(Maurizio Crispi) Il reportagè di Sergio Ramazzotti, Ground Zero Ebola (Piemme, 2015), è assolutamente da leggere, perchè ci introduce nel pianeta Ebola, rivelandoci cose di cui non abbiamo assolutamente l'idea se non attraverso i notiziari radio-televisivi edulcorati e distratti.
Ebola è un potente agente infettivo di tipo virale che sino a pochi anni era indovato nella foreste umide africane avendo come serbatoio naturale animali della selva che occasionalmente contagiavano gli uomini dei vicini villaggi, dando vita a sporadici focolai endemici, fortunatamente circoscritti, con due ceppi conosciuti, a partire da due focolai epidemici importanti verificatisi in Sudan e in Liberia e Sierra Leone.
E' un agente infettivo sostanzialmente letale e fortemente contagioso principalmente per autiinoculazione, a partire da materiali infatti che hanno contaminato la pelle del corpo e, soprattutto, le mani, fortemente aggressivo, con una crescita esponenziale nelle cellule che vengono distrutte totalmente, per cui è come se il corpo dell'infettato, per dirla con un'immagin fortemente suggestiva, si liquefacesse dall'interno.
Per motivi demografici, tra i quali le guerre interne e i rivolgimenti politici, le condizioni di vita al di sotto del limite della sopravvivenza, si è creato un vasto movimento migratorio dai territori interni della Liberia alla sua capitale Monrovia che ha visto un rapido accrescimento della popolazione che vive in slums in condizioni di miseria inimmaginabile e con questi migranti interni è arrivato Ebola negli slum e ha cominciato rapidamente a propagarsi, malgrado gli interventi di creazione di cordoni sanitari, il reclutamento di volontari e l'attivazione di organizzazioni religiose ed anche non governative.
Ma - a quanto sembra .- la situazione è uscita sotto controllo, anche perchè le condizioni di miseria e di disagio nell'enorme bidonville di Monrovia sono troppo grandi perchè si possa in qualche modo arginare il contagio, rimuovendoi contagiati e portandoli in strutture sanitarie dove non possano contagiare altri, rimuovendo i corpi di coloro che muoiono in strada, garantendo le condizioni sanitarie di base per limitare il rischio di contaminazione ambientale.
La difesa maggiore è rappresentata dalla candeggina, con continui sprummenti di abiti, corpi e mani, lavaggi continui e, nello stesso tempo, la limitazione di tutti i contatti diretti tra persone: l'imposizione di un nuovo codice di comportamente asdsolutamente aliena dalla cultura afircana che è una cultura relazionale della "fisicità", fatta di strusciarsi di corpi, di strette di mano, di pacche sulle spalle, di abbracci.
L'altro caposaldo è stato quello di cercare di indurre la popolazione di non consumare selvaggina portata dalla selva, fonte di contagio: ma come si fa ad impedire alla persone di nutrirsene, quando non hanno fonti alternative di cibo porteico?
Insomma, la situazione è uscita fuori controllo, gli infettati muoiono per strada e non possono essere raccolti, molti degli infetti rimangono nelle loro case a morire, infettando i familiari che li assistono, i Liberiani con i soldi (i discendenti degli Afro-americani liberati negli USA), avendo anche la cittadinanza statunitense, madano lì le proprie famiglie: e questi sono i privilegiati che hanno una via di scampo.
Quello di Ramazzotti, non nuovo ad inchieste e ad imprese giornalistiche coraggiose ed inusuali condotte con un forte impegno personale e con un lavorio sui propri movimenti interiori, come chiave di lettura di ciò che gli accade interno e con la possibilità di conseguenza di tenere sempre alta la temperatura emozionale, è un reportàge denso e coinvolgente che si muove nel pieno delle suggestioni della Peste manzoniana riattualizzata, tra monatti, untori, appestati e guariti (che, a quanto sembra, sulla base delle stastiche rappresentano solo il 15% dei colpiti) che vengono immediamente considerati come potenziali untori (e, come minimo, guardati con astio e con odio, perchè loro "...ce l'hanno fatta).
Un reportàge coraggiosissimo, per realizzare il quale l'autore si è esposto in prima persona: in un viaggio all'Inferno e ritorno.
Mi sento di consigliarne la lettura a tutti coloro che vogliono saperne di più sullo stato delle cose dell'epidemia di Ebola in Liberia (e, implicitamente, sui rischi che corriamo).
Emerge un quadro sconfortante, indubbiamente, ed anche qualche nota di preoccupazione sulla "pochezza" dei controlli che sono stati attivati nei confronti di chi arriva dai paesi africani dove è in corso l'epidemia: Ramazzotti non è stato fermato al suo arrivo in Italia, come sarebbe stato doveroso, in considerazione della sua provenienza, ma è stato lasciato andare: é stato lui ad autodenunciarsi e ad affrontare a casa propria, il prescritto periodo di 21 giorni di quarantena.
Insomma, Ebola è un agente virale potente, da non prendere sotto gamba, questo ci dice Ramazzotti, con il suo lungo racconto che si muove tra l'oggettività del giornalista d'inchiesta e una soggettività densa di angoscia.
In fondo, le tifoserie Ultrà della squadra di calcio del Palermo hanno hanno fatto un errore di valutazione di grossa entità, battezzando nelle loro scritte urbane ed extraurbana la squadra avversaria del Catania "EBOLA": le scritte di "Catania Merda" sono state sosituite quasi tutte da "Catania EBOLA": quindi, involontariamente, non un epiteto offensivo, ma un tributo alla potenza e alla letalità della squadra avversaria di sempre.
(dal risguardo di copertina) «Sono appena sbarcato da un Paese, la Liberia, di quattro milioni di assassini. Quasi un milione è concentrato nella capitale, Monrovia. Assassini sono tutti: giovani, meno giovani, donne, bambini. Spero di essere perdonato per queste parole: non ne trovo di più adeguate. Loro non hanno colpa. La colpa è della paranoia che in me, dopo tre settimane in quella città, ha preso il sopravvento sulla ragione. È così che ti riduce la psicosi da Ebola: vedi chiunque come un potenziale killer. E sono certo che molti considerassero me allo stesso modo.
I nuovi princìpi che regolano i rapporti sociali sono semplici: se tocchi la persona sbagliata, muori. Tocchi la persona che ha toccato la persona sbagliata, muori. Sali sul taxi sbagliato, muori. Per distrazione ti stropicci un occhio o ti accendi una sigaretta con la mano che ha toccato la cosa o la persona sbagliate, muori.
Tre settimane dopo, quando il mio volo Monrovia-Bruxelles-Milano è atterrato all’aeroporto, non è successo niente di speciale. Gli oltre cento passeggeri, fra i quali c’ero anch’io, si sono riversati attraverso il molo senza che su quelle persone fossero fatti controlli di alcun genere, tranne quello del bagaglio a mano. Il che non avrebbe nulla di sconcertante, se non fosse che la maggior parte di quei passeggeri erano in fuga dal loro Paese devastato dall’epidemia di Ebola. E che quel volo, per la cronaca, era lo stesso sul quale, solo 11 giorni prima, aveva viaggiato Thomas Eric Duncan, il cittadino liberiano che poi ha proseguito per Dallas, dove è morto…»
Quando da ragazzo leggeva della peste nei Promessi Sposi, Sergio Ramazzotti non avrebbe mai pensato di trovarsi un giorno immerso in una simile apocalisse. Invece ha visto i morti per le strade, la città stretta d’assedio da un nemico invisibile e spietato. Ha lavorato con una squadra di “monatti”: volontari che a rischio della vita raccolgono i corpi. Ha parlato con i pochi sopravvissuti al virus e raccolto le loro incredibili testimonianze. È entrato nei lazzaretti dove il personale medico lavora in condizioni difficilissime e anche solo sfiorarsi per sbaglio può significare la morte. Una cosa è certa: senza il sacrificio quotidiano di questi umili e sconosciuti eroi, Ebola sarebbe già fuori controllo. Qualsiasi cosa ci riservi il futuro.
Sull'Autore. Nato a Milano nel 1965, Sergio Ramazzotti è autore di centinaia di reportage da tutto il mondo, apparsi sulle principali testate italiane ed europee. Ha pubblicato tra l’altro il bestseller Vado verso il Capo (Feltrinelli), cronaca di una traversata di tredicimila chilometri compiuta con i mezzi pubblici da Algeri a Città del Capo.
Ha vinto il premio di giornalismo Enzo Baldoni e l’International Photography Awards di Los Angeles.
Leggi il primo capitolo di Ground Zero