Ho finito di leggere qualche mese fa la monumentale opera di Dan Simmons, Drood (Eliot), ho letto un breve saggio su Charles Dickens (Dickens, Eliot, 2013) scritto da Stefan Zweig (più che altro il testo rivisitato di una conferenza su Dickens, una cinquantina di pagine dense che si leggono velocemente e che inquadrano perfettamente Dickens nel contesto della sua epoca1) e ho sentito la necessità di completare la lettura dell'opera originale di Dickens a cui si ispira quella di Dan Simmons.
Si tratta de Il Mistero di Edwin Drood (ovvero "The Mistery of Edwin Drood" che i Dickensiani chiamano semplicemente in acrostico "MED"), recentemente ripubblicato da Gargoyle (2013) inoccasione del duecentanario dela nascita di Dickens, famoso per essere rimasto come opera incompiuta del famoso scrittore senza il conforto di appunti preliminare o note diaristiche da lui lasciate che potessero illuminare sul finale che egli aveva in mente..
Il giovane Edwin Drood, prossimo al matrimonio con Rosa, sparisce in circostanze misteriose. Lo zio Jasper, anch'egli innamorato della fanciulla, dà inizio alle indagini. Chi ha ucciso Edwin Drood? Oppure,é stato davvero assassinato? Una vicenda ricca di suspense, esotismo e personaggi equivoci, che coinvolge il lettore in un mistero che rimane insoluto, sfidandolo a trovare quel finale che non c'è mai pervenuto.
La storia è ambientata in massima parte in una piccola cittadina fittizia, non molto distante da Londra (non più di una quarantina di miglia, tre ore tra treno e carrozza), Cloisteham che, in realtà, nasconde la cittadina di Rochester, dove Dickens nacque e trascorse la sua infanzia e il campanile della cui cattedrale, onnipresente nella narrazione di Edwin Drood, egli poteva vedere dal suo studio nella casa di Gadhill.
La storia è tutta qua. Un poliziesco (o mistery) che dir si voglia,in cui un personaggio (e nemmeno tanto simpatico) scompare (e non si sa se sia stato assassinato), a metà circa di ciò che Charles Dickens aveva già scritto al momento della sua morte. E non si sa nemmeno se Edwin Drood sia stato assassinato: semplicemente scompare senza lasciare traccia.
Ma Jasper, suo zio e tutore (per quanto solo di pochi anni più anziano), forse con un vigore eccessivo, sembra essere di quest'avviso e fa il solenne giuramento di consegnare l'assassino alla giustizia, opinioni e giuramento che, platealmente fa in modo che tutti possano udire e testimoniare successsivamente.
Lo stesso Jasper ha delle ombre e ha dei segreti, ma soprattutto - essendo innamorato della promessa sposa di Edwin (un segreto che, dopo la scomparsa di Edwin viene esplicitato) mostra di possedere alcune delle intemperanze comportamentali che, alla luce delle nostre conoscenze, attribuiamo allo stalker e all'innamorato patologico che si trasfoma in segugio assillante e aggressivo.
In più, è un consumatore di oppio e vive dei sogni "drogati" che, come ci annuncia lo stesso Dickens nel primo capitolo, aprirebbe la porta a stati dissociati di coscienza.
Quando il romanzo finisce, rimanendo tronco a poco dopo la sua metà il lettore resta con il fiato sospeso, perché nella sua mente hanno cominciato a configurarsi dei possibili scenari e quindi il suo più vivo desiderio sarebbe che l'autore possa essere giunto ad un'epicrisi, lasciando al riguardo degli appunti chiarificatori. Ed invece niente!
Dickens ha portato con sé nella tomba il segreto della soluzione finale.
Ma questa vivacità di intreccio (supportata dalla coralità dei diversi personaggi, disegnati con la consueta maestria non priva di tocchi di ironia) è stata sfidante nei confronti di molti che hanno tentato di trovare un grimaldello che condusse ad una possibile e verosimile conclusione.
Tra questi, anche la rinomata coppia di scrittori nostrani Fruttero e Lucentini con il loro "La verità sul caso D." ci ha provato (mettendo in scena un convegno internazionale che si occupa di completare le opere non completate dallo scrittore o artista nel senso più lato, in una sezione del quale i maggiori investigatori della letteratura e della storia, appositamente invitati, si incontrano per discutere del caso "Drood" e per trovare - alla luce delle evidenze presentate - una soluzione plausibile e verosimile); per non parlare della schiera di cineasti che si sono cimentati nel tentativo di trasporre la storia in film, trovando di volta in volta una o l'altra soluzione al caso, o delle centinaia di opinionisti che sono stati aggregati tutti assieme con la denominazione di "droodisti".
Certo è che Dickens nella scrittura di Edwin Drood fu molto influenzato (quanto meno in termini di intuizioni creative) dal mistery epistolare scritto dal suo contemporaneo Wilkie Collins (ed anche suo genero).
Dan Simmons con la sua opera monumentale "Drood" ha tentato appunto di raccontare nella forma di un romanzo (in uno stile volutamente "collinsiano") i retroscena nella vita di Charles Dickens e Wilkie Collins durante i due anni circa in cui Dickens portò avanti la stesura di Edwin Drood.
Quello di Dan Simmons è stato uno sforzo titanico: ne è risultata un'opera affascinante che getta una luce approfondita sulla vita dei due autori (ma anche sui loro tempi) e che approfondisce gli effetti distorcenti nel rapporto con la realtà del consumo cronico di oppio e laudano, sviluppando l'idea di azioni compiute sotto l'effetto di una personalità seconda, normalmente non visibile e la cui comparsa potrebbe essere in particolare facilitata dall'uso costante di oppio.
Dan Simmons non dice nulla di esplicito al riguardo della possibile conclusione del rmistero di Edwin Drood, ma lascia intuire un bandolo della matassa: una matassa in cui tutta la narrazione dickensiana è comunque pervasa dai "doppi" e dagli "alterego".
Nota al testo. A tutt'oggi quella di Stefano Manferlotti rimane la ricostruzione filologica di maggiore autorevolezza, per integrità e fedeltà al testo dickensiano. Si tratta della prima traduzione italiana in assoluto; redatta sulla base del manoscritto originale (attualmente esposto all'interno della mostra 'Dickens and London', in corso nella capitale britannica) e corredata di un apparato critico agile quanto prezioso, è arricchita in appendice del cosiddetto 'Frammento Sapsea' (quattro pagine in cui si introduce il personaggio di Mr. Sapsea prima della sua investitura a Sindaco di Cloisterham).
“La storia più misteriosa che sia mai stata scritta” - come hanno commentato alcuni - è contenuta in quest'ultimo romanzo di Charles Dickens, che la morte gli ha impedito di terminare.
Decine di autori hanno cercato di mettere la parola fine alla storia di Edwin Drood risolvendo il mistero; altri hanno invece proposto rielaborazioni letterarie, in alcuni casi piuttosto riuscite, come nel Drood di Dan Simmons.
Nel duecentesimo anniversario della nascita del grande scrittore inglese, un omaggio al suo genio e a tutti gli appassionati del genere.
(Commento in inglese, da internet) Dickens's final novel, left unfinished at his death, is a tale of mystery whose fast-paced action takes place in an ancient cathedral city and in some of the darkest places in nineteenth century London. Drugs, sexual obsession, colonial adventuring and puzzles about identity are among the novel's themes. At the centre of the plot lie the baffling disappearance of Edwin Drood and the many explanations of his whereabouts. A sombre and menacing atmosphere, a fascinating range of characters and Dickens's usual superb command of language combine to make this an exciting and tantalising story. Also included in this volume are a number of unjustly neglected stories and sketches, with subjects as different as murder and guilt and childhood romance. This unusual selection illustrates Dickens's immense creativity and versatility.
(1) Stefan Zweig, Dickens, Eliot, 2013. Questa la presentazione del volume. È difficile comprendere pienamente cosa Charles Dickens abbia rappresentato per i suoi contemporanei. Forse solo un autentico "old Dickensian" poteva sapere con quale trepidazione gli inglesi aspettassero i fascicoli azzurri con le nuove puntate del "Circolo Picwick".
Basti pensare che la prima uscita fu stampata in quattrocento esemplari, la quindicesima in quarantamila. Quando Dickens lo lesse in pubblico, l'Inghilterra andò in delirio e le sale furono prese d'assalto. "L'effetto di un fenomeno letterario di tali proporzioni, sia dal punto di vista della diffusione che del coinvolgimento emotivo esercitato sul pubblico" scrive Zweig "può realizzarsi solo in concomitanza della presenza di due elementi perlopiù divergenti: la presenza di uno spirito geniale che riesca a inserirsi nella tradizione di un'epoca".
Pur annoverandolo, insieme a Balzac e Dostoevskij, tra i tre maggiori narratori ottocenteschi, lo scrittore austriaco non gli risparmia qualche bordata: "Soddisfatto nei confini della propria cultura nazionale, mai ha sentito l'esigenza di trasgredire la misura artistica, morale o estetica dell'Inghilterra. Non si pose come un rivoluzionario". Eppure, alla fine, all'"inesauribile poeta" che fu Dickens, Zweig perdona anche questo, perché; "...solo quando si detesta la stupida ipocrisia della cultura vittoriana si può valutare giustamente il genio di un artista che ha trasformato la più insignificante delle vite in poesia".