(Maurizio Crispi) Le macchine per cucire Singer hanno rivoluzionato l'industria tessile del XIX secolo, ma - nello stesso tempo - hanno influenzato profondamente l'economia domestica, consentendo la realizzazione sia di interventi riparativi sugli indumenti logorati o strappati, ma anche di forme di piccola sartoria casalinga.
La macchina per cucire Singer, nella sua versione domestica ("da tavolo") che veniva commercializzata con tavolo in stile in una perfettà unità di forma e di funzione, faceva parte del panorama quotidiano di molte famiglie italiane (e del mondo occidentale), prima del boom produttivo delle industre e dell'avvento delle logiche consumistiche, nell'immediato dopoguerra. E, nella loro vita, rappresentava un accessorio indispensabile
Il più delle volte, si trattava di macchine per cucire Singer risalenti all'anteguerra, possibilmente acquistate come bene dotale per le nostre nonne.
Tra l'altro - e questa è una delle cose che rammento dei racconti della nonna Maria (madre di mia madre) - suo padre aveva una sorta di "concessionaria" per le Singer (ancora prodotte all'estero, poichè la prima fabbrica italiana Singer arrivò solo nel 1935 (con Stabilimento di Monza), e andava sovente a Malta per trattare affari (l'acquisto delle macchine per cucire per uno loro successiva venditain Sicilia), visto che proprio lì arrivavano i manufatti Singer prodotti in Inghilterra (prima negli stabilimenti di Glasgow, avviati dal 1867 e poi in quelli di Brighton, inaugurati nel 1871).
A casa da me, c'era una Singer, da sempre a mia memoria di bambino...
Poi, forse dopo la morte della nonna, quando io già andavo al Ginnasio, mia madre ne acquistò una moderna - sempre di marca Singer - inclusa - con un meccanismo a scomparsa in una tavolo-scrivania di solido legno massello.
Ma quella che si usava in casa, quando ero bambino e che era fornita di pedana mobile per fare muovere il meccanismo (quel famoso meccanismo a pedana mobile simile a quello utilizzato nelle Filande) venne purtroppo ceduta quando l'ultimo grido targato Singer entrò in casa.
In realtà, quelli erano oggetti fatti per durare: che si compravano una volta sola come parte del corredo domestico essenziale e che poi passavano da una generazione all'altra.
Non erano come gli utensili di oggi, fatti con la logica consumistica dell'essere "a tempo", cioè già predisposti con dei punti di debolezza che portano, dopo un arco di tempo variabile (ma in genere sempre più breve) alla loro rottura.
La logica del consumismo spinto implica che gli oggetti siano essenzialmente "disposable": da utilizzare per un arco di tempo e poi da buttar via.
Eppure, quando ero bambino e guardavo mia madre - o la signora che aiutava in casa nei lavori domestici usare quella macchina da cucire - ero ipnotizzato e passavo il mio tempo a guardare quel magico meccanismo in movimento e l'armonia delle diverse parti che si muovevano all'unisono.
Essendo ancora basso di statura, mi concentravo sul supporto del piano di lavoro in metallo massiccio, con formava un elegante disegno e che portava al centro la scritta Singer, tutta in lettere di ferro.
Era una macchina che sentivo in qualche modo "minacciosa" e spesso fantasticavo cosa sarebe potuto accadere, se avessi ficcato il mio ditino sotto l'ago in movimento.
Stavo a lungo in quella stanza, mentre qualcuno era al lavoro, affascinato dal movimento delle diverse parti meccaniche e dal movimento del filo che si andava srotolando dal suo rocchetto per trasformarsi in cucitura perfetta, dritta e regolare; ed intanto ero cullato dal canto della macchina, che saliva e scendeva assieme al movimento instancabile della pedana.
Roba d'altri tempi...
Questa rievocazione è stata in qualche modo stimolata dal nell'amarcord di Silvana Carratura, con la quale condividiamo età e, quindi, anche tipologia di ricordi.
Ecco il suo contributo, pubblicato qui con la sua autorizzazione.
(Silvana Carratura) La mia nonna materna aveva una vecchia macchina da cucire, la base con pedale in ferro battuto e lavorato in stile Liberty e della madreperla incastonata sul piano del tavolo.
Era proprio bella...
Lei al pomeriggio usava spostarla verso la finestra per avere più luce e si dilettava a correggere orli di lenzuoli, a fare qualche cucitura, ad accorciare vecchie gonne o a rifare l'orlo ai pantaloni di mio nonno; erano piccoli lavoretti cui si sobbarcava per noi, con amore.
Io piccolina la guardavo ammirata; osservavo il movimento del pedale, quello della ruota che girava mentre lei dava la spinta al macchinario che iniziava a muoversi piano,per poi prendere la rincorsa sempre più forte, sempre più forte, fino a sembrare una corsa automobilistica...
Quella velocità mi esaltava...
Osservavo quei minuscoli piedi chiusi nelle loro pantofole di lana color amaranto, coi bordi di pelliccetta grigia; li vedevo fare su e giù e poi ancora giù e su, su quel pedale prezioso sempre più velocemente e ne restavo affascinata, quasi ipnotizzata. Contemporaneamente, la nonna spingeva con le mani la stoffa che scorreva sotto l'ago allontanandola da sè.
Sembrava un rito... e lo era, forse.
Avrei voluto imitarla, emularla, ma mi toccava solo d'assistere a quello spettacolo in religioso silenzio per poi vedere il lavoro finito e la macchina da cucire che rientrava sotto il suo coperchio-cassetto in legno lavorato finemente, a custodia di un oggetto tanto prezioso e pregiato per quei tempi.
Era una delle prime Singer e la conservo ancora.
Ed ancora, quando la guardo, mi sembra di rivedere mia nonna e le sue pantofole col bordo di pelliccetta, le sue piccole mani con gli anelli d'oro, la sua minuta nuca grigia ordinatissima e composta nel suo chignon ed il suo sorriso soddisfatto e luminoso alla fine della sua lunga corsa sul pedale.