
Ricordo che quando ero piccolo, guardavo sempre un manufatto di ceramica a casa dei nonni.
Si trattava di una tavoletta di terracotta (o ceramica, adesso non ricordo bene) - dimensioni presunte: un buon 15x20 se non di più -, la cui superficie era lavorata in rilievo così da apparire della consistenza di un muro di mattoni, in cui si stagliava una finestrella aperta con le imposte e gli stipiti verdi. Al davanzale stava affacciato, puntellandosi sui gomiti un omino con cappello nero a cilindro e palandrana scura.
Il volto dell'omino era sormontato da un naso adunco e non aleggiava sul suo volto l'ombra di un sorriso.
Mia nonna dai capelli bianco-azzurrini (la nonna Erminia che per me era la nonna "Ia") per farmi stare buono prendeva una seggiolina, mi ci faceva sedere proprio al cospetto dell'omino alla finestra e mi diceva: "Stai qua a guardare e vedrai che, a un certo punto, l'omino chiuderà le imposte e se ne andrà!".
Io ci credevo, e passavo ammaliato molto tempo su quella seggiolina, cercando di cogliere nel busto e nel volto dell'obiettivo il fremito di un movimento, anticipatore della complessa azione che la nonna mi aveva annunciato.
E, ogni volta che andavo in visita dai nonni, volevo sedermi proprio là davanti, in contemplazione.
il meraviglioso e il fantastico sono fatti di queste cose:
il più delle volte si stratta di un'atmosfera, di qualcosa che si anticipa con la fantasia e non importa se la cosa vagheggiata si manifesta veramente nella realtà.
E' sufficiente il fatto di poter pensare che un evento magico atteso potrebbe accadere per renderlo quasi reale.
L'omino di terracotta, affacciato alla sua finestra è ancora nella mia mente e spesso, nella realtà, mi pare di rivederlo in fortuiti avvistamenti.