Quando ero bambino... Once upon a time... C'era una volta...
Ancora una breve storia che comincia con un "quando ero piccolo...".
M'accorgo di ritrovarmi sempre più spesso ad usare questo incipit...
Che io sia diventato un nostalgico?
Ma forse è perchè le storie del nostro passato più lontano sono sempre le più belle e affascinanti.
Man mano che vado avanti, mi si affollano nella mente dei ricordi piccoli ed insignificanti del tempo in cui ero bambino.
E, spesso, mi viene l'urgenza di trascriverli: non so bene a chi tornerà utile o a cosa servirà.
Ma lo faccio lo stesso.
Forse, sperando che qualcuno legga queste brevi rimembranze oppure per la mia stessa futura memoria, quando i miei ricordi cominceranno a svanire...
Ma forse - riflettevo - è anche per il fatto che tutti quelli che avrebbero potuto raccontarmi storie delle mia infanzia (e che lo hanno fatto), adesso non ci sono più: e, allora, le storie - quelle che mi ricordo - le racconto io stesso, principalmente per me stesso. In questo senso, il raccontare, ha anche una funzione profondamente consolatoria.
Allora, ricominciamo...
Quando ero piccolo e abitavamo ancora nella casa di Viale Regina Margherita (Palermo), usavamo i materassi di lana, che allora erano di uso comune.
Nella casa dei nonni di Palazzo Adriano, invece, dato il nostro breve periodo di permanenza, avevamo - secondo l'usanza campagnola - i pagliericci che venivano poggiati su tavole di legno sostenute dai classici "trispiti" di ferro.
A Palermo, invece, come segno dell'evoluzione dei tempi, ai tempi della mia infanzia i materassi di lana erano sostenuti non più dalle tavole sui trepiedi (ovvero i "trispiti"), ma da reti metalliche (che non garantivano il massimo del supporto ortopedico alla schiena, ma così si usava), ma pesantissime perchè la loro struttura portante era fatta di ghisa.
Periodicamente, in media una volta all'anno, i materassi venivano aperti e la lana esposta all'aria perchè si arieggiasse, ma soprattutto per sciogliere i grumi di lana infeltrita che con la costante pressione si erano formati, sicché il materasso aveva perso la sua morbidezza originaria e s'era fatto tutto a bozzi.
Per compiere questo lavoretto (che per necessità doveva esser fatto nell'arco di una stessa giornata: dove avremmo dormito altrimenti?) venivano direttamente a casa degli speciali artigiani, i cosiddetti "cardatori della lana".
Si piazzavano nel balcone posteriore di casa nostra (abbastanza ampio: più una loggia che non un semplice balcone), aprivano i materassi e cominciavano a trattare le palline di lana, grosse e piccole, con una speciale macchina che portavano con sé, molto rumorosa e sferragliante (anche se a funzionamento manuale).
Io che, allora, non andavo ancora a scuola seguivo affascinato l'intera procedura, un po' intimorito da questi omoni baffuti con in testa delle coppole messe storte.
Ricordo che, nel corso dell'operazione, si levava una gran polvere e che, ogni tanto, la nonna si affacciava per controllare che tutto procedesse bene.
Senza farmene accorgere raccoglievo qualcuna di quelle palline di lana e la nascondevo da qualche parte per giocarci dopo.Poi, alla fine, i lavoranti, rimettevano tutta la lana che si era fatta soffice e sciolta dentro i materassi e li ricucivano con dei grossi aghi che - a dirla tutta - mi incutevano un po' di paura.
Chiusi i materassi, passavano ai cuscini, seguendo un'analoga procedura.Poi, finito il loro lavoro, raccoglievano i loro strumenti, si caricavano della loro - per me fantastica - macchina e se ne andavano.
Questi grossi aghi "pi' cusiri i materazzi" meritano una piccola digressione.
Anni dopo, mia madre usò quest'espressione per designare gli aghi che doveva usare per farmi due volte al giorno delle iniezioni di penicillina. La pennicillina cristallizzava rapidamente e occludeva l'ago: per evitare quest'inconveniente bisognava usare aghi di grosso calibro e ogni puntura era dolorissima. E, malgrado l'ago grosso, sovente il blocco si verificava egualmente: mia madre, che pure era bravissima a fare le iniezioni, piena di rammarico, doveva ripetere la procedura, mentre io stoicamente cercavo di non lamentarmi troppo.
Fu così che gli "aghi pi' cusiri i materazzi" divennero più tardi nella mia vita un vero strumento di tortura.
Ricordo che, poi, alla sera, era una festa andare a dormire su quei materassi che, quasi per incanto, s'erano fatti rigonfi e soffici.
Mi rimanevano, come ricordo dell'operazione della cardatura, quelle palline di lana che era riuscito a trafugare, in tutto simile alle palline pelose fatte con i resti di poseidonia, buttati a riva dal mare in tempesta, di cui spesso la spiaggia di Mondello era letteralmente cosparsa dopo una mareggiata.
E segnalo il fatto triste che di queste palline "da spiaggia" dopo le mareggiate se ne vedono sempre di meno, segno inequivoco del fatto che i banchi di poseidonie stanno morendo...