": l'uno in continuità dell'altro, sono entrambi dedicati alla Sicilia, ai Siciliani e alla Sicilianità di cui Stefano Malatesta è un fine conoscitore ed estimatore, al punto da aver acquistato un baglio nei pressi di Borgo Bonsignore (Ribera) dove risiede per interi periodi dell'anno e che utilizza come rampa di lancio per avventurarsi per escursioni (spesso a piedi) nel cuore profondo della Sicilia, (dove, tra l'altro, egli avrebbe scritto la maggior parte dei suoi saggi).
Nel recente volume, si nota una differenza rispetto a quello che lo ha preceduto alcuni anni fa. "La Pescatrice del Platani" arriva, tra l'altro, come potrà rendersi conto il lettore attento (desumendo ciò non solo dalla cronologia ma anche da indizi sparsi qua e là nel corpo del testo) dopo un periodo piuttosto prolungato di silenzio scrittorio.
Si intuiscono nelle pagine di Malatesta - alcune decisamente magistrali - la malinconia della fine, l'assetto mentale di un uomo che ha la consapevolezza di essersi avvicinato alla fine (o, comunque, forse per via di una malattia, ha attivato sulle cose ultime una cogente riflessione).
I capitoletti in cui è suddiviso il volume - a loro volta raccolti in una serie di parti "tematiche" - scaturiscono probabilmente da una rieditazione  di contributi giornalistici, come nel caso delle sue precedenti opere, e sono densi di ricordi: l'autore si volge indietro al passato più o meno remoto (dal viaggio in lambretta nel profondo Sud della Sicilia, sino all'affascinante terra di Capo Passero, con una sua fidanzata scandinava nei primi anni della gioventù, sino agli incontri con il "mahatma" Piero Guccione, uno dei più grandi pittori italiani contemporanei noto per le grandiose marine che catturano l'essenza della Sicilia come terra di confine, e con altri illustri rappresentanti di quell'illuminismo operoso che, serpeggiando tra i ranghi di tanta aristocrazia siciliana, ha prodotto eccelsi (tanto quanto eccentrici ed imprevisti) personaggi, come Francesco Alliata o il Duca della Verdura.

Malatesta scava nei suoi ricordi e questi personaggi e gli incontri con essi (con tanti che ha conosciuto e con cui ha parlato di persona, come Sciascia o Camilleri) li fa rivivere in modo vivace e palpitante, dandoci nello stesso tempo una guida e istruzioni per l'approccio all'ampio e fertile testo del territorio siciliano, denso di storia e di cose mirabolantie e al suo uso.

 Così come l'opera di Chatwin In Patagonia è diventa bibbia e guida dei viaggiatori alla scoperta della Patagonia, così i libri di Malatesta potrebbero essere utilizzati come guida "intelligente" e profonda di chi vuole lanciarsi alla scoperta dell'essenza più profonda della Sicilia: e, in questo senso, potrebbero divenire dei libri cult.

C'è anche, però, molta nostalgia: come se lo spirito che anima lo scrittore nell'elaborare queste note è nel guardare all'indietro, scavando nella propria memoria, come se il presente, invece, si fosse fatto per lui un po' più più flebile e sfocato, meno vitale: l'immagine dell'autore che campeggia nella quarta di copertina, in sintonia con tutto ciò, è discreta: un po' sfocata ed evanescente, come se fosse presentata a mo' di ultimo commiato da parte d'una persona che si sente un po' su di una soglia, in bilico tra l'esserci e il non esserci.

malatesta.jpgStefano Malatesta, La pescatrice del Platani e altri imprevisti siciliani, Neri Pozza, 2011
(Presentazione del volume nel sito web della casa editrice) I libri di Malatesta sono di splendida lettura e di difficile definizione. Quando Malatesta si mette in viaggio, possibilmente a piedi, non si sa mai dove vada a parare. Molti racconti iniziano come recit de voyage e finiscono imprevedibilmente da qualche altra parte, in critica letteraria, in ricostruzione storica, in narrazioni di battaglie, in gastronomia, seguendo una sorta di filosofìa del deragliamento: "Chi marcia sempre sulle rotaie fisse - dice Malatesta - finisce nell'ovvio". Lui cerca la terra di nessuno, dove si trova perfettamente a suo agio.
"La pescatrice del Platani" inizia con un viaggio in lambretta da Roma a Capo Passero, in compagnia di una ragazza svedese, attraverso un'Italia bucolica e pastorale oggi scomparsa. E continua con passeggiate a piedi lungo spiagge incantevoli, dove si nasconde il dio Pan, o gite in montagna alla ricerca di un mitico formaggio. Ci sono ritratti di personaggi per bene come Piero Guccione, Leonardo Sciascia, Francesco Alliata, e di personaggi per male come l'arcivescovo di Monreale Cassisa e molti altri ancora. Tutte le storie sono state scritte in un baglio, un'antica masseria profumata di gelsomino che guarda il Mediterraneo, diventato quasi un hotel di passo per molti continentali che scendono nel sud. La sera li potete trovare radunati all'aperto intorno a un enorme tavolo a gustare le deliziose alicette di Sciacca e zucchine e melanzane fritte al momento. Il capitolo più lungo è una sorta di storia dell’isola attraverso le vicende del vino siciliano e inizia così: «È stato solo negli anni Novanta che la Sicilia ha cominciato a sbarazzarsi di tre residui arcaici che si trascinava dietro da tempo immemorabile: il vino tradizionale, la “fuitina” e la grandezza della minchia intesa come tema ricorrente e ossessivo nei discorsi dei siciliani maschi».

Come si vede, un grande libro ispirato
 

 

L’autore del Cane che andava per mare torna a narrare della Sicilia «con la sua scrittura abile, sorniona, sempre elegante». Andrea Camilleri


Nota biografica. Stefano Malatesta è nato a Roma dove si è laureato in Scienze Politiche. Ha cominciato a viaggiare molto presto e da allora non ha mai smesso. È stato viceamministratore di una piantagione di tè alle Seychelles quando queste isole erano una colonia inglese, documentarista di animali, cronista di nera, inviato di guerra. Per la Repubblica scrive da oltre venticinque anni critiche d’arte, recensioni di libri e commenti e soprattutto racconti di viaggio sempre sulle tracce di qualcosa o di qualcuno, riprendendo una certa tradizione del recit de voyage quasi scomparsa nei giornali italiani e oggi fin troppo praticata. Oltre alle  prime guide alla natura in Italia, ha scritto L’armata Caltagirone, Il cammello battriano, Il cane che andava per mare e altri eccentrici siciliani, Il grande mare di sabbia, Il napoletano che domò gli afghani. Dirige la collana di letteratura di viaggio «Il cammello battriano» per la casa editrice Neri Pozza. Il suo prossimo libro, che sarà pubblicato in giugno nelle edizioni Neri Pozza, si intitola La vanità della cavalleria e altre storie di guerra. Ha vinto il Premio Albatros Palestrina, L’Este-Ferrara, il Comisso, il Settembrini regione veneta, il Premio Barzini per il miglior inviato speciale dell’anno e il Chatwin.

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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