Il libro di Renfield, dal sottotitolo “La vera storia del discepolo di Dracula” (in inglese, The book of Renfield: a Gospel of Dracula) di Tim Lucas, affermato critico cinematografico statunitense, arricchisce indubbiamente il catalogo della casa editrice Gargoyle e offre agli appassionati delle infinite narrazioni scaturite dalla penna di Bram Stoker, una preziosa ed inedita storia che, per alcuni versi, si propone - senza dichiararsi tale - come un “prequel” di Dracula. Lì, Renfield era un carattere "minore", eppure emblematico ed inquietante, ma anche un'avanguardia del Male, un "apripista" della venuta del Conte Dracula in Inghilterra e un fedele servitore. Ricoverato - a causa delle sue stranezze - nel manicomio di Carfax, diretto da Jack (John) Seward, i "compagni" del manipolo di avversari del capostipite di tutti i vampiri letterari, lo attenzionano presto, comprendendo che le sue visioni e la sua incoercibile tendenza alla zoofagia, non sono semplicemente espressione d'una psicopatologia delirante, ma segnali dell'arrivo imminente dell'oscuro signore a cui s'è convertito. Poi, precocemente, Renfield esce di scena, quando Dracula s'installa, con il sue corredo di casse di legno piene di terra transilvana, all'interno delle rovine dell'antica abbazia diruta, situata proprio accanto al manicomio Renfield era ricoverato.
Renfield è un discepolo di Dracula (che è, in fondo, un’incarnazione dell’Oscuro Signore) e da questi abbagliato da promesse di immortalità, si è convertito al suo Verbo. Ma alle lusinghe da cui è stato catturato non seguirà nulla: gli toccherà morire, non senza che prima Van Helsing e i suoi collaboratori abbiano compreso il suo ruolo cruciale, e senza alcuna redenzione.
Il libro di Renfield ci racconta tutto quello che "Dracula" non ci dice su di lui. Anzi, propone un paradossale rovesciamento di prospettiva: la "vera" storia è quella raccontata ora, frutto della trascrizione fedele dei diari di Seward, così come lo erano state le registrazioni scritte predisposte dagli altri protagonisti della storia che si erano affidati a Bram Stoker solo per avere un racconto edulcorato e fruibile al grande pubblico, espungendo tutti quei dettagli che avrebbero potuto ingenerare allarme e, soprattutto, relegando la storia ad un ambito fantastico e di fiction. L'opera di Lucas appare, a tutti gli effetti, come uno "pseudo-biblion": a distanza di quasi 40 anni, il dottore Jack Seward, psichiatra e direttore del Manicomio di Carfax, decide di rivedere tutti i suoi appunti (alcuni dei quali registrati, con tecnologia - per quei tempi all'avanguardia, con dittafono), a trascriverne alcune parti ancora mancanti e a prepararli per la stampa, aggiungendo alle trascrizioni dei colloqui con Renfield dei suoi commentari.
Alla pubblicazione a stampa, provvederà il suo bis-nipote, Martin Seward, dopo il fatidico 11 settembre e l’attacco alle Twin Towers.
In questo percorso si indovinano, dunque, alcune date cruciali.
La premessa a firma di Jack Seward è datata 1939 e corrisponde all’intenso lavoro di revisione compiuto dallo stesso Seward sui suoi appunti e sulle sue registrazioni cliniche relative al “caso” Renfield, mentre quella del bis-nipote Martin viene elaborata qualche tempo dopo la tragedia delle Twin Towers.
Perché queste date-snodo?
Probabilmente perché l'autore (Tim Lucas), attraverso le parole del fittizio Martin Seward, ravvisa in Dracula una grande metafora del Male.
Jack Seward si decide a sciogliere la riservatezza sui suoi appunti integrali alla vigilia della 2^ guerra mondiale, intravedendo un fosco futuro per l'umanità e per l'Inghilterra, ma non riesce nel suo intento di procedere alla pubblicazione, anche perché gli eredi di Bram Stoker minacciano azioni legali e considererebbero il disvelamento come uno scoop mendace e lesivo dei diritti d'autore.
Riesce nell'intento Martin, dopo le torri gemelli, mettendo a mano ad un ulteriore revisione del diario del bisavolo e licenziandolo alle stampe nel 2004..
Dracula è divenuto un personaggio letterario, protagonista di serial cinematografici e TV, fenomeno cult tra gli adolescenti (con le nuove interpretazioni degli epigoni del vampiro che, in fondo, sono "buoniste", umanizzanti e, nel complesso, rassicuranti, tali da indurre un abbassamento della guardia) e tutto ciò ha fatto perdere il senso del pericolo incombente e della minaccia che il vampiro continua a rappresentare per l’Umanità intera come incarnazione del male.
Secondo Martin Seward, dopo il disastro delle Torri Gemelle, occorre dare un segnale e solo la pubblicizzazione della "vera" storia può servire ad alzare il livello di guardia nei riguardi degli assalti del Male, sempre rinnovati, attraverso il reclutamento di adepti fanatici che spianano la strada della sua venuta.
In questo senso Renfield rappresenta il prototipo del fanatico fondamentalista che si converte alla causa predicata dal suo Maestro con tutto se stesso, anima e corpo.
Così afferma, infatti, Martin Seward nella post-fazione all’opera diaristica e clinica scritta dal suo bisavolo:
È vitale che Dracula non sia ricordato come il pallido nobiluomo romantico interpretato da Frank Langella o da Gary Oldman, vestito come un capocameriere e che fa svenire le donne parlandogli di amore eterno. Dracula non fu un Elvis ribelle con un mantello in pelle nera: fu una piaga per l’umanità, e venne ucciso una volta per tutte dal mio antenato e dai suoi più cari amici. È morto, sì, anche se le brame che gli diedero vita ancora sopravvivono: la sete di sangue e di potere, il bisogno di conquistare il mondo, la morte e la distruzione, l’orrore e l’Apocalisse. Anche Renfield vive ancora, nelle legioni di fanatici religiosi e politici che credono di poter sopravvivere all’Apocalisse, aiutandola a manifestarsi e rimanendo quanto più vicino è possibile all’epicentro… solo per scoprire che proprio loro saranno i primi a soccombere alla sua furia (ib., p.294).
In questo senso, se Dracula diventa un’icona universale del male, capace di sedurre e di conquistare con arti sottili le sue vittime, entrando nella loro mente, prima ancora che succhiandone il sangue, Renfield viene ad assumere il ruolo altrettanto cruciale del fanatico neo-reclutato dal cui cieco entusiasmo dipende la forza del padrone che lo ha abbindolato e che lo usa per i suoi fini, ma che è pronto cinicamente a giocarselo quando non gli sarà più utile.
E’ anche chiaro che Martin Seward sia semplicemente un avatar dello stesso Tim Lucas che con le parole citate – e, in verità, in tutta la postfazione, ricca di riferimenti al crollo delle Torri Gemelle – mette nero su bianco con forza ed evidenza il suo pensiero sulla natura del Male e sui modi possibili per combatterlo, avvertendo che con esso non bisogna in alcun modo giocare né che si debba edulcorarlo, poiché l’“ammorbidimento” delle sue rappresentazioni mediatiche apre inevitabilmente la strada all’acquiescenza e al rischio di esserne sedotti.
E, d’altra parte, non a caso, in un recente romanzo di John Marks, un cattivissimo e crudele vampiro transilvano (nei panni di Ion Torgu, un criminale rumeno ricercato da molte polizie dei paesi dell’Est) cerca di sbarcare negli Stati Uniti, proprio attraverso i media (John Marks, West side Transilvania, Edizioni e/o, 2010). Nel romanzo, Evangeline Harker (come il Jonathan della narrazione di Stoker), produttore associato di una prestigiosa trasmissione televisiva, si reca in Romania per stabilire i contatti con questo Ian Torgu e ne è fatta prigioniera, mentre con l’inganno il suo sequestratore-vampiro cerca di sbarcare negli Stati Uniti, utilizzando come leva irresistibile l’attenzione che i media potrebbero riservargli. E questo vampiro non ha nulla a che vedere con i vampiri “buoni” delle saghe più recenti: è un nemico temibile che avanza con il favore di servitori che gli spianano il terreno.
Il testo di Lucas offre, naturalmente, molti altri punti d’interesse e soprattutto il fatto che si presenta come un avvincente caso clinico, che viene studiato da Jack Seward con metodica positivista, nel tentativo di comprendere le ragioni di un delirio accompagnato da comportamenti bizzarri e di offrine – per così dire – un’epigenesi, alla luce delle prime esperienze precoci del suo paziente.
In questo, riflette un momento cruciale nella nascita della moderna psichiatria, tra le esperienze-teatro della grande isteria studiata da Charcot alla Salpétrière di Parigi sino all’emergere dei grandi clinici di inizio Novecento (Krapaelin) o dei fondatori della diverse forme di approccio psicoterapeutico, a partire dai primi passi della psicoanalisi, (Freud, Jung, Binswanger), ricordando che una parte della grande clinica psichiatrica si invischiò presto, sull’onda dello scientismo, in un furore classificatorio e descrittivo che portò molti grandi clinici dell’epoca ad una vera e propria corsa verso l’identificazione di nuove ed insolite sindromi da battezzare – eventualmente – con il proprio nome.
Di questa tendenza della clinica psichiatrica a cavallo tra Ottocento e Novecento, possiamo menzionare il singolare caso della “dromomania” letteralmente inventata da un medico francese di Bordeaux (di cui riferisce Ian Hacking, nel suo I viaggiatori folli. Lo strano caso di Albert Dadas) oppure il fenomeno altrettanto eclatante - nel nostro secolo - dell’esplodere della clinica psichiatrica in rivoli e rivoletti di diagnosi da “repertorio” (vedi le continue edizioni e i periodici rimaneggiamenti del DSM, il più famoso repertorio statistico e diagnostico dei disturbi psichiatrici di marca nord-americana che ha colonizzato l’Europa), in funzione della possibilità di creare delle Associazioni scientifiche che si occupino di specifiche – ed insolite - sindromi e di una migliore definizione dei criteri diagnostici da utilizzare con l’applicazione e l’affinamento – ovviamente - di terapie farmacologiche mirate e, il più delle volte, costose (il che significa importanti sponsorizzazioni da parte delle case farmaceutiche).
Jack Seward, nell’accostarsi allo studio di Renfield visto come “caso” clinico singolare non si risparmia nulla, esaminando in maniera minuziosa tutti i suoi comportamenti e le sue idiosincrasie, non limitandosi soltanto a stendere un repertorio dei più grossolani fenomeni psicopatologici che egli manifesta. E, nel fare ciò, con pazienza e dedizione, utilizza le strumentazioni più moderne e all’avanguardia – per quel tempo. Come, ad esempio, la tecnica di registrazione stenografica, per captare nella loro interezza i colloqui psichiatrici e le narrazioni di Renfield, oppure la registrazione manuale stenografica.
La costruzione del “caso” Reinfield si allinea così con i più celebri casi clinici, tramandati sino a noi dai grandi psichiatri che si considerano i capostipiti della psichiatria attuale e “inventori” del caso clinico, come descrizione “scientifica”, non esente da qualità e artifici narrativi, in primis Freud Jung o Binswanger: come nel procedere di Freud che, all’esposizione del caso clinico faceva seguire un’epicrisi con i suoi commenti e le sue deduzioni e arricchimenti dell’impianto teorico già da lui messo a punto, anche nell’esposizione della “vera” storia di Renfield, le trascrizioni delle “confessioni” di Renfield e le accuratissime descrizioni dei suoi comportamenti bizzarri (confluenti in una sorta di esame “psichico” che - nella psichiatria - è l’equivalente dell’esame obiettivo dell’ammalato nella Medicina generale, internistica o chirurgica), si affiancano ai commentari di Seward, alle sue considerazioni personali, ai suoi interrogativi, in un procedere in cui alle misure coercitive della vecchia psichiatria (la cella spoglia, la camera di contenimento per le gravi ed intense bouffée di agitazione psicomotoria, la contenzione con camicia di forza) si alternano forme di approccio “gentile”, fondate sulla comprensione e sull’empatia.
L’attualità sta anche nel fatto che Seward è un uomo del suo tempo che, sofferente di vicissitudini personali non sempre liete, travasa – a volte – questo suo malessere nella pratica clinica, proiettando su Renfield i suoi stessi turbamenti – se non psichici – quanto meno esistenziali. E, si sa che, per quanto si dica o ci si richiami ad una presunzione di puro scientismo nell’approccio alla malattia mentale, lo sguardo clinico dello psichiatra non può mai essere oggettivo al 100%, ma risente indubbiamente degli occhialacci di legno della sua personale prospettiva inquinata da emozioni, sentimenti e dalla pressione di fatti privati che si infiltrano nella relazione con l’altro da sé-paziente, portandolo ad essere – per questo – un guaritore “ferito”, non immune da contaminazioni e da comportamenti devianti (emblematica in questo senso, passando ad un altro tema della letteratura noir, il caso di Hannibal Lecter, psichiatra e serial killer).
L’approfondimento clinico va avanti sino a quando Seward – con il conforto e il supporto di Van Helsing e degli altri, ma anche per il sopraggiungere di fatti nuovi ed inequivocabili – comincia a rendersi conto che dietro il delirio di Renfield c’è forse qualcos’altro che attiene ad un altro livello di conoscenza, ad altre realtà, ad altri mondi e lasciare campo al sospetto che Renfield sia un grande manipolatore e, forse, un veicolo di un’altra entità che lo possiede e lo utilizza per i suoi fini, rivelando la sua vera natura di “guardiano sulla soglia tra la follia e il male”.
Di questa specifica fascinazione di Reinfield, oscillante tra caso psichiatrico e portatore del Verbo di Dracula, imprigionato nel suo corpo (ma anche nella cella manicomiale o costretto nei legacci della camicia di forza o incatenato al muro) e desideroso di raggiungere con le sue visioni un luogo altro, dà ampio risalto Alessandro Defilippi, nella nota finale che correda il volume, dal titolo “La follia e il corpo: le maschere di Renfield” nel cui contesto viene sviluppato - quasi paradossalmente - il tema della “redenzione”.
"...paradossalmente, "Il libro di Renfield" è anche un romanzo (o meglio, come abbiamo visto, un metaromanzo) sulla redenzione. E' simbolica la prigionia di Renfield, prigionia quasi indifferente per lui, abituato a rigori assai più severi, come quelli della sua vita e del suo corpo. E' sempre il corpo, infatti, la sua vera reclusione che Renfield cerca duii superare nella fantasia di divenire un non-morto, di sfuggire quindi alla sua caducità, di farsi, in qualche misura, spirito, indipendente dalla carne se non come nutrimento." (Defilippi, p.306)
Dal risguardo di copertina
Uno dei personaggi più misteriosi e inquietanti del "Dracula" di Bram Stoker è senza dubbio Renfield, il pazzo zoofago rinchiuso nel manicomio di Carfax: da lui ha addirittura mutuato il nome una sindrome patologica caratterizzata da un quadro psicologico disturbato che scatena nel malato l'impulso irrefrenabile all'assunzione orale di sangue. Se la figura di Dracula è stata vista da alcuni studiosi come l'immagine specularmente rovesciata di Gesù Cristo, analogamente Renfield è stato sovente indicato come il Giovanni Battista di Dracula, colui che ne prepara la venuta e ne annuncia il tenebroso messaggio... Ma cosa si nasconde dietro la maschera del folle? Chi è realmente Renfield e cosa ha scatenato la sua follia? La risposta è in questa sorta di "spin-off" del romanzo di Stoker, che scava nella psiche del personaggio Renfield utilizzando lo stesso racconto reso da questi al dottor Jack Seward. Un modo per affrontare con un taglio diverso uno dei capolavori indiscussi delta letteratura horror, colmandone i vuoti narrativi e alimentandone il mito senza mai attentare all'integrità del testo originale.
Nota bio-bibliografica sull’autore
Nato a Cincinnati (Ohio) nel 1956, Tim Lucas è un affermato critico cinematografico, curatore della pluripremiata rivista Video Watchdog, attiva da oltre venti anni.
Oltre a varie attivita' come sceneggiatore, biografo e poeta, Lucas è autore di Mario Bava: All the Colors of the Dark (2007), considerato il saggio più approfondito ed esaustivo sul cinema del grande Maestro italiano dell’horror, premiato con L’International Horror Guild Award.
Il libro di Renfield e' il suo secondo romanzo dopo Throat Sprockets (1994), ispirato a una graphic novel.