Peregrinazioni notturne
Non sapere dove andare,
nelle tenebre che ci avvolgono
in una coltre
Gli oggetti non parlano più,
da quando la magia li ha lasciati
e sono opachi agli occhi e al cuore
Lo sciabordio dell'onda,
il pigolio delle rondini che inizano a scaldarsi
prima dei voli mattutini di caccia,
il lamento straziante del gabbiano senza riposo
il profumo della zagara
e delle foglie di eucalipto cadute anzitempo
il brusio molesto della radio accesa H24
il cazzo mordace, gonfio di voglie
i labirinti senza uscita in cui si procede alla cieca,
senza mai avere una visione d'insieme,
la solitudine impareggiabile
Tutto si dissolve al mattino,
sfocandosi negli obblighi impellenti del work-of-the-day,
Sono già morto forse,
anche se l'atroce illusione è di essere ancora vivo
La morte è nell'assenza di desiderio,
quando si è solo simulacri ambulanti,
in attesa di dissoluzione
Nella notte si muovono cose
scricchiolano e gorgogliano i muri
e oscure presenze strisciano fuori
dagli anfratti
Di questi movimenti
si può soltanto ascoltare la progressione,
esserne testimoni, senza potere (o volere) interferire,
mentre i secondi e i minuti scorrono,
dilatati
Ogni notte, trascorro le ore con gli occhi aperti
le pupille dilatate
il cuore che batte forte, in gola
la paura che mi tiene desto
è ad un tempo carburante per il mio motore interno
E' la paura ancestrale dell'uomo che,
per passare la notte irta di pericoli,
si rifugiava nelle caverne,
appena illuminate dalla luce tremolante dei fuochi di bivacco,
temendo, ancor più delle minacce provenienti da fuori,
quelle oscure - striscianti ed innominabili - che potevano arrivare
dalle profondità contorte e non esplorate
del loro stesso riparo
E' la paura del predatore che vive nascosto
nei nostri luoghi oscuri
Poi, con la luce del giorno tutto si dissolve,
anche se, a ricordare i fantasmi notturni,
rimane perturbante,
forse malevolo,
quel pulviscolo che danza nell'aria,
illuminato dalla luce sghemba del primo raggio di sole