La Conquista delle Americhe - Illustrazione di Theodor de Bry contenuta in “Breve relazione sulla distruzione delle Indie”.
“Costruivano forche in modo che i piedi sfiorassero appena la terra… e poi bruciavano vivi gli Indiani.”
Si rimane stupefatti di fronte a certe prese di posizione.
L’altro giorno, uno (di cui non farò il nome), interpellato se avrebbe partecipato ad una certa gara podistica (di cui non dirò le coordinate), mi ha detto, accompagnando il suo dire con una mimica adeguata (che poi - rispetto alle parole - è davvero tutto): “No, non ci vado perché c’è brutta gente...”. E poi ha aggiunto: “E poi nella mia posizione non sarebbe opportuno...” [alludendo al suo ruolo di neo-collaboratore di un’altra parrocchia].
Francamente, sono rimasto trasecolato.
Ho replicato: “Ma il posto dove è organizzata questa gara è bello e mi piace andarci...”.
E lui: “Anche a me piace. Ma ci può pur sempre andare quando non c’é la gara in questione...”
Fine del colloquio estemporaneo.
Secondo l'opinione del mio interlocutore, il gruppo rivale è dunque fatto di “gente brutta”... ma cosa vorrà poi dire quest’espressione? Che sono imbroglioni, truffatori, privi del benché minimo fair play, selvaggi, scortesi, incivili tagliatori di teste etc etc.?
Oppure, semplicemente, che non essendo parte di un gruppo sono automaticamente “nemici”?
Secondo punto emergente: se un evento è organizzato (o frequentato) da "gente brutta", non ci si va. Perché automaticamente chi definisce l’altro gruppo costituito da gente brutta si sente di appartenere automaticamente al gruppo della “bella” gente, dei “giusti”, degli “Umani”.
In definitiva, si tratta della permanenza (o del riaffiorare) di un tribale senso di appartenenza: “noi” siamo dalla parte del giusto, “noi” siamo la bella gente, "Noi, siamo OK".
Disgustoso... Tzevan Todorov ha scritto tanto su questo argomento: spiegando, alla luce di questi concetti, come furono possibili (e sono tuttora) efferati genocidi e sterminii di massa.
Se soltanto si ha un pizzico di intelligenza non è possibile accettare simili categorizzazioni.
Ma, dalle nostre parti, è così che va il Mondo.
C’è, per esempio, un altro organizzatore di eventi sportivi (nonché presidente di club sportivo) che ragiona esattamente in questo modo, stabilendo che ci sono delle gare organizzate da gruppi “ostili” a cui i suoi affiliati non debbono andare e, a questo scopo, facendo con loro dei “porta a porta” dissuasivi (se non addirittura rimborsando di tasca propria quote d’iscrizione già pagate).
Analoghe esperienze ho vissuto io stesso, anni fa, sul posto di lavoro, dove avendo io rifiutato di appartenere ad una sorta di “gruppo” (una specie di associazione di categoria con finalità formative e di approfondimenti tematici, ma di fatto con nemmeno tanto velate funzioni di “sindacato giallo”), e muovendomi io autonomamente, mi si mettevano di continuo i bastoni tra le ruote, si ostacolavano le mie iniziative perché non ero “amico” e, ancor peggio, nemmeno “amico degli amici”.
Con questa mentalità tribale, ancora adesso - nel XXI secolo - siamo continuamente chiamati a schierarci da una parte o dall'altra, con mezzucci odiosi e talvolta con trucchetti di bassa lega, giochi di parole, allusioni ed altri mezzi linguistici che tendono sempre a squalificare chi viene definito “diverso” da noi: e quale migliore espressione per compiere quest’azione diffatoria chiamando gli Altri “brutta gente”, espressione che implica anche un giudizio morale fortemente squalificante?
Siamo qui al cospetto del meccanismo basilare dei fondamentalismi (che non sono soltanto quelli religiosi), bensì propri di tutte le attitudini di pensiero che escludono i relativismi e i meticciati culturali, imponendo appartenenze e categorizzazioni ben definite, senza possibilità di mescolamenti e ri-mescolamenti continui.
Io mi oppongo a questo schema di pensiero e mi ci opporrò sempre con tutte le mie forze.
Voglio poter mantenere la mia libertà di pensiero e di scelta, anche se questo intento ha sicuramente un costo.
Voler mantenere questa libertà senza accettare ordini di scuderia o velate indicazioni potrebbe implicare l’ostracismo e il fatto di ritrovarsi solo, al di fuori dalla dimensione corroborante dell’appartenenza.
Il mio avo (il patriota e statista Francesco Crispi) ad un giornalista che lo intervistava e che voleva sapere qualcosa di lui disse semplicemente: “Io sono Francesco Crispi”.
Analogamente, in tutte le circostanze, io vorrò poter dire di me: “Io sono Maurizio Crispi”, senza lasciar mai definire la mia identità dall'appartenenza ad un gruppo e dall'essere parte del gregge.