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Fu questo viaggio improvviso e alla ricerca di un senso di benessere (o forse la fuga dal malessere), tra il 28 marzo 1989 (il martedì dopo il Lunedì dell'Angelo) e il successivo 1° aprile, con l'idea di andarmene a Levanzo (la mia isola preferita di quegli anni) "via dalla pazza folla", in un periodo in cui sicuramente non avrei trovato affollamento vacanziero.
Come sempre facevo (e faccio tuttora) avevo con me la mia fedele attrezzatura fotografica ed anche una macchinetta polaroid, molto divertente da adoperare e che consentiva di avere foto immediate in un tempo in cui la fotografia analogica richiedeva tempi e attese (durante i quali le foto fatte si potevano pregustare solo nell’immaginazione).
Mi portai appresso persino la canoa, in modo da poter fare, oltre alle passeggiate instancabili e ai miei allenamenti di corsa, poiché quello fu anche l'anno in cui decisi di andare a correre la mia prima maratona (a New York), anche delle escursioni in canoa lungo la costa dell'isola. Furono giorni di solitudine e di pensieri che mi arrovellavano.
Fuggivo, in verità, dalla mia depressione e cercavo soluzioni interiori senza però trovarne. Come dice Orazio in una delle sue satire, rivolgendosi all'amico tormentato da pene d'amore, è inutile spostarsi in un altro luogo pensando che il cambiamento d'aria e di latitudine possa giovare, poiché il tuo dolore si sposterà con te.
Ero cieco e sordo a tutto in quei giorni e sentivo di avere il cuore straziato e sofferente.
Ricordo che una delle letture che mi portai appresso fu un grosso volume sui medici nazisti (una lettura non certo rallegrante) che lessi avidamente sino alla fine.
Avevo con me altri libri, ma di quelli i titoli non li ricordo (forse si trattava di letture “più leggere”, ma non ho memoria).
Andai bene attrezzato di walkman e delle molte musicassette dove avevo registrato la musica che in quei mesi avevo imparato a preferire.
Correvo, passeggiavo, andavo in canoa, una serie di attività frenetiche ed ardite. Con la canoa, soprattutto, feci delle cose ardite ed imprudenti, come ad esempio spingermi a fare l'intero giro dell'isola, mettendo tra parentesi il rischio implicito (pur sempre possibile) del guastarsi del mare e del capovolgersi del fragile guscio della mia imbarcazione (se ciò fosse accaduto sarebbero stati guai, perché con quella canoa, risalire dall'acqua non si poteva e il tratto di costa esposto ad ovest era impervio e poco praticato dalle imbarcazioni locali.
Ma anche dedicavo molto tempo a scrivere nella mia agenda e a leggere.
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(on the road, 28 marzo 1989)
Viaggio magico
all'alba
Nastro d'asfalto
corre sotto le ruote
Velocità
La luna alta nel cielo,
una metà perfetta
illumina di una luce quieta
la campagna punteggiata di fioche luci palpitanti,
sparse e remote
Stelle brillano ancora nel cielo,
immote
Ecco che a Oriente,
alle mie spalle
balugina il primo chiarore
d'un nuovo giro
Il miracolo del nuovo giorno che risorge,
si ripete
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(Levanzo, 29 marzo 1989)
Due gabbiani
si rincorrono
con volteggi arditi,
cabrate e picchiate
Il cielo è di un incredibile azzurro,
senza una sola nuvola,
senza nemmeno la traccia d'una scia
L'aria è ferma
Il sole picchia
ma senza far sentire il suo calore
sulla pelle
Forse ancora l'ora è giovane
Poi, più tardi,
si è levata la brezza
con un soffio che penetra nelle ossa
I gabbiani continuano le loro evoluzioni
con strida continue e laceranti
e salgono più su, più su,
oltre la cima della montagna
e, per certo, con il loro occhio vagante
possono scrutare la distesa di mare
al di là
poi, d'improvviso,
i due gabbiani,
forse stanchi di ascendere e di osare,
prendono a scivolare d'ala,
paralleli, in perfetta formazione
come due cacciabombardieri
guidati da mani esperte,
quasi si toccano,
pur tenendo la distanza
Scendono
Scendono,
sin quasi alla superficie del mare,
luminosa e mossa
Poi, con un colpo d'ala,
s'impennano di nuovo verso il cielo
Mi chiedo se questo non sia,
dei due gabbiani in coppia,
una sorta di volo nuziale,
oppure semplicemente un inno alla gioia
Non saprei dire
Mentre rimugino su questa domanda
i due si separano
e i loro voli prendono
inattese direzioni divergenti,
mentre compare d'improvviso
un terzo gabbiano,
prima fuori dalla vista,
con intenti predatori
o di prevaricazione
(così mi mi pare)
Uno dei due due gabbiani felici di prima
si allontana solitario e si perde nel blu
La nuova coppia
che s'è appena formata
riprende quota
e ricomincia i giochi aerei
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(Levanzo, 30 aprile 1989)
Il segreto del walkman è quello di questa musica magica
che ti penetra nelle orecchie e nella testa,
inondando la mente
Si viene a creare una sorta di dissociazione percettiva
tra ciò che vedono gli occhi
e ciò che arriva attraverso il canale uditivo
Le percezioni uditive non sono più supportate e arricchite
dal canovaccio di uno sfondo sonoro variegato
(fatto di voci, suoni, i rumori più diversi e casuali)
Le percezioni visuali
vengono ad essere in un certo qual modo
de-affettivizzate
E' come vedere le cose che accadono
o che entrano nel proprio campo percettivo
e sentirsene distaccato
perché al tempo stesso attraverso gli auricolari
hai questa musica che ti entra nelle orecchie
e ti fa sentire distante da ciò che vedi,
non coinvolto
In fondo, è come vedere un film
supportato da una bella colonna sonora
Sai, in questo caso, che ciò che vedi
è soltanto una finzione
Nel film qualcuno potrebbe essere ucciso
o torturato
o picchiato
e a te non importerebbe granchè
poichè hai quella bella musica nelle orecchio
che fa da filtro e stravolge del tutto
il percetto visuale
In fondo il Walkman
[come tutte le tecnologie successive]rientra perfettamente
nel tema generale della ricerca di un oggetto-droga
che consenta di frapporre un filtro rispetto alla realtà,
oppure di sentirsi distanziato dalla realtà degli altri
Ciò che vediamo diventa soltanto uno scenario,
nel quale non siamo più coinvolti
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Il cielo sopra di noi
Una traccia bianca
distante
attraversa il cielo azzurro
(un azzurro tanto intenso che fa male agli occhi
e lacera il cuore)
Una mano invisibile traccia
una sottile stria bianca
che dopo un po' si sfalda e si perde
La sicurezza spavalda e perentoria di quella linea
si annulla,
rivelando la sua effimera natura
Lassù in alto una vita palpita
ai comandi della volta celeste
e delle sfere sublimi
Gli uomini se ne stanno in basso,
minuti come formicole,
annichiliti di fronte all'immensità
e a loro è dato solo
volgere gli occhi al cielo,
con sguardo carico di nostalgia
(Palermo, 14 marzo 1989, rielaborata)
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Un'immagine della fine
Colate nere,
come di inchiostro,
scendono giù dal cielo
e si spandono in basso,
cancellando a poco a poco
il mondo degli uomini
che si stravolge,
mentre perde i suoi dettagli e le sue varietà,
appiattendosi alla bidimensionalità,
come una foto che si va cancellando
dalla periferia verso il suo centro
ma anche da altri punti di nulla
scaturenti dal suo interno
Ecco quello che succede,
mentre io osservo
pieno di meraviglia, ma anche di orrore,
perché son certo che presto
tutto quel nero
attraverso i miei occhi
entrerà nella mia mente,
tutto annullando,
cancellando irrevocabilmente
memoria e pensieri,
emozioni e desiderio,
sino a che anche il cuore
annerito e divorato
cesserà di battere
Passano le ore
Passano i giorni
Passano le settimane e i mesi
Passano gli anni, i lustri e le decadi
E questa processione procede sempre più veloce
sino ad avere il ritmo frenetico di un tornado
Poi,
senza che nemmeno ci si accorga,
la fine è giunta
(testo originario del 21 marzo 1989, rielaborato)
Levanzo 1989 - foto di Maurizio Crispi
Ho riflettuto a lungo su quanto sia sottile il confine tra la vita e la morte
Si può arrivare alla morte dopo una lunga malattia e con molta sofferenza
Si può morire per un trauma violento ed improvviso e, in tal caso, forse, non si avrà neppure la consapevolezza del trapasso
Oppure, il morire potrebbe consistere in un lento scivolamento, dolce e senza scosse, in cui l'atto finale - quello del transito (o, come dicono gli Inglesi, del "passing over") avviene insensibilmente, come se si fosse presi dal sonno e poi si entrasse in uno stato di incoscienza e di oblio (un dormire dal quale non ci sarà più risveglio, oppure forse sì, se si crede ad una vita possibile dell'anima dopo la morte)
Come accade con il sonno fisiologico, quando si chiudono gli occhi aspettando fiduciosi di essere ghermiti da Morfeo, così potrebbe accadere per il sonno definitivo e senza risveglio della Morte
Forse, in quest'ultima evenienza, il morire non dovrebbe essere una cosa così angosciante e terrificante (cosa a cui invece pensavo molto da ragazzo): il morire come strenua lotta, come battaglia, come agone...
La morte dolce e lenta è, in un certo senso, quella dei filosofi: una consapevole e desiderata transizione nel Mistero per andare a vedere cosa vi sia dall’altra parte
(Palermo, il 25 Marzo 1989)
Foto Polaroid, Primavera 1989
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