(Maurizio Crispi) Quando ero piccolo (!), uno dei modi per passare le lunghe sere invernali e per intrattenere noi piccoli era quello di inventare tanti giochi con la carta.
Giochi che, dopo che i grandi, ci avevano mostrato come fare, potevamo riprodurre facilmente.
Per esempio, come ritagliare pupazzetti e altre figure strane.
Oppure, come costruire le barchette di carta, sia quelle semplici, sia quelle più complicate con il fumaiolo, a mo' di piccolo bastimento (per quanto abbia tentato quest'ultima forma non sono mai riuscito a riprodurla).
Ma anche come fare cappelli di carta con i fogli di giornale, come quello conico (riservato agli "asini" soclastici di un tempo) o come quelli che, sempre nello stesso periodo, si facevano i muratori per ripararsi la testa dal sole (un copricapo "usa-e-getta" a costo zero, utilizzando la carta dei giornali vecchi oppure quella spessa giallo-marrone che il fruttivendolo usava per fare i "coppi")..
E così si passavano ore senza mai annoiarsi.
E, poi, naturalmente,come realizzare i razzetti (o aeroplanini) di carta.
E questo era il gioco con la carta riciclabile (o presa illecitamente dai quaderni di scuola) per eccellenza.
A differenza di tutti gli altri giochi che erano un po' come gli "origami" di casa nostra, il cui insegnamento fu appannaggio delle donne, fu mio padre ad insegnarmi come costruirli, partendo dalle forme più semplici a quelle più complicate.
Mi insegnò, poi, qualche piccolo trucchetto per migliorare lo loro aerodinamicità.
Passavamo molto tempo subito dopo pranzo (ma non tutti i giorni) a giocare con questi razzetti nel corridoio della casa di viale Regina Margherita, dove a quel tempo abitavamo.
Ognuno aveva il proprio razzetto e bisognava lanciarlo a turno, cercando di coprire l'intera distanza del corridoio.
Era stupefacente come, a volte, questi razzetti, prendessero delle traiettorie inattese e si librassero in aria come se non dovessero mai cadere.
Ed era una magia starli a guardare, perchè dopo tanti lanci deludente ne veniva fuori per motivi inesplicabili uno davvero portentoso.
Ma poi, inevitabilmente, venivano giù.
Dopo molti voli la punta (o anche il naso) dell'aereo si storceva e occorreva fargli una piccola manuntezione, sino a che la punta si ammollava a tal punto che il razzetto finiva con l'essere inutilizzabile.
Erano ore di gioco spensierato, accompagnate da grandi risate.
Una volta reso autonomo nella loro costruzione, continuai ad esercitarmi da solo, anche fuori i confini di casa.
Spesso e volentieri, lanciavo i razzetti dal balcone verso la strada oppure verso il cortile interno, spinto dalla curiosità di vedere dove potessero arrivare.
In questi casi, sapevo che non avrei più potuto recuperarli: in fondo, erano come navicelle spaziali che spedivo in esplorazione nello spazio profondo.
Insomma, questi erano razzetti "a perdere" e quasi tutti finivano nel giardinetto dei condomini che occupavano la casa a pianterreno (i famosi "Signori Volpes").
Ma nessuno si lamento mai, né io fui mai rimproverato.
In fondo, quello era un innocuo gioco da bambini e, nei confronti dei bambini, c'è sempre una certa indulgenza, purchè non facciano cose pericolose.
E, per me, che da piccolissimo - rivelando in ciò un'indole da precoce Gian Burrasca - tentavo di scagliare fuori dal balcone oggetti pesanti (e ricordo momenti concitati in cui la nonna mi rincorreva per fermarmi), il lancio dei razzetti di carta, era decisamente un progresso.
Poi, un po' più avanti negli anni, prima di smettere del tutto, con i coetanei si facevano delle garette di lancio.
Si badava bene che la punta fosse ben diritta ed aguzza e, poi (chi sa perchè) ci si alitava sopra, forse per riscaldarla, nell'ingenua convinzione che così il razzetto avrebbe volato meglio e più distante di quello degli avversari.
E che dire poi dei piccoli alettoni che si creavano con una ripiegatura delle ali, in modo da rettificare la loro traiettoria oppure per far compiere loro un "giro della morte"?
Quando mio figlio Franci fu piccolo cercai di trasmettergli queste mie competenze, ma la cosa ebbe poca presa.
Era già l'era non solo della televisione a colori, ma anche dei videogiochi... e quei poveri razzetti di carta non potevano più competere con tanta sofisticata tecnologia.
A tutto questo ho ripensato, vedendo l'altro giorno un razzetto di carta dismesso, abbandonato sul marciapiedi di Tarling Street.