Pochi giorni fa (il 13 marzo 2013, per l'esattezza) ho fatto un viaggetto sino a Catania per accompagnare mio fratello che lì doveva essere presente ad un incontro "istituzionale". La giornata non era per niente buona, nello svilupparsi di un generale peggioramento dellle condizioni meteo. Abbiamo affrontato il viaggio in auto, sfidando il vento (soprattutto all'andata) e la pioggia intensisima (al ritorno).
Mentre mio fratello era occupato nelle sue faccende, io sono andato in giro: e ho scoperto, avviandomi nella mia consueta passeggiata alla scoperta dei luoghi, che la sede della Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) è proprio a due passi dalla centralissima via Etnea.
Pur con qualche inconveniente legato alla pioggia, ho fatto il turista, rendendomi conto che, all'infuori di una mia partecipazione ad una maratona alcuni anni fa, non mi era mai caputato di camminare e curiosare per le vie del capoluogo etneo.
L'arrivo a Catania è stato caratterizzato da un'atmosfera cupa ed umida.
Le scure pietre laviche di cui sono fatti molti edifici paiono ancora più scure...
Il passaggio dalle periferie di Catania offre l'idea di una Casbah o di una città mercantile, alquanto di frontiera, tanto è imponente la presenza di extracomunitari, provenienti dall'Africa profonda.
Poi, man mano che ci si avvicina al centro, si fa predominante l'aspetto d'una grande città dalle grandi vie monumentali con selciato di pietra, a partire dalla stupefacente Via Etnea che taglia perpendicolarmente la metropoli dalle antiche mura su verso le pendici del Vulcano che domina la città.
Qua, verso il centro, nel cuore pulsante dell'operosa metropoli, l'atmosfera è visibilmente più tranquilla e meno caotica...
Via Etnea ha due anime in verità.
La sua parte bassa è tranquilla e consacrata esclusivamente al traffico pedonale: Ed è anche la zona delle grandi chiese, a partire dal Duomo e dei grandi palazzi dell'aristocrazia di un tempo e del potere.
Grandi piazze lastricate di pietra si succedono, piazze dalle dimensioni spettacolari e di impianto tardo settecentesco o dei primi anni dell'Ottocento, realizzate in uno spettacolare ridimensionamento urbanistico di cui ha fatto le spese un reticolo di strade preesistenti, mentre altri edifici - ma di minore pregio - sono stati abbattuti (come, per esempio, accadde a Palermo all'epoca della costruzione del Teatro Massimo o dello sventramento della città vecchia per fare spazio alla più moderna via Roma)... I pedoni che le attraversano, individui isolati oppure numerose scolaresche in visita, sembrano nel confronto con le dimensioni della sfarzosa scenografia urbanistica, esili figurette insignificanti, per quanto colorate e in risalto sullo sfondo fatto di neri e di grigi severi.
Anche qui, frammischiati con la folla di passanti, vi sono extracomunitari e mendicanti, in un miscuglio da corte dei miracoli.
Ma la loro presenza è più discreta e, in qualche caso, quasi utilitaristica: pensiamo ad esempio ai venditori di mono-articoli, molto presenti ed attivi, come nelle città dell'Estremo Oriente frequentate da turisti occidentali.
Il venditore di mono-articoli ha una ricca varietà di merci stivate da qualche parte (ma, il più delle volte, per esigenze connesse alla logistica del suo lavoro, in un luogo facilmente raggiungibile) e, a seconda delle circostanze, si ricicla come venditore di un articolo piuttosto che d'un altro.
Essendo quella della mia visita una giornata piuttosto piovosa, l'offerta di questi venditori era quella degli ombrelli (pieghevoli, telescopici e quant'altro).
Magari gli stessi venditori, in un'altra circostanza (per esempio in condizioni di caldo e sole piuttosto forte), si improvviseranno imbonitori di altre mercanzie, come - ad esempio - cappellini con la visiera ed occhiali da soli.
L'unico inconveniente è che sembrano essere così tanti e che sembrano intralciarsi l'uno con l'altro.
Ciò potrebbe essere tuttavia a favore degli eventuali compratori, perché darebbe ampio spazio al mercanteggiamento sul prezzo. Camminando e camminando si arriva alla scenografico duomo sormontato da statue barocche tra ci l'effige di Sant'Agata, santa protettrice di Catania: un simbolo religioso che è contrastato, quasi al centro della grande piazza, da un simbolo "laico", sentito dai catanesi come potente oggetto di identificazione, che è il famoso "liotru" (cioè l'elefante, scolpito dalla scura roccia lavica che sulla sua schiena sorregge un grande obelisco di marmo bianco.
Cosa sarebbe Catania senza Sant'Agata a proteggerla dall'alto dei cieli e senza u liotru simbolo terreno di forza, ma anche ricco di implicazioni metafisiche?
La parte superiore di Via Etnea, invece, perde quello smalto della grande città di levatura europea e si fa più popolare.
In più, non essendo chiusa al traffico automobilistica, è davvero caotica e costantemente intasata di autoveicoli che camminano al passo e che inquinano con i gas di scarico, in un'intollerabile sinfonia di clacson selvaggi.
Alla fine, subito dopo aver superato il duomo e "u liotru", là dove attraverso una porta cittadina si sbuca dall'altro lato della possente cortina muraria di un tempo, si ammassano i venditori di souvenir, tra i quali spiccano i pupi del Teatro delle Marionette che, qui a Catania, hanno delle caratteristiche costruttive e morfologiche leggermente diverse dai "pupi" del Palermitano.
Alla fine della passeggiata, quando ha cominciato ad imperversare una pioggia piuttosto fredda e stizzosa, mi sono riparato da "Prestipino", lungo via Etnea e qui ho ordinato un aperitivo.
La sosta e il sentirmi in sintonia con il resto del mondo e, nello stesso tempo, in comunicazione con un mio ospite segreto, vitale e ricca di colpi di scena mi hanno rinfrancato.
Poi, è arrivato il tempo di rimettersi in marcia per fare ritorno a casa.
Ho ripercorso all'incontrario le stesse vie: i mendicanti erano ancora al loro posto, come anche i venditori di ombrelli, alacremente intenti a proprorre la loro mercanzia e ad intessere trattative, anche se uno si era accomodato su di un gradino per una rilassante (ma, al tempo stesso, inquieta) pausa-sigaretta.
Su di un muro campeggiava un graffito che fa "Ammiria mancia l'occhi"". Ammiria è parola catanese (a Palermo si pronuncia e si scrive in maniera leggermente diverse) che va detta con l'accento retratto sulla "a" e significa invidia: quindi il significata della apoditticva affermazione è "L'invidia mangia gli occhi".
I graffiti metropolitani in fondo servono anche questo: ci ammoniscono, ci ammaniscono pillole di sapienza popolare e ci invitano alla riflessione.
E, in questo senso, hanno una funzione sociale ed esprimono una voce genuina che dice il più delle volte la verità o delle verità scomode.
Ed un altro giorno è andato.
Uno in più ed uno in meno, al tempo stesso.