(Maurizio Crispi) L'Etna è in eruzione. Così l'ho visto, quando mi sono recato qualche giorno fa a seguire l'Etnatrail (che si è svolto il 2 agosto 2014).
Prima di notte, quando percorrevo i tornanti che da Linguaglossa conducono su a Piano Provenzana vedevo il rosseggiare del fuoco sulla cima più alta, come se un enorme braciere ardesse di continuo e ogni tanto sprigionasse potenti fiammate.
Ma anche di giorno lo spettacolo è risultato impressionante, pur ammirandolo da lontano.
La montagna che tuona e che sprigiona fumo nero incute meraviglia e timore.
Narra la leggenda che lo scienziato e filosofo agrigentino Empedocle sia salito sul più alto dell'Etna per osservare il più vicino possibile e che sia caduto dentro la bocca eruttiva, mentre compiva le sue osservazioni; o che, secondo un'altra versione, egli si fosse gettato volontariamente dentro il vulcano per dimostrare la la propria immortalità: prova fallita, perché poi il vulcano avrebbe risputato soltanto i calzari che egli indossava.
Di fronte ad un simile spettacolo, si avverte la curiosità forte e prepotente di salire il più in alto possibile per vedere da vicino, domando la paura di essere colpito da lapilli vaganti e si può comprendere, dunque, cosa spinse Empedocle sempre più in su, sino al momento fatale.
Ma, nello stesso tempo, si è quasi paralizzati da un timore reverenziale di fronte alla potenza che ingorga le bocche eruttive e che di tempo in tempo, seguendo un ritmo frattale, deborda fuori con delle potenti esplosioni che, di notte, si manifestano con il rosso intenso dei lapilli incandescenti in ascesa verso l'alto, come un naturale ed inimitabile spettacolo di fuochi d'artificio (e, del resto, cosa sono i fuochi d'artificio se non un tentativo di imitare e di domare la natura selvaggia del vulcano, riproducendole in una forma più mite?).
Di giorno, invece, lo spettacolo del fuoco cede il passo al nero delle fumate che a seconda delle condizioni atmosferiche colano verso il basso oppure salgono verso l'alto, creando un pennacchio nero-grigio che in alcuni momenti evoca la forza immane e distruttiva del fungo atomico.
Specie, quando salendo oltre Piano Provenzana ci si avventura lungo pendii brulli di sabbia e pietre laviche nere, addentrandosi in quello che sembra un paesaggio lunare odi un altro pianeta ostile ed inabitabile.
E, sempre, di continuo, sia di notte sia di giorno il respiro del vulcano, quasi fosse un gigantesco animale dormiente il cui sonno a tratti si fa più superficiale, con ansiti, clangori, scricchiolii.
In opposizione all'atteggiamento positivista di Empedocle (o di sfida, secondo l'altra versione riportata della leggenda della sua fine), gli uomini antichi che si tenevano a religiosa (e prudente) distanza dalla bocca eruttiva, vi avevano collocato la dimore di Efesto che qui aveva la sua fucina e la sua officina di fabbro divino.
Insomma, il vulcano - l'Etna - rappresenta un punto di contatto tra l'Umano e il Divino e porta con sé una riflessione sulla permanenza (quella della "Montagna" che sopravvive a tutto e che prosegue la sua attività di tramite tra il cuore ardente del nostro pianeta e la sua superficie) e sull'impermanenza di ciò che sta alla superficie e che, nel confronto, assume le dimensioni di un piccolo fuscello che può essere in un niente spazzato via, travolto dalla lava, bruciato e trasformato in cenere.
Io non vivo alle falde del vulcano che la genta del posto chiama spesso "a muntagna": mi ritrovo ad avvicnarmi ad essa come visitatore occasionale, ma non come co-abitatore. Posso capire però la gente che vive nelle numerose cittadine che contornane le vastissime falde dell'Etna con illoro atteggiamento di fatalismo nei confronti degli eventi naturali che potrebbero manifestarsi.
Se appena si dà un'occhiata alla voce di Wikipedia sull'Etna, senza bisogno di andare lontano a cercare chissà quali volumi e quali documentazioni fotografiche, si potrà constatare che la storia dell'Etna è punteggiata di numerose eruzioni, moltissime di piccola entià ed altre - le maggiori - memorabili che sono state tramandate dall'antichità, per la loro imponenza e per il potere orrorifico che sprigionavamo, come manifestazione degli dei o del Dio. Eruzioni che hanno plasmato la forma odierna del Vulcano, la morfologia dei luoghi che lo contornano, ma anche il carattere degli Uomini che li abitano e che, malgrado la forza latente cheogni tanto si risveglia, non hanno rinunciato a conviverci. E non dimentichiamo che l'Etna, oltre ad essere "a muntagna" (ciò che si teme non si nomina con un nome, meglio non evocarlo mai con un suo nome specifico), però è anche 'u Mongibeddu", cioè la "montagna bella": in questo dualismo, vi è una perfetta espressione del rapporto di amore/odio che lega l'Etna ai suoi abitanti.