Quale potrebbe essere è il grado zero della panchina? Ma sicuramente un tronco appena squadrato e sbozzato, che mantiene le sue origini vegetali visto che è stato lasciato allocato ai piedi di un albero fronzuto ed in piena vegetazione. Come quello che mi è capitato di incontrare qualche tempo fa in UK.
Il tronco che adesso è panchina, continua così a vivere una sua vita vegetale.
L'albero ai piedi del quale giace il tronco-panchina è svettante verso il cielo ed è in piena vegetazione, mentre questo è in assetto orizzontale e, apparentemente, in quiescenza, limitandosi - allo stato attuale - ad offrire una comoda seduta al viandante che voglia sostare e riposare.
Forse un giorno il tronco trasformato in panca tornerà a buttare foglie e fiori. Ma questa immagine è soltanto una scaturigine della fantasia che vorrebbe assegnare al tronco abbatuto e sgrossato nuova vita, resurrezione - si potrebbe dire - e riscatto.
L'incontro con questa varietà di panchina mi ha fatto riflettere su quanto i manufatti dell'Uomo delle origini fossero connessi al mondo vegetale e alla Natura di cui lui stesso era parte, in un equilibrio dinamico e nel rispetto di un patto che mai veniva rotto.
Mi piace immaginare questo tronco-panchina così: con una sua vita sotterranea e radici che a poco a poco riprendono vigore.
Del resto, secondo il mito, quando Odisseo nella sua Itaca si ritrovò a costruire il talamo nuziale, decise di ricavarlo da un enorme ceppo di ulivo che venne lavorato e sbozzato sino a trasformarlo in letto nel posto in cui era cresciuto, non potendo essere eradicato tanto era grande. E dopo avere trasformato la ceppaia in letto nuziale, Odisseo ci costrui attorno la stanza e poi tutto il resto della dimora.
La vera natura di quel talamo era un segreto per tutti: solo Odisseo e la sua sposa Penelope conoscevano le sue origini. Si trattava di una veritàche faceva parte integrante dellaloro intimità di sposi.
Ed è proprio così che avvenne il riconoscimento di Odisseo da parte di Penelope, quando quest'ultima per mettere alla prova Odiesseo gli chiese di spostare il talamo nuziale. E Odisseo le rispose che mai si sarebbe potuto rimuovere da quella stanza perchè era stato ricavato dalla ceppaia dell'olivo secolare (Odissea, Libro XXIII).
«Sciagurato! non sono altezzosa o sprezzante
né sono attonita: so molto bene come eri
salpando da Itaca sopra la nave dai lunghi remi.
Orsù, Euriclèa, stendigli il solido letto
fuori del talamo ben costruito che fece lui stesso;
portate fuori il solido letto e gettatevi sopra il giaciglio,
pelli e coltri e coperte lucenti».
Disse così per provare il marito; e Odisseo,
sdegnato, disse alla moglie solerte:
«Donna, è assai doloroso quello che hai detto.
Chi mise altrove il mio letto? sarebbe difficile
anche a chi è accorto, se non viene e lo sposta,
volendolo, un dio in un luogo diverso, senza difficoltà.
Nessun uomo, vivo, mortale, neppure giovane e forte,
lo smuoverebbe con facilità: perché v’è un grande segreto
nel letto lavorato con arte; lo costruii io stesso, non altri.
Nel recinto cresceva un ulivo dalle foglie sottili,
rigoglioso, fiorente: come una colonna era grosso.
Intorno ad esso feci il mio talamo, finché lo finii
con pietre connesse, e coprii d’un buon tetto la stanza,
vi apposi una porta ben salda, fittamente connessa.
Dopo, recisi la chioma all’ulivo dalle foglie sottili:
sgrossai dalla base il suo tronco, lo piallai con il bronzo,
bene e con arte, e lo feci diritto col filo,
e ottenuto un piede di letto traforai tutto col trapano.
Iniziando da questo piallai la lettiera, finché la finii,
rabescandola d’oro e d’argento e d’avorio.
All’interno tesi le cinghie di bue, splendenti di porpora.
Ti rivelo, così, questo segno. Donna,
non so se il mio letto è fisso tuttora o se un uomo,
tagliato il tronco d’ulivo alla base, altrove lo mise».