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8 giugno 2022 3 08 /06 /giugno /2022 09:45

Scritto nel 2018 e rimasto come bozza, lo lancio adesso, poichè conserva una sua piena attualità.

Foto di Rodion Kutsaev, da Unsplash

E' ormai osservazione comune il fatto che la maggior parte delle persone, di ogni età (e, ovviamente, soprattutto i giovani) siano costantemente connessi alla rete (wired, si potrebbe dire con un anglicismo). La rivoluzione, iniziata con la telefonia mobile e con l'ampia diffusione dei PC e della relativa connessione ad internet, è giunta al suo culmine con l'avvento degli smartphones, dei tablet, delle smartTV di ultima generazione.

Dovunque si vada, osservando le persone muoversi a piedi, in auto, sui mezzi pubblici, in attesa da qualche parte, sulle panchine, nei bar, al ristorante, al supermercato, si può vedere che lo sguardo di ciascuno è intento al display del proprio dispositivo smart. Tutti hanno in mano uno smart e lo tengono stretto tra le mani: la consultazione dello schermo dei dispositivi digitali portatili diventa compulsazione coatta.
Si rinuncia così in modo sempre più estensivo all'esplorazione del mondo con i propri sensi.

Il pollice e un altro dito corrono veloci sulla tastierina virtuale, i polpastrelli con gesti lievi ed eleganti fanno scorrere le immagini e le videate (l'azione dello "scrollare"; con il termine mutuato dall'Inglese "to scroll"), ogni tanto si sentono voci e note musicali che vengono fuori dai dispositivi, talaltra sono gli stessi utilizzatori che parlando, registrano e lanciano messaggi vocali. Gli sguardi sono profondamente immersi nei display, le dita ballano sul tastierino digitale e fanno scorrere le videate. C'è tutta una grazia in questi gesti, a volte, ma sono questi i gesti sterili di Narciso che sprofonda nella propria immagine riflessa in uno specchio d'acqua.

Gli sguardi di rado, mentre queste figure della modernità sono outdoor, vagano distratti come accadeva un tempo, quando c'era un buon margine di possibilità di incrociare quello del proprio vicino (e potenziale interlocutore) e così dare avvio - a partire proprio da quello sguardo scambiato e magari da un sorriso condiviso - ad una conversazione estemporanea dalla quale magari possa scaturire una conoscenza reciproca da quella occasionale durante un viaggio condiviso a quella che si concretizzi in una reciproca frequentazione.
E accade anche che questo essere nella rete oppure, attraverso la rete, essere in touch con questo e con quello, si finisca con il comunicare con il nostro prossimo "reale" con il quale condividiamo vicinanza e spazi, oppure cn il quale siamo seduti allo stesso tavolo anche se si è a poca o pochissima distanza dal nostro prossimo, attraverso la rete: il nostro prossimo, anche se fisicamente "prossimo" si fa lontano, irrangiugibile, etereo, e si tramuta in una serie di messaggi in codice binario: che sono poi testi, immagini, video.

Ho visto persone parlarsi al telefono mentre sono fiscamente distanti l'uno dall'altro non più di venti metri. Come anche, se c'è una comitiva di persone che arrivano in un lounge per condividere un aperitivo oppure al ristorante, si potrà osservare che tutti sono temporaneamente indisponibili per una conversazione "fisica", poiche sono intenti a controllare quanto accade nel mondo virtuale.

Quale è il senso di tutto questo? A fronte del poco che abbiamo conquistato con questi moderni dispositivi, qual'è il tanto che abbiamo perso forse per sempre, e con cui stiamo perdendo ogni consuetudine? Si potrebbe dire, citando una frase memorabile di un film recente (Don't Look Up), che "...avevamo tutto, e non lo sapevamo".

Siamo tutti collegati come le api in un alveare oppure le formiche in un formicaio: in entrambi i casi si tratta di specie che si organizzano come un unica grande entità in cui i singoli organismi si connettono tra loro attraverso segnali chimici o speciali ormoni secreti dalla regina madre del formicaio o dell'alveare.

Il singolo individuo in questi pluriorganismi non conta più, perchè può essere rimpiazzato da un altro simile, programmato per compiere un lavoro specifico.

Probabilmente in questo nuovo mondo ci si muove verso qualcosa di analogo: si è sempre più omologati nei comportamenti attraverso questo costante essere nella rete in cui il contatto con la realtà non avviene più per percezione diretta ma per rielaborazione di input provenienti dalla rete stessa: input che, a seconda dei casi, ricevuti passivamente ed acriticamente, possono condizionare o riformattare il modo di pensare, la visione del mondo, plasmando le azione degli individui.

Il display di qualsivoglia dispositivo smart è diventato a tutti gli effetti una nostra estensione protesica.
Il prossimo step sarà quello di averlo impiantato direttamente nel corpo, con una connessione nel nervo ottico che consenta di visualizzare tutti i contenuti e di interagira: una sorta di fibra ottica bio 3.0. D'altra parte, sono già disponibili nel commercio i cosiddetti "occhiali smart" o smartglasses che consentono di fare riprese video, di fotografare, oppure di connettersi in rete osservando i contenuti desiderati in una porzione periferica del campo visivo.
Questi aspetti sono colti da romanzi e da film che - in quanto esempi di "fantascienza apocalittica" -  denunciano i rischi impliciti nello sviluppo di queste tecnologie digitali.
E qual'è è il rischio maggiore? Soprattutto quello  di andare incontro ad progressiva atrofizzazione della capacità di venire in relazione direttamente con altri esseri umani e di poter sostenere un'interazione vera che comporti il contatto oculare e lo scambio (nonchè la gestione) delle emozioni.
In secondo luogo, vi è implicito il rischio che tutti gli utilizzatori delle tecnologie digitali possano essere controllati da "gestori", attraverso attraverso la diffusione di messaggi che possano sincronizzare le menti dei ricettori e condizionarne il funzionamento e le scelte, con una forte limitazione della "libertà" di autodeterminazione.
Sino ad ipotizzare dei mondi futuri in cui la vita "vera" si svolge in fittizzi mondi virtuali, mentre nella realtà fisica stanno dei corpi che devono essere soltanto nutriti: e, dunque, la realtà fisica diventa soltanto il luogo al quale si deve ogni tanto tornare per mantenere il proprio corpo: il romanzo Ready Player One (dal quale Ridley Scott ha tratto l'omonimo film) è un ottimo esempio di questo trend.

 

Cell, locandina del film

Particolarmente pertinente con queste tematiche è Cell, un romanzo di  Stephen King, edito in Italia da Sperling & Kupfer nel marzo 2006, con la traduzione di Tullio Dobner, di genere horror , nella declinazione fantascientifica post-apocalittica.

Dal romanzo è stato tratto un film omonimo del 2016 per la regia di Tod Williams, con Stephen King accreditato come coautore della sceneggiatura.

Dopo la pubblicazione del settimo e ultimo romanzo del ciclo La torre nera, King aveva annunciato in alcune interviste e nel proprio sito web l'intendimento di non dare più alle stampe alcun nuovo romanzo, convinto di essere caduto vittima di un momento di scarsa ispirazione creativa, alla luce di una evidente tendenza a riproporre nei romanzi più recenti argomenti e sviluppi narrativi già presenti in opere giovanili.

Tuttavia, dopo un periodo relativamente breve di silenzio, lo scrittore del Maine ha dato alle stampe, nel giro di pochi mesi, Colorado Kid, un racconto di mystery, e agli inizi del 2006 questo corposo e complesso romanzo di fantascienza apocalittica Cell.

Un misterioso segnale elettronico, di origine sconosciuta, diramato attraverso i telefoni cellulari di tutto il mondo, penetra nella mente degli utenti con l'effetto di devastare, in un solo istante, l'intero raziocinio e di ridurre larga parte della popolazione della Terra in condizioni animalesche, vittima di istinti primordiali. Alcuni sopravvissuti all'effetto dell'Impulso tentano di trovare un modo per riorganizzarsi e sottrarsi alla barbarie e alla feroce follia dei "telepazzi" (detti nella seconda parte anche "cellulati": il termine originale è phonecrazies), ovvero delle vittime del devastante segnale telefonico.

Clay Riddell, ex disegnatore di fumetti, è tra coloro che disdegna l'uso dei cellulari, e questa sua abitudine lo sottrae al potente messaggio distruttivo. Mentre si trova per lavoro a Boston, Clay riesce a salvarsi dalle prime violente aggressioni dei suoi nuovi pericolosi abitanti e si mette in cammino per fare ritorno a casa, nel lontano Maine, dove spera di ritrovare sani e salvi la moglie Sharon e il figlioletto Johnny. Strada facendo si raccolgono intorno a lui alcuni altri superstiti, che divengono la sua nuova famiglia: Tom, un omosessuale di mezza età, garbato e riflessivo; Alice, una ragazza di soli quindici anni che, superato lo shock di aver visto impazzire la madre, diventa la leader inconfessata del gruppo; e infine Jordan, un ragazzino dodicenne, che - per un po' - ha dato assistenza all'anziano preside della sua scuola, prima di vederlo cadere vittima della barbarie dei "cellulati".

Le intuizioni dei due membri più giovani della squadra si rivelano fondate e consentono, un po' alla volta, di sciogliere alcuni degli enigmi conseguenti all'incidente che ha distrutto il mondo civile e di anticipare i possibili scenari futuri che attendono l'umanità.

Nonostante lo spirito d'iniziativa del gruppo, il viaggio verso la casa di Clay si trasforma in uno scontro sempre più drammatico e pericoloso, in cui le più oscure premonizioni di morte non esitano a tradursi da eventi di portata tragica e sconvolgente a un vero incubo a occhi aperti.

Gli esseri umani colpiti dall'Impulso, in poco tempo, sviluppano una costante metamorfosi psichica, che li trasforma in creature dotate di poteri telepatici e di una spaventosa volontà collettiva, assetata di vendetta. Clay e i suoi amici, colpevoli di aver eliminato con un attentato incendiario un'intera moltitudine di "telepazzi", diventano reietti e vengono condannati a un'esecuzione esemplare da parte dei loro avversari, che li braccano ovunque.

Intanto, nel percorso verso casa, Clay scopre che suo figlio Johnny è ancora vivo, ma che è stato forzatamente sottoposto agli effetti devastanti dell'Impulso telefonico. Alice, la giovane amica di Clay, viene uccisa da un gruppo di vandali. Dopo un apocalittico confronto finale con la comunità dei "telepazzi" (che per via della loro demenza e dell'incapacità a sostentarsi sono comunque destinati a estinguersi in poco tempo), Tom e Jordan si separano da Clay, che in questo modo riesce a ritrovare il suo bambino e tenta a modo suo di guarirlo dalla follia. I tre amici si lasciano con la promessa di ritrovarsi, se il loro destino lo permetterà, cosa che la conclusione del romanzo non rivela.

L'8 marzo 2006, Ain't It Cool News ha annunciato che la Dimension Films aveva acquistato i diritti cinematografici del libro con lo scopo di produrne un film che sarebbe stato diretto da Eli Roth (Hostel, Cabin Fever) per un'uscita nel 2009.

Il progetto è stato ripreso ed è stato realizzato nel 2015, con uscita prevista negli USA l'8 luglio 2016. Il film è stato interpretato da Samuel L. Jackson nel ruolo di Tom McCourt e John Cusack in quello di Clay Riddell.

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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