(Maurizio Crispi) Due timidissimi uccellini si sono appena poggiati sulla ringhiera del balcone.
Prima di posarsi si sono tenuti sospesi per qualche secondo con un veloce frullo d'ali, quasi fossero colibrì.
Forse sono stati attratti dalle molliche di pane, residuo dei nostri pasti, che metto nel vaso delle piante fuori.
Ma appena hanno colto il mio impercettibile movimento - pur essendo io dietro i vetri nella stanza - sono volati via.
E' la prima volta che li vedo arrivare.
Prima solo piccioni e al passaggio corvi e gabbiani.
Amo le prime ore del mattino, quando tutti dormono, ed io sono solo con i miei pensieri.
Sono le mie ore di assoluta libertà e di creatività anche, se così si può dire.
Le cose migliori (migliori! ah ah ah) le scrivo al mattino, quando il silenzio è totale e soltanto il corvo fa cra-cra-cra e poi di nuovo ancora, ed ancora.
Ieri ho visto un temibile ragno dell'East End.
Siamo entrati in un anfratto colorato con Gabriel e cercavo di posizionare il suo buggy nel modo migliore per fare una foto con lo sfondo dell'antro con le pareti di mattoni dipinte e cosa non vedo a pochissima distanza dalla gambetta di Gabriel? Un grosso ragno che sta cercando di ricostruire la sua tela strappata e che si agita non poco vedendosi minacciato a breve distanza da qualcosa che per lui è delle dimensioni di un'astronave di una specie aliena di giganti.
Poi, come consuetudine, siamo andati al parco (il King Edward Memorial Park) che ormai è diventato per me una specie di Villa Sperlinga (una Villa Sperlinga della mente). Perchè andare lontano, se si può stare confortevolmente nel posto più vicino? Per esempio, da diversi giorni, penso di saltare sul bus che passa sotto casa nostra e andare con Gabriel sino al Victoria Park. Ma poi non ne faccio niente. Sono solo pensieri velleitari. Mi risolvo sempre per la soluzione più vicina e pù comoda: e, così, anche ieri siamo stati sul prato al limitare tra la zona assolata e quella protetta dall'ombra fitta e scura di un grande albero.
La terra sotto lo strato spelacchiato e sottile di erba rasata era umida e fresca.
I runner lungo l'argine passavano e ripassavano, tutti emuli della signora Massa che passa e ripassa - anche se più smilzi -, altri si fermano e utilizzando le panchine e gli alberi come strumenti ginnici eseguono i più svariati esercizi, animati da un entusiasmo non comune, quasi un sacro furore. Un tempo io ero così, mi agitavo come loro. Adesso sono pigro e statico. Preferisco stare a pensare
A differenza della freschezza che saliva dal prato, il sole, che raggiungeva man mano che si spostava porzioni più grandi della mia pelle, era intollerabilmente caldo. Fresco sotto, caldo sopra. Caldofreddo. Vorrei mangiare il gelato caldofreddo, però: quel gelato che merge dalle brume della memoria. Una volta un mio amico mi portò in un piccolo ristorante subito sopra Monreale. Mi disse: "Ti porto a mangiare una cosa speciale...". E appena arrivati ordino perme e lui,come se fosse un veccho cliente, un gelato caldofreddo che altro non era se non un gelato messo nel forno con un crosta di cioccolato sopra fino a che lo strato di cioccolata non si fondeva. Era squisito! Ci tornammo soltanto due o tre volte: quanto bastç per far sì che questo ricordo si ancorasse saldamente nella mia memoria.
Gabriel ha giocato a salire e a scendere su di me, ad attraversarmi da un lato all'altro, come se fossi una montagna sfidante da superare.
I giochi non lo interessano molto, quelli intesi come tali: li snobba o dopo pochi minuti li tralascia; gli interessa esplorare, andando alla ricerca di piccole cose, attratto da un ramoscello o da una foglia, oppure dal contenuto della mia mia borsa a tascapane a cui punta sempre. Più gli viene impedito di raggiungere un oggetto, più lo vuole.
Cosa diventerà questo bambino da grande, visto che ora possiede già questa determinazione così forte e una memoria che fa sì che non demorda mai nei suoi progetti e che, non appena la strada si spiana, si getti con decisione e tenacia nell'impresa per cogliere l'occasione?
Aprire un cassetto oppure l'anta dell'armadio. Tirare fuori dallo stipetto tutto il pentolame, allungare le mani ed acciuffare i libri, benchè abbia molti libri adatti a lui, di quelli con le pagine grosse ed indistruttibili. Cercare di arrivare con le mani dove ancora non può arrivare con lo sguardo e vedere cosa gli capita tra le mani.
Gli addetti ai lavori, lo chiamano l'impulso "epistemofilico" dei bambini come forte espressione (sublimata) di esplorare il corpo della mamma, se non addirittura potersi infilare al suo interno, reinfetandosi. Ma senza ricorrere ai paroloni specialistici, è espressione del desiderio di esplorazione e, in nuce, di avventura. E quindi tanta energia se ne va a stare appresso a lui, a frapporre ostacoli, a rimediare, a mettere ordine. Ma naturalmente lui trova sempre altre vie ed altri percorsi. E' arguto! E non si arrende facilmente! Ed è tenero in questo: è come se volesse abbracciare il mondo intero e prendere in questo abbraccio molte più cose di quelle che può materialmente tenere tra le sue braccine.
Barriere ed ostacoli: è ovvio che occorra porne. Mi chiedo tuttavia, sino a che punto sia giusto farlo.
Siamo stati per un bel po', e poi siamo andati.
A volte mi sento muto e senza parole, nella condizione di uno che, non potendo comunicare con nessuno, è condannato ad una forma di invisibilità sociale.
Mi immmergo nei pensieri, a volte, chiedendomi se io a poco a poco non stia diventando un fantasma, un'ombra evanescente nella memoria di quanti mi hanno conosciuto, un'ombra che comunica soltanto attraverso l'etere e con strumenti virtuali, lanciando messaggi nella bottiglia che sovente rimangono senza risposta, ed instancabilmente continuando a lanciarne di nuovi.
Ciò che conta, in definitiva, è la traccia che si lascia del proprio passaggio, come l astriscia traslucida lasciata dalla lumaca al suo passaggio: nessuno l'ha vista passare epppure al mattino si può vedere quella striscia di bava argentata che segna in modo indelebile sino alla prossima pioggia il suo passaggio e poi più niente.
E intanto con un concerto di pigolii gli uccelletti sono tornati alla carica alla ricerca delle molliche.
Adesso sono addirittura in tre ad essersi dati convegno. Cinguettano e parlano tra loro.
Ma sono timidissimi, per un nonnulla scappano via: e, così, nemmeno con loro posso intrattenrmi in conversazione.
Ma è come se lo avessi fatto.
I pensieri sono come le nuvole, vanno e vengono, quelli di un momento fa sono superati da altri e così via e ogni nuvola porta con se delle sorprese - belle o brutte - ma sempre sorprese; ogni nuvola è la fotografia irripetibile di un singolo momento. Ma anche: questi pensieri che sono come le nuvole, sono come i sogni, che arrivano, durano un attimo e poi si dissolvono e, se non li trascrivi, sono perduti per sempre...