Il volume di Beatrice Mortillaro, Da Garibaldi a Che Guevara. Storie della mia famiglia, di recente pubblicato da Navarra Editore (2015) è stato presentato, giovedì 26 novembre 2015, all'Università di Roma Tre negli spazi di Biblioteche di Studi politici e dell'area Umanistica.
Tra il pubblico, docenti, rappresentanti di associazioni, studenti e studentesse del corso di Scienze Politiche e Lettere.
Presenti tra i relatori, oltre all'autrice Beatrice Mortillaro Salatiello, Francesco Guida (direttore del Dipartimento di Scienze Politiche) e Maria Rosaria Stabili, docente di Storia dell'America Latina, con il professore Siclari, vicedirettore del dipartimento di Scienze Politiche e Daniele Pompejano, che ha scritto la prefazione del volume. Nel corso della presentazione vi è stato anche spazio per la testimonianza di Tania Mortillaro (oggi avvocato in Italia), mentre Enrica Rosso ha interpretato brani del libro.
(...) Le tredici vittime della Gancia dovevano essere quattordici, perchè lo zio Giuseppe, quell'alba del 4 aprile, nel campanile del Monastero, nella sanguinosa confusione, riuscì a svincolarsi dalla presa del poliziotto borbone e rifugiarsi nel nascosto magazzino di Francesco Riso, dove il nonno Filippo tentava ancora di montare i pezzi di cannone con le mani... (pag. 13)
(dal risguardo di copertina) Protagonista di queste pagine è la famiglia siciliana Mortillaro, molto nota a Palermo per un passato imprenditoriale di successo nelle aziende dei Florio, e per la vicinanza con autorevoli intellettuali, fra cui il filosofo Giovanni Gentile. Alla fine dell'Ottocento alcuni membri della famiglia emigrarono in Argentina, diventando attivi sostenitori delle lotte per la democrazia, ed ebbero modo di conoscere i protagonisti della tormentata storia sudamericana, fra cui Ernesto Che Guevara. Beatrice Mortillaro ripercorre i momenti cardine di questo percorso familiare, dalla rivolta garibaldina della Gancia nell'aprile 1860 - che vide protagonisti i suoi avi - all'orrore del secondo conflitto mondiale, per passare poi alla ricerca dei parenti argentini. Le loro vicende private e soprattutto l'indagine sulla tragica vicenda di uno di loro, desaparecido durante la dittatura di Videla, conquistano il lettore attraverso le testimonianze appassionate dei Mortillaro di Argentina e di Cuba. In un avvincente susseguirsi di vicende storiche e di personaggi leggendari, Beatrice Mortillaro, esponente del ramo della famiglia rimasto in Sicilia, condivide la scoperta della sua seconda patria, l'America latina, di una famiglia lontana che è insieme uguale e differente, con cui ha in comune un corredo di valori senza confini, né di luogo né di tempo. Prefazione di Daniele Pompejano (Università di Messina).
Di seguito la prefazione al volume di Daniele Pompejano.
Macondo di acque e di terre, di sangue e di memorie... (Prefazione al libro di Daniele Pompejano, Università di Messina)
La voglia di raccontare erompe in Bice Mortillaro da una notizia casualmente letta sulla stampa: riferiva del processo ai generali argentini – celebrato in Italia nell’anno 2000 – responsabili fra l’altro del sequestro del nipote Ariel Mortillaro a Buenos Aires il 21 maggio 1977. Di Ariel non si avranno più notizie. Verosimilmente l’urgenza di raccontare Bice la sentiva da tempo, da quando nel 1989 perdeva il suo Gabriele, giovane ambientalista, antimilitarista e obiettore di coscienza, astrofisico prossimo alla laurea, vittima di una disgrazia nelle acque del Simeto. Dal dolore materno erompe il desiderio di riparare all’assenza ritessendo la memoria lunga della propria famiglia oltre la barriera di acqua e di oblii dell’oceano. Giacché “con la memoria non ci si sente più soli”, annota in una memoria la sorella di Ariel che Bice incontra in uno dei suoi viaggi in Argentina alla ricerca di una storia perduta. Il filo rosso è costituito dal Macondo dei valori condivisi e vissuti di generazione in generazione sul modello dell’avo Filippo Mortillaro, protagonista della rivoluzione della Gancia a Palermo, fortunosamente sfuggito alla cattura e all’esecuzione dei suoi compagni il 13 aprile del 1860. Valori che i discendenti di Filippo – al di qua e al di là dell’oceano – coltiveranno lasciandoli in eredità sino ai discendenti attuali. Bice ne ricostruisce le esistenze segnate da peregrinazioni geografiche e politiche fra l’Italia e l’America Latina, l’Argentina in particolare, ma poi anche Cuba, Ecuador e Perù. Un filo rosso che si riannoda circolarmente allorché Bice scopre che l’ultimo dei Mortillaro argentini porta “forse per caso” il nome di Gabriele, giusto il nome del proprio figlio. Nel racconto rivivono le memorie di Francesco – il padre di Bice – che, come un cantastorie, raccontava le vicende della famiglia con una vivacità che solo l’oralità consente, in un uditorio avido di notizie costituito dai figli raccolti nell’ascolto. Ma, oralità a parte, i 3 4 diari e le lettere gelosamente custodite e trasferite da Bice nei suoi viaggi atlantici fra il 2000 e il 2004, hanno consentito la ricostruzione di una memoria e di un’identità collettiva che oggi istituzioni come l’Archivio Nazionale dei Diari di Pieve santo Stefano o la Libera Università dell’autobiografia ad Anghiari con perizia e amore custodiscono, ricostruiscono e valorizzano. Quali sono, dunque, i valori costanti della stirpe dei Mortillaro e attraverso quali tappe si rinnovano: gli ideali per così dire religiosi di Gabriele – di una totalità armonica del cosmo che non gli consentiva di “spezzare” neanche un fiore dal campo, di accarezzarlo e osservarlo compiaciuto, piuttosto – sono rievocati in contrappunto con quelli del nipote di Bice nato e vissuto in Argentina e vittima del sequestro a opera dei militari: Ariel, appunto. Il suo nome evoca l’Arielismo latinoamericano di inizi Novecento, cioè una cultura imbevuta di spiritualismo, opposta all’utilitarismo e al positivismo anglosassoni, incerto nel suo progetto politico – è vero – ma plasmato nella cultura dei Mortillaro dall’innesto sul ceppo della fede socialista e garibaldina originarie. Fra i due estremi cronologici e generazionali si snodano esistenze al di qua e al di là dell’oceano. Un’emigrazione politica soprattutto, quella dei Mortillaro, il disincanto verso lo Stato unitario e l’Argentina terra promessa agli albori di una moderna società di massa in cui eminenti intellettuali siciliani – come gli Ingegneros – erano protagonisti nel socialismo e nella cultura argentini. Sino a grandi spartiacque, la Cuba rivoluzionaria soprattutto: è lì che approda da Buenos Aires il cugino primo di Bice: Gaspar, e con lui il figlio Ariel. Gaspar – che nel 1920 aveva giurato di voler “morire per il comunismo” – si trasferisce da Buenos Aires a L’Avana subito dopo la rivoluzione per contribuire alla costruzione dell’hombre nuevo, ideale e tesoro aviti. Cerca risposte a una domanda tanto banale quanto rivelatrice: perché a Cuba, grande produttrice di zucchero, “le caramelle sono tutte importate dagli Stati Uniti o dall’Italia?”. Contribuisce alla rivoluzione confermando la sua fama di letterato ed editorialista politico, lavora all’agenzia Prensa Latina e presiede il prestigioso “Instituto Julio A. Mella”, frequenta un altro argentino, Ernesto “Che” Guevara, con cui viene ritratto in fotografie che la famiglia orgogliosamente custodisce. Di pas- 5 saggio al largo della Sicilia Ariel commenta a un compagno di navigazione verso il Mar Nero e l’URSS: “È la terra di mio nonno”. La microstoria dei Mortillaro si intreccia, fra pubblico e privato, con la storia grande, italiana e latinoamericana. E come la casa palermitana era stata crocevia dei rivoluzionari della Gancia ai tempi del bisnonno Filippo, la casa di Gaspar a Buenos Aires è porto di rifugio affettuoso per protagonisti di primo piano della storia politica di quel continente: dal portoricano Carlos Padilla, che ne sposa la figlia Freya, a Manuel Galich, illustre intellettuale e politico guatemalteco, esule dopo il colpo di Stato del 1954. È una storia che cementa un sentimento di solidarietà internazionalista e una fraternità che va ben al di là dei vincoli di sangue. E che fa scrivere all’autrice: “Adesso ho due patrie e due famiglie”. Ed è una storia a specchio, contrappuntata dall’attivismo politico e dalla rivendicazione di diritti politici e di genere di Bice in Italia, fra gli anni ’70 e ’80, e dei nipoti nel clima autoritario del peronismo, di cui proprio Ariel patisce la persecuzione e il carcere, e più tardi la desaparición al ritorno da Cuba. C’è poi nel racconto di Bice una sorta di spirito magico-realista. Scrive: “C’è una magia in quanto mi accadde” allorché si mise sulle tracce dei parenti argentini fortunosamente rintracciati attraverso un vecchissimo indirizzo risalente al 1946, dopo un’interruzione nelle comunicazioni di oltre dieci anni. E la continuità nel vissuto della stirpe rivela nel racconto una percezione quasi metafisica di legami che nessun evento traumatico della storia grande e di quella piccola famigliare è riuscita a spezzare, né le guerre né i lutti. Continuità e circolarità, ancora: è un caso che tanto Gabriele che Ariel siano stati strenui difensori tanto dei diritti umani e politici che dell’ambiente? E che la vedova di Ariel, custode della memoria di una vita rimasta in sospeso, si sia trasferita con la sua bambina per salvarla in una isolata e bella cittadina sull’Oceano atlantico a sud di Buenos Aires dove si guadagna da vivere curando dei giardini e portando il cibo a tutti i gatti e cani randagi nei pressi della casa dove abita?
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