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24 luglio 2012 2 24 /07 /luglio /2012 07:14

Dinky-Toys-3.jpgQuando ero piccolino, era usanza andare a fare spese di ogni genere (soprattutto per l’abbigliamento) nella centrale via Maqueda. Per gli alimentari e il pane avevamo, ovviamente, i fornitori vicino casa (e tutti facevano la consegna a domicilio). Per le altre cose si provvedeva tra via Dante e via Maqueda.
Allora, nei primissimi anni della mia infanzia non erano ancora stati aperti i primi Standa e Upim, antesignani dei successivi Supermarket, Centri commerciali ed Outlet vari che infestano i nostri giorni come una calamità.
Si andava a fare le spese a piedi e per ogni cosa di cui c’era bisogno esisteva un posto specifico (e, a volte, si trattava di attività commerciali di lunga tradizione). Queste uscite con mia madre erano dei lunghi pellegrinaggi da un posto all’altro, fatti senza fretta, un po’ bighellonando, e mai lasciandosi prendere da una deleteria fretta. C’era sempre il tempo, ad esempio, per prendere un gelato da Cofea (allora in via Principe di Villareale), un rinomato gelataio oggi purtroppo scomparso, oppure una spremuta d’arance da Il Pinguino (vecchia gestione), in via Ruggero Settimo, nato nel pieno rispetto della tradizione palermitana dei "chioschetti", a loro volta scaturiti dal mestiere itinerante dei "venditori d'acqua". e si camminava all’andata, sicuramente. Al ritorno, specie quando mia madre si era caricata di pacchi e pacchetti si prendeva la carrozzella.
Queste sortite le facevamo con la mamma che mi portava sempre con sé, anche per regalarmi dei momenti di svago.
Di queste uscite ho due ricordi molto vividi.
Uno è relativo alle prolungate visite nelle mercerie di via Maqueda.
Ma per spiegare questo tipo di affaccendamento occorre fare una premessa. A quei tempi, vuoi per risparmiare, vuoi perché mancavano gli odierni pret-à-porter, si andava dalle sartine o dalle magliaie e ci si vestiva così.

Ricordo che, da piccolo, ero obbligato ad indossare degli orridi pantaloncini corti confezionati su misura dalla sartina (ma erano sempre un po’ troppo grandi, fatti apposta così in modo che potessero essere utilizzati anche nel corso dell’anno successivo) e dei completini monocolore di lana (maglia e giacchetto) che indossavo per andare a scuola e che a me, detto, tra noi non piacevano proprio.

Anche mia madre – secondo un’abitudine praticata da molti a quel tempo - si faceva confezionare gli abiti su misura e, prima di tutto c’era il rito della scelta delle stoffe, preferibilmente quando c’erano le svendite degli scampoli. I tempi di attesa erano lunghi. Le clienti da servire erano tante (già, l’utenza di queste mercerie era esclusivamente femminile), ma io per un bel po’ me ne stavo affascinato a contemplare tutti quegli enormi rotoli di stoffe colorate o a disegni, la loro consistenza e i loro riflessi  e ai gesti eleganti e sicuri dei commessi che prendevano questo o quello e ne dispiegavano la stoffa per mostrarne il disegno e la trama.
C’era, a volte, come prodromo di una possibile scelta, anche il rito dello spostarsi alla luce del giorno, sulla soglia del negozio, per potere osservare meglio le tonalità cromatiche.
Dinky Toys 6Si guardava, si parlava tanto, e poi alla fine si sceglieva (con molta ponderatezza). Non sempre si comprava.
Le mercerie erano tante e si cercava sin tanto che non si trovava ciò che pareva più convincente, che piaceva di più e che fosse soprattutto al prezzo più conveniente.
Un momento particolare infatti era quello in cui in queste mercerie venivano offerti ad un prezzo vantaggiosissimo gli “scampoli” delle stoffe, cioè gli ultimi ritagli di stoffa rimasti di ciascun rotolo.

Con le stoffe acquistate si andava dalla sartina (e, spesso, io anche lì accompagnavo mia madre). Nell’attesa e poi durante le successive prove in cui l’abito creceva e si definiva attraverso le varie fasi (anche questo era un processo affascinante da osservare nel suo dispiegarsi nel corso del tempo) per me c’erano da guardare dei grandi libri illustrati con grandi figure colorate a piena pagina che mostravano modelli di abiti ed era da questi “cataloghi” che si faceva la scelta (ragionata in base alle esigenze e ai desideri espressi dalla cliente) di un modello di massima cui ispirarsi nella confezione dell’abito.
Si tornava più volte dalla sartina per le prove, fino a che arrivava il momento fatidico di dover comprare i bottoni più adatti: e, quindi, si tornava in merceria.

Anche in questo caso, i tempi di attesa erano lunghi.
Pure la scelta dei bottoni era lenta e ponderata: anche qui la meraviglia delle infinite scatole piene di bottoni di ogni colore, materiale, foggia e dimensione che il commesso tirava fuori come un mago.
Sia in una circostanza sia nell’altra, quando la mia pazienza si esauriva e la semplice osservazione non mi appagava più, cominciavo a dar segni di irrequietezza. Prendevo magari  a correre su e giù per il negozio e a strepitare oppure mi aggrappavo a mia madre distogliendola dalla difficile scelta.
Allora il commesso che, evidentemente, aveva spesso a che fare con molti bimbi scalpitanti, per tenermi buono, mi regali i tubi di cartone che servivano ad arrotolare le stoffe. Ed erano un bellissimo strumento di gioco per il suo essere totipotente: questi tubettoni di cartone, infatti, potevano arrivare a due metri di lunghezza con un diametro variabile dai più piccoli da 5 cm a quelli da 10 cm. Si potevano usare come telescopio, come mazza in immaginari combattimenti, come spada, come lancia, come razzo da lanciare: insomma, si aprivano improvvisamente inimmaginabili scenari di gioco.
Spesso e volentieri quando le scelte di mia madre erano compiute e tornavamo a casa, io avevo il permesso di portare via con me alcuni di quei tubettoni con i quali avrei continuato i giochi a casa, coinvolgendo anche i miei cugini in interminabili duelli, in furibondi assalti all’ultimo sangue, fino alla loro disgregazione totale (ma tanto con la nuova stagione e con il cambio d’abiti, ce ne sarebbero stati di nuovi).
Dinky toys 7Un complemento quasi indispensabile alle visite in merceria era il passaggio dalla Profumeria Russo, ubicata proprio ad angolo tra via Maqueda e Piazza Massimo: era una profumeria allora rinomata che aveva iniziato la sua attività nel 1930 e che la interromperà - purtroppo - nel 2006 dopo aver resistito eroicamente negli ultimi anni all’assalto dei Centri commerciali e dei grandi “outlet” tematici, tipo “cocoon”, ma anche degli infiniti negozi e negozietti aperti in via Maqueda da emigranti del Bangla Desh e dell’infinita serie degli Internet point e delle rivendite di Kebab ed altro cibo da strada etnico, pure gestiti da extracomunicatari che oggi affollano via Maqueda).
Era, allora, una profumeria di qualità e molto alla moda: e, quindi, le donne della buona borghesia della città si servivano là.
Con la mamma ci andavamo per un duplice motivo: al piano di sotto c’era la profumeria vera e propria con un’estensione al piano superiore, dove l’angolo in fondo (meraviglia!) era riservato ad un mini-reparto che oggi si direbbe di “giocattoleria”. Qui, erano in esposizione per la vendita una miriade di modellini miniaturizzati (militari e non) della rinomata casa inglese “Dinky Toys” .
I Dinky Toys erano  modellini d'auto e camion in miniatura pressofusi. Essi apparvero all'inizio del 1934, quando la Meccano Ltd di Liverpool Inghilterra , introdusse una nuova linea di modelli in miniatura con il marchio di fabbrica "Meccano Dinky Toys". Il primo annuncio per la nuova linea apparve nell'edizione dell'aprile 1934 della rivista di Meccano.

Cercando in internet, si trovano molti siti web dedicati ai Dinky Toys, sit web creati da collezionisti ed appassionati, come ad esempio questo (da cui è tratta la breve citazione riportata sopra).
Erano dei bei modelli, con alcuni dettagli approssimativi, ma altri veramente superbi (e con alcune parti funzionanti: torrette girevoli, sportelli apribili, cannoni funzionanti per il lanci di finti, minuscoli, proiettili). Soltanto più tardi, dopo il 1970, i Dinky Toys  vennero superati da quelli prodotti da case specializzate francesi.

 

 

 


 

 

 

Io, per questi modellini, avevo un’autentica passione e non c’era volta che con la mamma entrassimo lì e che io non ne uscissi portando fiero e con riverente attenzione una new entry, un autentico trofeo che andava ad arricchire la mia piccola collezione. Di quelle incursioni non mi ricordo altro perchè i miei occhi e la mia attenzione erano interamente assorbiti dalla contemplazione di tutti quei modellini esposti dietro il vetro spesso del bancone. Mentre la mamma sceglieva le sue cose, io avevo il permesso di salire sopra e cominciare a guardare: poi, soltanto dopo l'arrivo della mamma, dopo sarebbe arrivato il difficile momento della scelta. 
I miei preferiti erano i modellini militari: credo che alla fine riuscii ad avere tutti quelli in catalogo.
Ero invece meno attratto dalle riproduzione degli automezzi civili.
Sempre della stessa linea c’era quelli che mi portata papà dai suoi viaggi a Roma e poi, a Natale, nella forma di regali strenna di “Babbo Natale”, arrivavano quelli di dimensioni più grandi, gli affascinanti big della serie
Con i Dinky Toys - ma sempre trattandoli con riguardo -  intraprendevo degli interminabili giochi: erano il complemento fondamentale del mio esercito di soldatini di piombo, metallo pressofuso e plastica dipinta.
Facevo i convogli, li facevo viaggiare da un punto all’altro di immaginari scenari di guerra; con l’artiglieria intraprendevo devastanti bombardamenti, curavo la logistica degli eserciti in marcia: il tutto era alimentato ovviamente dall’inesauribile serbatoio fantastico derivante dalla diuturna lettura dei romanzi salgariani.
La maggior parte dei modellini ce li ho ancora, conservati dentro un mobile con la ribaltina. Sono tutti schierati in bell’ordine; alcuni inevitabilmente portano su di sé i segni del tempo, hanno la vernice scrostata e qualche ammaccatura, eppure sono sempre quelli e se li guardo mi fanno ancora sognare e mi riportano indietro a quel periodo spensierato.
Insomma, porto dentro di me un bellissimo ricordo di quelle uscite con mia madre…
Ma è anche vero che, a quell’epoca, i bambini sapevano accontentarsi di molto poco…

 

 

 

(Fonte: Repubblica.it, 20 novembre, 2007) Uno a uno hanno chiuso insegne storiche come Spatafora, che in via Maqueda aveva anche la sede amministrative, Miraglia, Sortino, la libreria Ciuni e ora anche la profumeria Russo, dal 1930 all´inizio della via, all´angolo con piazza Massimo, sta svendendo tutta la merce per ristrutturazione ma probabilmente, da gennaio, non riaprirà più i battenti. Resistono solo in pochi tra le insegne di una di quelle che era un tempo uno degli assi commerciali più importanti, Pustorino, che ha una clientela ormai fidelizzata, anche nel resto d´Italia, la storica libreria Dante, la merceria Lina D´Antona. Ma restano anche, sempre più evidenti, i simboli del degrado. Come l´area Quaroni, della Curia, perennemente al buio e mai utilizzata come si era prospettato alcuni anni fa per farne un parcheggio. Si è trasformata in una discarica a cielo aperto, proprio a due passi da Palazzo delle Aquile e dal Teatro Massimo. La Curia ha promesso una bonifica, che però non è ancora stata effettuata. In completo abbandono anche la galleria delle Vittorie che dagli anni Trenta agli Settanta è stato un salotto commerciale. Adesso le saracinesche sono tutte chiuse perché l´intera area è sotto sequestro. Ma partiamo dall´inizio. Camminando dai Quattro Canti a piazza Verdi e guardandosi intorno sono tanti gli spazi vuoti tra un negozietto e un altro. Dal civico 203 al 213 è tutto chiuso. Dall´altro lato invece resiste Pustorino. Ha una clientela fissa, ma soprattutto ha voglia di rinnovarsi: i locali sono rimessi a nuovo, e il proprietario, Giuseppe Pizzo, spera che un giorno la strada sia chiusa del tutto e possa diventare quello che dovrebbe essere, «il salotto storico di Palermo». Di salotto, via Maqueda, ha ben poco. I marciapiedi sono dissestati. La strada è sporca. L´illuminazione scarsa. Cumuli di immondizia, verso sera, riempiono i lati della via. E poi macchine e clacson. 

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commenti

M
Mi sa che siamo coetanei, oltre che conterranei e ... vicini di quartiere. I tuoi ricordi sulle mercerie di via Maqueda coincidono con i miei. Buona serata.
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F
<br /> <br /> Bello trovare queste coincidenze...<br /> <br /> <br /> <br />

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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