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8 maggio 2018 2 08 /05 /maggio /2018 08:31
Biagio D'Angelo, Non ci resta che correre, Rizzoli Editore, 2017

Biagio D'Angelo nel suo primo libro Non ci resta che correre. Una storia d'amore e di resistenza (Rizzoli Editore, 2017) è riuscito a raccontare egregiamente e senza retorica quello che può essere il viaggio dentro il pianeta della corsa di lunga durata, a partire da un primo aprroccio casuale e da spettatore, quando si ritrovò da turista a osservare dall'esterno i tantissimi corridori che sfilano per le strade della Grande Mela, in occasione dell'appuntamento annuale con la Maratona più celebre del mondo. Del tutto casualmente, dopo quell'esperienza (a svolgere una funzione di catalizzatore è l'incontro con Edoardo Vaghetto, reduce da quella maratona, in aeroporto a NY) Biagio prende a correre e inizia un lungo viaggio che lo porterà a correre la sua prima maratona, a Venezia.

Come sanno tutti quelli che si sono sperimentati in questo campo, di un vero e proprio viaggio si tratta: tra passaggi da luoghi dove non si sarebbe mai andati senza la scusa della corsa e incontri con tantissime persone, praticanti e non, che hanno da raccontare delle storie. Come sottolinea Kagge, nel suo libro sul camminare, anche la corsa specie quella lenta (non quella dei top runner, per intenderci) è una corsa che porta verso se stessi, che spinge a pensare e a riflettere, ad elaborare un pensiero creativo, ad osservare il mondo con freschezza e a incontrare gli altri, a raccontare le proprie storie e ad ascoltare quelle di altre. Il libro di Biagio è, così, tante cose assieme: viaggio, avventura, introspezione, scoperta di luoghi e di persone. E, intanto, con il passare dei capitoli, Biagio accumula sempre più chilometri corsi, comincia a sperimentarsi sul terreno delle non competitive e non, sino alla sua prima Mezza maratona e oltre.
E ad ogni singolo  step di questo percorso, egli si ritrova a scoprire, con meraviglia, mondi sempre nuovi, mondi di cui avrebbe continuato ad ignorare l'esistenza se fosse rimasto nel chiuso di una palestra. Ed è davvero una splendida avventura quella che egli persegue successivamente nel passaggio dalla Mezza alla Maratona.
Il lettore attento si accorgerà che il libro si conclude con lo start della Maratona di Venezia che, al momento di chiusura del volume, dovrebbe rappresentare il culmine della sua esperienza podistica. Manca il racconto della Maratona di venezia: cosa avrà visto, cosa avrà sentiti, quali emozioni avrà sperimentato lungo i fatidici 42 e 195 metri, quale sarà stato il suo stato d'animo quando ha tagliato il suo primo traguardo di maratona. Tutto questo rimane in sospeso e avvolto in un silenzio che può riservarsi soltanto alle esperienze indicibili o a quelle che ti riempiono così tanto che, almeno inizialmente, debbono rimanere come una pagina non scritta del proprio diario di bordo.
E' un libro in cui chiunque abbia fatto l'esperienza della corsa amatoriale può riconoscersi: apprezzando con piacere che egli si rivolge a quelli come lui, cioè a coloro che amano la corsa lenta. Volutamente egli non si occupa della corsa agonistica dei top runner, lasciando quest'aspetto ai cronisti sportivi. Lui, come tanti, vuole essere un podista lento e come tale può divertirsi nel senso più puro del termine e sperimentare sempre cose nuove con freschezza d'animo.
Vorrei spendere alcune parole per spiegare come mi sono imbattuto in questo libro.
Alla 6 ore di Mondello 2017, l'8 dicembre, ho incontrato Edoardo Vaghetto uno dei personaggi della corsa di lunga durata che popolano le pagine di Non ci resta che correre e a cui Biagio D'Angelo ha dedicato un intero capitolo dal titolo "La Corsa di Edoardo" (e, in quell'occasione, Edoardo, ovviamente, inossidabile come sempre, benchè già a metà strada tra i 75 e gli 80 anni, partecipava).
Mi ha chiesto se avessi già letto questo libro. Io gli risposi: No, non ancora! (bluffando sul fatto che il suo passaggio dalle librerie mi fosse sfuggito)! Solitamente, seguo molto da vicino tutte le new entry editoriali in questo campo, perchè mi piace leggere e poi scrivere le recensioni per il mio magazine.
Lui mi disse (senza menzionare il fatto che  ci fosse un capitolo a lui dedicato: un bell'esempio di modestia) che nel tuo libro si parlava anche di Enzo Cordovana e che lui intendeva portarne una copia ai familiari. Enzo ci ha lasciato dopo una breve, inattesa, malattia un paio di anni fa. Anche lui, come me psichiatra: quando - senza aver mai partecipato ad una gara podistica e senza aver mai corso - gli venne la voglia improvvisa di cimentarsi nella sfida dei 100 km, si rivolse a me per chiedermi dei consigli. Allora, in Sicilia (siamo alla fine degli anni Novanta) quelli che avevano già corso delle 100 km erano delle autentiche mosche bianche e i neofiti si ispiravano - chiedendo eventualmente guida e consigli - a quei pochi che già vi si erano sperimentati.
Io molto volentieri gli diedi le dritte necessarie: fu così che diventammo rapidamente amici e compagni di corse e di viaggi per una stagione durata diversi anni.
Tramite Enzo il Verbo delle Ultramaratone si diffuse anche ad altri del suo entourage professionale ed egli diivenne per questo motivo ispiratore anche di Edoardo: si erano conosciuti per affinità di residenza - Enzo abitava a Ficarazzi e Edoardo a Bagheria, ad un tiro di schioppo, praticamente.
Per la prima 100 km di Edoardo (il suo "battesimo") partimmo, infatti, in tre: io, Enzo (che aveva già superato con successo la fase di neofita e che mi spingeva verso altre e più impegnative imprese di ultramaratona) e l'esordiente Edoardo.
Dopo questo breve colloquio con Vaghetto, ho preso nota mentalmente del titolo del libro di Biagio D'Angelo e dì lì a poco l'ho acquistato.
Sin dalle prime battute, ho sentito che questa lettura mi avrebbe spinto a scrivere una recensione "ispirata", poichè vi ho potuto cogliere il mio percorso attraverso la corsa e attraverso le mie espeienze di scrittura di cose di corsa (se penso soltanto agli anni di collaborazione con podisti.net), con un'attenzione - direi minuziosa ed empatica - alle persone e ai luoghi.
A me che già scrivevo, la corsa diede uno straordinario impulso alla scrittura, spingenomi a sperimentarmi in territori diversi dalla saggistica scientifica: non so perchè ciò accadesse.
Dovevo scrivere di tutto: la partecipazione ad una gara di corsa (oppure il compiere un semplice allenamento) mi imponeva come sottoprodotto quasi necessario (per il compimento di un'elaborazione interiore) un intenso impegno di scrittura per raccontare la gara, la sua atmosfera, la mia esperienza, i miei stati d'animo, cosicchè ogni allenamento, ogni gara, si trasformavano ina sorta di viaggio meraviglioso.
E credo che sia proprio questa l'essenza della corsa che - se si riesce a evitare di viverla come una non-esperienza, cioè come una attività coatta (come a tanti capita: e sono tanti gli amatori che la trasformano in un secondo lavoro) - possa essere un'occasione di perfetta sintesi di conoscenza del proprio corpo (inteso come psico-soma), delle proprie emozioni e di affinamento della capacità di osservazione interna ed esterna e, non ultima cosa - di slatentizzazione del senso della meraviglia (o, se vogliamo, di recupero del nostro sguardo dei bambini che fummo sulle cose).
Il libro mi è piaciuto, senza deflessioni, nel passaggio da un capitolo all'altro. In particolare, mi è piaciuta questa continua alternanza tra il punto di vista interiore, i bozzetti di realtà filtrati dallo sguardo dello scrittore e le narrazioni concernenti altri personaggi della corsa, accolte da Biagio con curiosità empatica.
Quando si entra nel mondo della corsa si può avere l'impressione di entrare in un pianeta a se stante, o forse meglio, in un universo, un intero macroverso che si fa microverso, attraverso la raccolta di microstorie individuale, ciascuna delle quali può acquistare delle valenze universali e può insegnare tante cose. E la stessa sensazione la si può avere se si passa dall'esperienza della Maratona a quella delle Ultra, partendo dalla 100 km per approdare alla realtà delle Ultra a tempo su circuito.
La corsa è un'occasione preziosa per stare con se stessi (forse anche per riconciliarsi con se stessi) e per incontrare altri, che si presentanoil più delle volte a nudo, con sogni e speranze che non è possibile vedere quando si indossa la corazza protettiva della vita di tutti i giorni

Biagio D'Angelo

(dal risguardo di copertina) Con il suo primo libro, Biagio D’Angelo scrive una dichiarazione d’amore coinvolgente, commovente e autoironica, che appassionerà tanto i runner di lungo corso quanto i neofiti alle prese con i primi chilometri
«Facciamo un brindisi» dice allora la Vale a voce alta. «Alla maratona.» Come altri brindano alla pace nel mondo, al futuro, all’anno nuovo, all’amore, alla bellezza o ad altre cazzate che salveranno il mondo, noi brindiamo alla maratona. È già qualcosa.
Il momento in cui ti innamori, anche se mentre lo vivi non te ne rendi conto, innesca conseguenze impreviste e irreversibili. È ciò che succede anche al protagonista di questo libro, quarantacinque anni, padre separato, quando un sabato pomeriggio di marzo mette su la prima maglietta di cotone che gli capita, un paio di vecchie scarpe e invece di andare in palestra tira dritto e comincia a correre lungo il Naviglio: due chilometri all’andata e due al ritorno. Perché sì, è della corsa che si innamora. Di quella cosa che “si fa per non impazzire”, per tornare bambini o per preparare “il viaggio più bello della vita”: la prima maratona. Ed è così che nasce questo libro che parla di running, da leggere tutto d’un fiato come un romanzo. Perché a dare il passo all’autore ci sono tanti personaggi incredibili: per esempio c’è Edoardo, che scopre la corsa a sessant’anni sotto gli sguardi irridenti dei suoi compaesani e che oggi, a settantotto, è il secondo ultramaratoneta al mondo della sua categoria; c’è Constantin, che corre in stampelle dopo l’amputazione di una gamba; c’è Mahanidhi, prototipo del corridore-cercatore; c’è persino Chet Baker, che appare come una visione in un’alba nebbiosa alle porte della città. E c’è appunto Milano, la Milano del Parco Sempione e quella delle periferie, di tanti luoghi nascosti e tanti sguardi possibili solo all’occhio di chi li attraversa correndo.ù
L'autore. Biagio D'Angelo è nato a Messina e vive a Milano. Da oltre vent'anni si occupa di comunicazione, collaborando con diversi marchi nazionali e internazionali. Dal 2016 con l'agenzia K words realizza progetti di welfare aziendale. Non ci resta che correre (Rizzoli 2017) è il suo primo libro. Il suo sogno è quello di poter scrivere un giorno un romanzo: d'altra parte corsa e scrittura si coniugano perfettamente come ci ha mostrato Haruki Murakami, nel suo "L'Arte di Correre", in cui la corsa quotidiana alimenta la scrittura e viceversa in un circolo in cui è difficile poter dire cosa abbia originato cosa.

 

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

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