Eppure non tutti godiamo dello stesso destino, dello stesso fato o più semplicemente non tutti abbiamo fatto una scelta di vita così regolare.
Vivo e lavoro in due città diverse: l'una alle pendici dell'Etna (quella dove vivo) e l'altra in riva al mare (quella in cui lavoro).
Due realtà completamente differenti.
La quiete notturna del piccolo paese di Nicolosi viene disturbata solo dall'abbaiare dei cani dentro i cortili delle lussuose ville.
A Catania invece, centro nevralgico di questa porzione dell'"Isola Bella", la vita non finisce mai, neppure di notte.
E non importa che sia estate od inverno, qui c'è sempre un continuo brulicare di persone che vegliano, vivono, frugano nel buio cercando chissà chi o chissà che cosa.
Anime silenziose che si muovono come invisibili con passi lenti ed incerti, barcollano mentre tirano avanti lasciando dietro di loro la scia male odorante che sa che di fumo ed alcol.
Altre volte queste anime scure urlano e sbraitano contro tutti e tutto, arrabbiate col mondo o forse solo con se stessi.
Sono le 20.00, quando alla sera esco dallo Studio in cui lavoro per tornare a casa in montagna.
In inverno a quel'ora è buio pesto, fa freddo e l'aria spesso è mossa da un vento gelido che taglia il viso ed i miei pensieri.
Aprendo il pesantissimo portone in ferro attraverso la strada velocemente per infilarmi dentro la mia automobile, luogo sicuro e pieno di tanti "frammenti della mia piccola vita".
A volte la distanza che mi separa dal portone in ferro all'automobile sembra infinita. La bella Piazza Giovanni Verga assume forme e colori strani, violacei sotto la luce dei lampioni. Gli alberi abbassano i loro pesanti rami nodosi, come a nascondere chi vive sotto di loro.
E chi vive lì sotto è quasi sempre un povero infelice senza arte ne parte. Uomini e spesso anche donne che sono stati dimenticati o forse hanno voluto farsi dimenticare dal resto del mondo.
In giorni concitati come quelli vicini al Natale, nascosti dalle bancarelle stracolme di statuette per il Presepe ci sono loro. Avvolti in pesanti e sporche coperte di lana, spesse fradice come i loro corpi. Uomini sporchi, trasandati, con scarpe che somigliano più che altro a sandali considerati tutti i buchi che ci stanno. Tiro dritto, ho freddo, mi stringo dentro al cappotto.
Abbasso lo sguardo, mi sento in imbarazzo e mi chiedo perchè. Perchè vivere così al freddo, senza casa, senza affetti?
Perchè rinunciare a ciò che si avrebbe potuto avere o a ciò che si poteva conquistare col lavoro e la fatica? O forse io mi sbaglio e questi uomini e queste donne sono più felici di tanta gente "normale" che vive lavorando, con una famiglia da mantenere ed un lavoro da portare avanti?
Cos'è più semplice, qual'è la giusta formula? Vivere annientandosi tra TARSU, mutuo, bollette, busta paga, figli, doveri di ogni genere, mogli e mariti spesso traditori oppure abbandonare tutto avvilendosi su un'umida panchina per tornare ad essere polvere ancor prima di morire?
Me lo chiedo tutte le sere, sera dopo sera per cinque giorni la settimana. Resterei ore ed ore ad ascoltare le loro storie, le storie dei “senza tetto”.
La risposta ai miei perché non la troverò mai, lo so!
La risposta non seppe darmela neppure lui: il Russo.
Un uomo grande e grosso che nascondeva la lucida testa pelata sotto un berretto con la visiera tenuta di sbieco. Lui ed il suo bastone mi aspettavano sempre la sera, quando tornavo dall’allenamento serale sul lungo mare di Acicastello, non appena finivo di lavorare. “Perchè vivi così” gli chiedevo, mentre gli allungavo qualche moneta della quale facevo volentieri a meno. "Io sono Russo e tu sei brava". Me lo diceva solo per lusingarmi, vedendomi arrivare trafelata.
Tutte le volte la stessa domanda ed ogni volta la stessa risposta, era ormai il nostro rituale.
Con l'arrivo dell'autunno il Russo sgangherato non l'ho più visto, per il resto i volti sporchi e sofferenti degli altri uomini rimangono scolpiti nella mia mente, ormai li vedo ancor prima d'aprire il pesante portone ed ogni volta che li guardo rimango ferma un istante nella speranza che questa loro vita l’abbiano scelta, perché se così non fosse non mi perdonerei il mio andare avanti ad occhi bassi.
Foto di Maurizio Crispi
In alto, "Panchina di notte"
In basso, Panchina di giorno a Palermo