(Maurizio Crispi) Raramente le ciambelle riescono con il buco. Non sempre i progetti che si fanno a compimento: possono esserci postacoli ed impedimenti frapposti sulla via. E bisogna fare buon viso a cattivo a gioco, senza mai incamponirsi nel perseguimento del disegno originario, perchè comunque arriverà qualcosa di buono di una giornata che altri considerebbero fallita oppure potrà verificarsi un effetto "serendipity" conn la scoperta di qualcosa di nuovo.
Dovevo andare sulla spiaggia della Riserva Naturale Orientata di Torre Salsa (AG), ma arrivato all'ingresso del Pantano ho avuto la brutta sorpresa di trovare la strada trasformata in un acquitrino (in piena sintonia con il nome dell'accesso alla parte marina della Riserva che è appunto "Pantano") e la saggezza mi ha spinto a recedere.
Ho tentato altre vie (ci sono altri due ingressi che portano alla RNO di Torre Salsa), ma nessuno dei due consente di raggiungere la parte marina della Riserva.
Che fare?
Andare a Siculiana?
Andare ad Eraclea Minoa?
Alla fine ho deciso di spostarmi al posto più vicino e, cioè, al punto di accesso di Bovo Marina che pur non così isolato come Torre Salsa (perché puoi portare le auto sin quasi a ridosso della spiaggia) possiede tuttavia un suo fascino, sia per la presenza per quei due o tre rustici padiglioni sulle dune che provvedono ad un altrettanto rustico servizio di ristorazione (cui se ne aggiungono altri stagionali), sia per il fatto che, basta spostarsi di poco, e cìè una spiaggia immensa e solitaria ad accoglierti nel suo abbraccio, con pochi "avventori" sparsi a centinaia di metri l'uno dall'altro.
Mi sono incamminato verso sud-est, avvicinandomi così alla lunga spiaggia di Torre Salsa (ma per raggiungerla ci sarebbero volute almeno due ore di cammino).
Ho scarpinato per tre quarti d'ora abbondanti, sentendo la sabbia sottile ed indurita a fomare una sottile crosta crocchiare sotto i piedi.
Piccoli oggetti trascinati dal mare.
Conchiglie ed ossi di seppia.
Una scopettone per il WC.
Un sandalo spaiato con una decorazione finto-floreale fru-fru.
Tronchi e radici calcinati dal sole e corrosi dalla salsedine.
E poi, le dune costiere, costellate di rustiche piante che affondano in profondità il loro apparato radicale per raggiungere la poca acqua di cui hanno bisogno (le cosiddette piante "psammofile").
Ombrelloni che creano qua e là macchie cromatiche che spiccano sul marrone terroso della sabbia.
I ruderi di un'antica torre di guardia più su sul colle retrostante, fitto di una macchia arborea intricatissima.
Le montagne lontane, azzurrine.
E quelle più vicine, di un bianco calcareo abbacinante: ad ovest Capo Bianco, la cui presenza indica i ruderi dell'antica colonia fenicia di Eraclea Minoa, mentre ad Est i contrafforti che delimitano la parte marina della Riserva di Torre Salsa.
La solitudine e il silenzio.
Stranamente non ci sono gabbiani, anche se sulla sabbia se ne vedono abbondanti e fitte tracce.
Un silenzio enorme che, a tratti, diventa assordante, se non fosse per il brusio della risacca che a tratti irrompe con maggiore forza.
La forza della solitudine e nell'essere da soli: ma, nello stesso tempo, nella consapevolezza della solitudine si accresce il desiderio di essere in compagnia e si acuisce il senso della mancanza.
E c'è la voglia di parlare e di raccontare, ma non c'è nessun interlocutore: e, allora, magari ti provi a parlare ad alta voce con te stesso, ma il suono che viene fuori non lo riconosci, la tua voce è arrochita dal lungo silenzio e tu non la riconosci più. Ti sembra quella di un estraneo.
E quindi talvolta è bene essere da soli, perché proprio nella solitudine si ridefinisce il senso dell'essere in compagnia.
E' formativo vivere simili esperienze, anche se in un arco di tempo circoscritto.
Comprendi cosa può significare essere da solo, naufrago in un'isola deserta.
Comprendi perfettamente la solitudine di Ishi e la molla che scattò dentro di lui per condurlo dalle montagne dove aveva vissuto nascondendosi per anni, ultimo superstite della sua tribù alla vale dove numerosi vivevano i Bianchi che alla sua gente avevano rubato le terre e la libertà di viverle nel modo tradizionale.
Mi rintano sotto il mio ombrellino colorato che ho trascinato con me, assieme al mio zaino-guscio di tartaruga, contenente tutto l'essenziale per la mia sopravvivenza ad un giorno di solitudine, pieno delle mie irrinunciabili cose.
Il kit della solitudine, si potrebbe dire.
Poi dopo essere stato sotto quell'ombrellino arancione che spiccava sullo sfondo azzurro del cielo ho rifatto la strada di ritorno, fermandomi per prendere un caffè sul padiglione sulle dune.
L'aria è fresca, malgrado il soffio del vento costante, perché soffia un vento gentile che accarezza più che scuotere. Sulla piattaforma di uno dei padiglioni sulle dune, bevo un caffè, fumo una sigaretta, leggo, scrivo.
Scatto fotografie e osservo.
Noto che, esattamente nella stessa posizione in cui l'ho visto l'anno scorso (eravamo a Settembre), c'è un signore-panzone che se ne sta stravaccato sulla sabbia all'ombra del suo ombrellone mentre la sua signora-panzonina accudisce dei bimbi.
Lascio alla fine la spiaggia, mi metto in auto e riparto. Inizio pigramente il viaggio di ritorno, ma prima faccio un'escursione sino alla Riserva naturale della Foce del Platani e qui, immerso nel'ombra profonda e densa della pineta che si allunga parallelamente alla spiaggia, faccio una breve passeggiata, sentendomi l'ultimo sopravvissuto.
Ed anche qui il silenzio è totale.
Poi, nel crepuscolo, superando l'inquietante selva di pale eoliche, subito nell'entroterra di Sciacca, riprendo la via dell'interno, attraversando campi già falciati, con il fieno pronto per lo stoccaggio e quelli di ordinate geometrie delle vigne irrigue.
Dopo San Giuseppe Iato, proprio all'imbrunire, mi sono fermato per un'ultima sosta e ho dato fondo all'ultimo panino imbottito della mia piccola scorta alimentare e poi, seguendo la parte rimanente della "Via della liberazione", ho completato quel che mi rimaneva della strada sino a casa.
E un altro giorno è andato...