(Maurizio Crispi) L'altro giorno, mi sono ritrovato a camminare lungo via Emiro Giafar, un nome di strada da "Mille e Una Notte" e che fa pensare immediatamente alle storie di Aladino e la Lampada Magica. Il nome di questa via porta la fantasia del viandante ad ascendere verso l'alto, accendendola di immagini di fontane chioccolanti, di chiostri ombrosi, di odalische e di amene "case di sollazzo" sepolte nel verde irriguo degli agrumi.
Ma se ci ricordiamo che questa via attraversa il quartiere di Brancaccio - uno dei più degradati di Palermo - dal mare verso la montagna, ecco che il volo pindarico si interrompe bruscamente per farci precipitare in caduta libera verso uno zoccolo duro di prosaico squallore e di quotidiano degrado.
Nella zona di questa strada, stretta tra il cavalcavia che consente di superare la ferrovia e quello che porta all'altro lato dell'autostrada ME-CT, andavo alla ricerca di un bar-cafeteria dall'aspetto accettabile dove potessi sedermi comodamente, magari fumare una sigaretta e leggere un libro, dove fosse contenuto ad un livello accettabile l'effetto nefasto di puzze e miasmi vari, quando all'improvviso la mia attenzione (un improvviso flash alla sinistra della mia vista periferica) è stata attratta dal caldo colore avorio di lisce mura fatte di conci tufacei perfettamente squadrati emergere da una massa informe di catapecchie e catoi degradati, vecchi magazzini ed officine, macerie.
Forse, l'avvistamento, è stato reso possibile dalla luce particolare di quel momento che quasi faceva scintillare di un caldo colore giallo arancione quelle mura simili ad una fortezza.
Ho deviato dalla strada maestra e mi sono inoltrato nel piccolo vicolo, quasi con la sensazione di intrudere nello spazio privato di povere abitazioni, davanti alle quali erano collocate sedie per stare seduti a prendere il fresco la sera, griglie arrugginite per cucinare sulla brace, stenditoi affollati di panni e bambini intenti a giocare.
Ed eccola là la massa imponente di questo muro, interrotto soltanto da due enormi portali di legno e perforato da alcune finestre situate nell'ordine superiore incastonate dentro arcate gotiche a rilievo che alleggerivano con il loro rincorrersi la compatezza del muro.
La massa del manufatto era così imponente che, nella ristrettezza del vicolo, risultava quasi del tutto impossibile realizzare una degna foto d'insieme.
La costruzione chiaramente appartiene al periodo arabo-normanno, stello stile di altri manufatti e mi era evidente che fosse stata di recente restaurata.
Ma ciò che mi ha colpito è stata la totale trascuratezza del contesto.
In altri luoghi un simile prezioso reperto di un passato lontano e fastoso sarebbe considerato di enorme interesse culturale e sarebbe opportunamente valorizzato. Le catapecchie circostanze sarebbero state da tempo espropriate ed abbatute per riportare l'edificio al fasto originario, cerando tutt'attorno un parco con delle panchine dove poter sedere per ammirare dall'esterno la struttura prima di addentrarsi per una visita.
E sicuramente in un paese che onora diversamente e in maniera degla i propri monumenti ci sarebbero stati all'esterno dei cartelli esplicativi che ne raccontino la storia e subito prima lungo la via che poco prima percorrevo a piedi sarebbe stata disposta un opportuna segnaletica.
Inoltre, sarebbe sicuramente accessibile per una visita, possibilmente a pagamento, perchè in altri paesi si ritiene che alcune cose per essere mantenute e per essere sempre accessibili hanno bisogno di entrate continue per poter raggiungere un certo livello di autosuffcienza, al di là delle sovvenzioni statali.
Tanto per fare un esempio,in Inghilterra sarebbe sufficiente che ci sia un vecchio muraglione appartenuto ad un castello (o ad una fortificazione o ad un abbazia gotica diruta) perché lì lì si crei un luogo della memoria collettiva che sia, allo stesso tempo, un sito turistico con tutti i crismi: prati, panchine, piccolo museo che racconta la storia del sito con reperti museali trovati sul posto dopo campagne di scavo con tanto di didascalie e biglietteria all'ingresso. E la gente arriva a frotte per vedere quel muro, per visitare il piccolo museo e per stare in un posto che è in sé - al di là del valore storico - ameno e vivibile.
Invece, da noi niente di tutto questo, ma soltanto una cattedrale nel deserto, illuminato come un oggetto prezioso dal sole pomeridiano di settembre e, in definitiva, un restauro fatto "a perdere".
Mi sono ricordato che tanti anni fa, appena diplomato dal Liceo ero partito con alcuni miei amici alla ricerca del mitico "Castello di Maredolce", ma che ala fine dopo molto girovagare avevamo interrotto la nostra cerca, frustrati, perchè nessuno di coloro che ci trovammo ad interpellare seppero dirci nulla.
Palermo possiede tante di queste bellezze segrete di inestimabile valore. Sarebbe molto belle se potessero essere adeguatamente valorizzate, creando dei percorsi di visita tematici, anzichè lasciare che alcuni beni siano accessibili soltanto sporadicamente nel corso di alcune - peraltro lodevoli - manifestazioni, come é la ormai pluriennale "La scuola adotta un monumento" o "Palermo apre le Porte".
Dopo il restauro, ultimato in tempi recenti, e dopo l'inaugurazione accolta dagli organi pubblici con grande battàge, nulla è stato per una fruizione più capillare e "quotidiana" e soprattutto per migliorare il contesto e fare della struttura un prezioso oggetto di richiamo turistico.
Brancaccio, in sostanza, ha continuato a rimanere "Brancaccio" e non si è trasformato in "Maredolce", cioè in una zona amena e fruibile, come qualcuno - al momento dell'inaugurazione - aveva auspicato con le solite parole vuote e retoriche.
La visita, a quanto pare, è possibile soltanto dietro specifica richiesta, ma nei pressi della struttura non è stato affisso alcun cartello con le indicazioni minime per raggiundere dei referenti per la visita guidata.
Quindi, in sostanza, il molto che è stato fatto, é come se non fosse stato fatto.
(da Wikipedia) Il Castello di Maredolce o Castello della Favara è un edificio palermitano in stile islamico, la cui architettura non sembra mostrare influenze normanne; esso risale al XII secolo, e si trovava all'interno della Fawwarah ("fonte che ribolle" in lingua araba), il Parco della Favara, oggi nel cuore del quartiere di Brancaccio.
Il palazzo, impropriamente detto "castello", fu edificato nel 1071, e faceva parte di un "qasr", ovvero una cittadella fortificata situata alle falde di monte Grifone, probabilmente racchiusa entro una cinta di mura, che oltre al palazzo comprendeva un hammam e una peschiera.
L'edificio fu una delle residenze del re normanno Ruggero II, che secondo il primo riferimento testuale sull'esistenza dell'edificio, il Chronicon sive Annales di Romualdo Salernitano avrebbe riadattato ai suoi scopi un palazzo preesistente, appartenuto all'emiro Giafar nel X secolo.
Nell'arco dei secoli il castello divenne fortezza e nel 1328 fu ceduto ai frati teutonici della Magione, che lo trasformarono in un ospedale. Nel 1460 la struttura fu concessa in enfiteusi alla famiglia dei Bologna e nel XVII secolo diventò di proprietà di Francesco Agraz, duca di Castelluccio: la trasformazione in azienda agricola era ormai completa.
Nel 1992 la Regione Siciliana ha acquisito per esproprio l'edificio.
Il castello, per volere di Ruggero II, venne circondato da un lago artificiale, che lo cingeva su tre lati, ed era immerso in un grande parco, dove Ruggero II si dilettava nella caccia. Il bacino, che aveva al centro un'isola di circa due ettari di estensione, venne ottenuto grazie a una diga composta da blocchi di tufo, che interrompeva il corso della sorgente del monte Grifone. Nel XVI secolo la sorgente si prosciugò, e la peschiera divenne una fertile area agricola, ancora oggi esistente.
L'edificio ha pianta quadrangolare, e possiede al centro un cortile molto spazioso, dotato in origine di un portico con volte a crociera, del quale rimane solo qualche traccia. L'esterno è formato da blocchi di tufo con arcate a sesto acuto. Nel lato non bagnato dal lago artificiale si aprono quattro entrate, due delle quali portano alla grande Aula Regia e alla cappella palatina, di forma rettangolare ad una sola navata coperta da due volte a crociera, con transetto sormontato da una cupola semisferica e dedicata ai santi Filippo e Giacomo già dal XIII secolo.
La struttura dell'adiacente hammam è dal XIX secolo inglobata in una palazzina, ed è riconoscibile con difficoltà.
Il parco intorno al palazzo ed alla peschiera era un giardino caratterizzato da numerose specie arboree (in particolare agrumi ed altri alberi da frutto) corsi d'acqua ed animali esotici, secondo il modello dei giardini islamici africani e spagnoli dell'epoca, ed in particolare simili all'agdal del Maghreb, caratterizzati da frutteti ed acqua. L'acqua, vitale per le piante e simbolo di purificazione e rinascita, costituiva l'elemento centrale in un giardino concepito come una riproduzione del paradiso coranico.
Poco dopo l'inaugurazione della struttura da poco restaurata, venne pubblicato un articolo elogiativo su "SiciliaInformazioni" (28 marzo 2011).
Brancaccio diventa "Maredolce": così Palermo scopre il Castello dell'Emiro Giafar (su SiciliaInformazioni, 28 marzo 2011)
Brancaccio o Maredolce? Se il popolare quartiere alle porte di Palermo cambiasse nome e identità per trasformarsi da estrema periferia, per certi versi, “a rischio”, in area culturale d’avanguardia? Questa la coraggiosa scommessa lanciata dalla 19ª Giornata FAI di Primavera, che si è chiusa ieri in 260 località italiane, con ben 660 beni monumentali, spesso chiusi e poco conosciuti, visitabili durante tutto il fine settimana.
Nel capoluogo siciliano, oltre al Teatro Santa Cecilia, è stato protagonista il ritrovato Castello di Maredolce o della Fawara, l’antica sorgente che dal vicino Monte Grifone arrivava fino al mare. Siamo nel cuore di Brancaccio, dove mai ci si aspetterebbe di scoprire un tesoro simile. Si tratta di quella che era la residenza dell’emiro Giafar, costruita per i suoi “sollazzi” intorno all’anno Mille e poi riedificata, verso il 1150, da Ruggero II. Ciò che rimane dell’edificio è sufficiente a far immaginare quali splendori dovevano essere custoditi all’interno del Castello ed in che contesto naturalistico fosse stato edificato: un magnifico palazzo che si affacciava su un grande lago, con una lussureggiante isola al centro.
Adesso, dopo anni di incuria e abbandono, il bene è in fase di recupero grazie all’intervento della Soprintendenza ai Beni Culturali di Palermo, che ha avviato diverse campagne di restauro. Operazione non facile, anche perché, come è noto, all’interno del monumento abitano ancora adesso alcuni privati che, presumiano, difficilmente abbandoneranno le loro case.
I circa diecimila visitarori che, nel weekend, hanno ammirato il palazzo arabo, sono stati guidati dai giovani studenti dei licei scientifici “Cannizzaro” e “Basile”, e dell’Istituto Albeghiero “Piazza”, con il contributo dell’Associazione Culturale “Castello di Maredolce”, che da oltre dieci anni è impegnata nell’attività di salvaguardia del bene. Così, in anteprima, è stato possibile visitare le sale più importanti del castello, fresche di restauro, e la Cappella dei Santi Filippo e Giacomo. Inoltre, come per magia, una parte del bacino su cui si affaccia l’edificio è tornato a riempirsi d’acqua, grazie al progetto di ripristino del lago, i cui costi di realizzazione completa sono però altissimi.
Quest’evento, in qualche modo “epocale” per un quartiere come Brancaccio, potrebbe rappresentare l’inizio di una svolta. Una straordinaria occasione di riscatto ed un strumento di sviluppo per una delle aree più “difficili” della città. “Mi piacerebbe che Brancaccio cambiasse nome per chiamarsi Maredolce”, questo l’augurio di Giovanni, 18 anni, residente nella vicina borgata di Ciaculli ed entusiasta di far da guida ai visitarori. Mentre, con fierezza e competenza, mostra i tesori del suo quartiere, vien da pensare che forse non tutto è perduto.
Dove si trova. Via Giafar, svincolo Porto (autostrada Pa-Ct)
Orari di visita. Il castello non è visitabile, se non previo appuntamento con la Sovrintendenza beni culturali della Regione siciliana (ma il sito web è in corso di ristrutturazione e le indicazioni per visitare queste bene, non sono direttamente fruibili).
Scavi archeologici in corso.
In occasione della manifestazione Palermo Apre le Porte e altre manifestazioni (FAI) il castello è visitabile.
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